Giovedì 18 novembre hanno cominciato.

Questa volta “Science plus Fiction” si è trasformato da semplice rassegna cinematografica, in un vero e proprio Festival con tanto di film in concorso. Nella prima giornata non vi era nessuna ragione di lamentarsi, poiché le cose hanno funzionato in maniera tutto sommato soddisfacente. I cataloghi c’erano, a differenza del 2003, e la traduzione simultanea era operante anche nella sezione retrospettiva, la quale nella prima giornata comprendeva il film Schlock (USA 1973 ) di John Landis, e The Quatermass Xperiment (UK 1955) di Val Guest. Gli ospiti stranieri sono arrivati puntualmente. Il film  Immortèl (ad vitam)  (Francia/Italia/UK 2004) di Enki Bilal presentato fuori concorso, era molto bello. Una New York del 2095 che sembra una Mosca degli anni '20 guardata con  occhio avveniristico.

Auto volanti attaccate a doppi cavi come i filobus. OGM pseudo umani per ogni dove. La rivincita degli dei egizi. Invasioni aliene nel Central Park. Ho fatto i miei complimenti a Jacquemin Piel, direttore del reparto effetti speciali nel Duran Animation Studio, ma non so quanto potrà interessare le giovani generazioni che non hanno vissuto l'invasione europea avvenuta trent'anni fa da parte dei fumetti francesi degli  Humanoides. Che cosa dice il nome di Enki Bilal ad un giovane di vent'anni? Poco o niente.

Ormai i suoi libri cartonati si trovano solo nelle librerie specializzate a prezzi spaventosi. Una volta non era così. C'erano numerose riviste di grande formato a prezzi accessibili che giravano nelle edicole. Sto parlando di  Totem, ma anche di  1984,  Eureka, Alter Linus, L'Eternauta, Metal Hurlant, Corto Maltese eccetera. Oggi tutto questo è finito. Il computer ha spazzato via ogni cosa. Adesso vanno di moda opere come Tomb Raider, Final Fantasy,  Matrix,  ispirate ai giochetti elettronici e via di questo passo. Quanto ai fumetti, dominano la Bonelli e i giapponesi. Nelle librerie  normali i fumetti sono pochi e scadenti, e sono collocati vicino ai libri per ragazzi. Per trovare il fumetto di qualità che un tempo era assai diffuso, a Trieste bisogna andare per forza in piazza Barbacàn al negozio "Nonsololibri ", dove ti pelano come una banana. Un giovane spettatore nel corso dell'incontro con il creatore degli effetti speciali del film francese, ha accusato il regista-sceneggiatore Enki Bilal di essere stato poco originale. Ormai di film fatti con l'animazione digitale se ne contano a bizzeffe. E gli americani sono molto più bravi, ha detto il giovane. Avrei voluto strozzarlo. Certo che sono migliori dal punto di vista tecnico. Con tutti i soldi che hanno a disposizione! Jacquemin Piel ha spiegato che per realizzare Immortèl sono stati impiegati 200 esperti in computer i quali hanno lavorato oltre 2 anni per realizzare 1400 inquadrature truccate. Impressionante, vero? Beh, mica tanto, visto che uno solo delle centinaia di tecnici che hanno realizzato " Matrix " per creare un unico piano sequenza della durata di dieci secondi aveva a disposizione 14 mesi e 14 persone, tutte pagate profumatamente.

Franco Clun e Jacquemin Piel
Franco Clun e Jacquemin Piel

Lo studio francese Duran per realizzare l'intero film ha speso tanto quanto hanno investito nella realizzazione dei capelli della protagonista dell'orrendo filmaccio americano - giapponese  Final Fantasy. Vedete come vanno le cose? Contano solo i soldi. Altro che "settima arte"! L'unico modo per battere gli americani sarebbe quello di affidarsi  all'originalità ed all'inventiva dell'autore. Ma sembra che questo non piaccia alle giovani generazioni. Nell'era dei "sequel" quello che vale è la perfezione tecnica delle immagini. Questo mondo non mi piace per niente. Ma forse sono io che sto diventando un vecchio brontolone.

A mezzanotte sempre fuori concorso è stato presentato quale “ evento speciale” il film di Paul W.S. Anderson  ALIEN VS PREDATOR  prodotto da uno sterminato elenco di nazioni ( Canada / Germania /Repubblica Ceca / USA 2004): W. La Globalizzazione! Io non l’ho visto per i soliti problemi dei trasporti, ma mi hanno detto che non era niente male.

