La trama è forzatamente l’aspetto di un romanzo più cervellotico e razionale. Come dicevo, un romanziere sa come avvincere: prima con una buona trama, poi con una buona narrazione.

E, mi ripeto, pensare una sequenza di eventi che si concatenino in modo avvincente e imprevedibile senza pensarvi è un'azione il cui successo è improbabile.

Improbabile, non impossibile.

Se qualcuno di voi, là fuori, nell'etere, ha questo dono, sono felice per lui. Personalmente credo di non averlo (e forse tutto questo capitolo è frutto di un mio limite; vedete voi, non posso parlare per gli altri).

Quindi non fraintendetemi, si può arrivare a qualcosa di buono, pur senza star lì a ideare la trama nei dettagli prima d’aver gettato un solo rigo sulla carta. Ma perché arrivare a qualcosa di buono se si può arrivare a qualcosa di ottimo, con un po’ di pazienza e impegno?

La mia impressione è che il potenziale creativo di una persona, circa la trama, venga sfruttato appieno ponderando la trama. Soffermandovisi, insomma, ragionando su come risolvere certe situazioni in modo logico e nel contempo avvincente, sul come far sì che le necessità della narrazione, ad esempio, non intralcino la lettura, non la rendano eccessivamente pesante, scontata, piatta, eccetera eccetera.

Il mio pensiero è questo: sforzatevi di ideare una trama quanto più dettagliata potete prima di cominciare a scrivere. In fondo, mi dico, seguirla passo passo non è un processo obbligatorio durante la stesura del testo, potrete sempre decidere di modificarla. Quantomeno, però, modificherete qualcosa su cui avrete già ragionato e il risultato sarà sicuramente il meglio che possiate aspettarvi da voi stessi.

La mia esperienza nel seguire l’istinto e l’estro, limitandomi a considerare la trama, mi ha dato risultati soddisfacenti. Non lo nego, era una buona storia; nondimeno, sospetto, perché ho dovuto interrompere l’esperimento ben prima della metà dell’opera.

In ogni caso, quanto ho ideato in seguito, preparando una scaletta per l’editore, è di tutt’altro spessore e questo nonostante la vicenda sia piuttosto lineare. Il motivo sta tutto nella concatenazione degli eventi (e, perciò, nella scelta delle singole scene).

Eccoci, questo è il nodo della questione.

A mio parere il problema non sta tanto nel narrare una storia che abbia un capo e una coda con dei momenti avvincenti e alcuni aspetti originali (no, non vi dirò una cosa del genere: sarebbe troppo facile, oltreché confutabile; non mi sottovalutate, vi prego). A ogni buon narratore la cosa viene, se non naturale, quasi spontanea. Il problema è la concatenazione degli eventi, ovvero la giusta sequenza di scene per descrivere ciò che avete pensato a proposito di una parte del vostro romanzo.

Seguire l’estro porta quasi sempre a scrivere scene inutili o, peggio, a trascurare qualche aspetto che invece sarebbe il caso di portare all’attenzione del lettore.

Non dimenticatevi che con il non-metodo voi non avete pensato a nulla o quasi. La tendenza sarà quella di scrivere tanto su ciò che è la naturale evoluzione della storia (se non commettete l’errore di inserire qualcosa di inverosimile; ma questo diamo per scontato che non lo facciate). Spesso descriverete cose che è meglio non descrivere, perché ovvie e riassumibili con poche righe in un’altra scena o perché è più efficace lasciare certe cose all’immaginazione di chi vi leggerà.

Inoltre, in questa tendenza non considererete spontaneamente aspetti interessanti, su cui merita soffermarsi. Al lettore spesso tali aspetti sovvengono istintivamente, perché non è impegnato a tenere tutto sotto controllo e se ne sta lì, beato, a “subire” ciò che voi gli raccontate.

Poniamo che siete andati avanti d’istinto e a estro?

D’accordo, sarò brevissimo. Togliere le scene superflue o aggiungerne di nuove a prima stesura ultimata, credetemi, implica che con tutta probabilità le scene successive a quelle in oggetto non terranno conto di ciò che avete tolto o aggiunto.

Patatrac!

Non sono qui per dirvi che dovete fare come dico io. Non sono qui per dirvi che se non si fa come dico io si sbaglia (come se seguendo il mio metodo io non avessi mai sbagliato!). Non sono qui per dirvi che non arriverete mai a un buon risultato con il non-metodo.

Sono qui per dirvi che secondo me il non-metodo rischia di complicare (complica sicuramente?) qualcosa di già molto complesso. E che, secondo me e di conseguenza, il risultato sarà peggiore di quanto voi possiate raggiungere.

Se invece non lo credete, vedetela così: il “metodo” vi tedia all’inizio (ideazione), il “non-metodo” alla fine (revisione).

Sembra quasi l’epilogo di questa seconda parte, ma non lo è.

È semplicemente una questione di scelte.

Insomma, tutto qui. Se proprio non volete ideare un fico secco dell’ambientazione e dei personaggi, pensate seriamente di ragionare sulla trama.

Una volta di più, affinché nessuno se lo dimentichi: questa rubrica parla di scrivere un romanzo, che è un’opera voluminosa e complessa. Forse una casetta la si costruisce solida anche senza un progetto, ma una palazzina sicuramente no (e non occorre tirare in ballo il grattacielo che va sotto il nome di “saga”).

Pensateci.

Nel prossimo capitolo ragionerò sulla narrazione e sui dialoghi.