Nella seconda giornata, venerdì 19 novembre, con l'avvio vero e proprio del Festival di Trieste, sono cominciati a venire alla luce anche alcuni difetti dell'organizzazione, che praticamente erano gli stessi del 2003. Unica novità, quest’anno non si entrava più gratis. Si doveva pagare infatti  una cifra di 5 €uro valevole per tutti i cinque giorni di durata della manifestazione. Veniva dato un tesserino provvisorio, e con esso si faceva la fila alle casse per ritirare i biglietti numerati. Questo ha comportato qualche problema. Gli sportelli venivano aperti mezz'ora prima, ma se il film precedente era cominciato in ritardo, specie nelle proiezioni serali, non si trovava posto, oppure lo si trovava nelle prime file dove non si vedeva niente. E poi quest'anno non ci sono state proiezioni mattiniere, nemmeno per la stampa. Il risultato è che molte manifestazioni erano concomitanti, e per andare da una parte si perdeva il resto. Le proiezioni avvenivano in due sale. Ciò vuol dire che tutte le pellicole della rassegna retrospettiva dedicata alla Hammer Film sono state proiettate contemporaneamente ai film in concorso. O si andava da una parte, oppure dall'altra. Inoltre per seguire le tavole rotonde e le occasioni mondane si doveva sempre rinunciare alla visione di qualche opera cinematografica, e questa per me era una situazione piuttosto scocciante. 

Secondo problema: le proiezioni più interessanti di solito sono state eseguite  tardissimo. Il centro commerciale "Le Torri d'Europa" è collocato in una zona periferica rispetto al centro cittadino. Non è come il cinema Excelsior o il teatro Miela. L'ultimo autobus passa a mezzanotte e un quarto, poi più niente. Come fanno i tapini che non possiedono un'automobile? Forse sarebbe stato meglio istituire un bus navetta notturno, come nel 2003. Finito per ora l'elenco delle cose che non vanno, passiamo alla cronaca.

Della giornata inaugurale ho già parlato. Venerdì c'è stato l'incontro con John Landis, un vero fiume in piena ricco di aneddoti e giochi di parole intraducibili che ha fatto sudare freddo la traduttrice. Ne parlerò più diffusamente in un'altra occasione. 

Landis intervistato
Landis intervistato

Tra i film in concorso, il più strano era certamente  Koi... Mil Gaya  (Trova qualcuno) girato in India nel 2003 e diretto da Rakesh Roshan. Tipico prodotto di Bollywood.  Duranta 150 minuti. Parlato in un mix di inglese e hindi. Grossa produzione, fatta con tanti soldi. Colori meravigliosi e paesaggi stupendi, proiettati su grande schermo. Unico problema: ogni 5 secondi gli attori interrompevano l'azione per impegnarsi in interminabili numeri musicali di canto e balletto.  Dicono che questi siano i gusti del pubblico indiano. Io non ho mai sopportato nemmeno i musical americani degli anni '40 e '50. La trama era una via di mezzo fra  Incontri ravvicinati del Terzo Tipo (USA  1977),  E.T. l' Extraterrestre (USA 1982), entrambi di Steven Spielberg  e  I due mondi di Charly (USA 1968 ) di Ralph Nelson. Solo che il protagonista canterino non aveva di certo la classe di Cliff Robertson, interprete dell’ultimo film citato. Ho resistito per quasi due ore. Sono fuggito quando gli alieni costruiti ad immagine e somiglianza del famoso E.T. si sono messi a cantare in hindi. Mi sono perso  After the Apocalypse  (USA 2004 ) di Yasuaki Nakajima, ma mi hanno detto che era un film sperimentale di 72 minuti girato in bianco e nero e senza dialoghi. Molto underground, forse troppo. Invece mi sono rivisto volentieri una vecchia produzione Hammer,  X contro il Centro Atomico  ( GB 1956 ) diretto da Leslie Norman. Devo dire che dopo quasi 50 anni la vecchia sceneggiatura di Jimmy Sangster funzionava ancora egregiamente.

Jimmy Sangster
Jimmy Sangster

Ottimo anche il documentario  The making of IMMORTAL (AD VITAM ) , che forse era ancora meglio del film. Sembra che la commedia ceca di zombie Choking Hazard  diretta nel 2004 da Marek Dobies fosse molto divertente, ma io me la sono persa, perchè cominciava alle ore 23.00, e, come ho detto prima, dopo le 00.15 non ho più mezzi per tornare a casa. 

Bilancio sostanzialmente positivo anche per la giornata di sabato, che pure era cominciata male con l'orrido film hongkonghese  The Park  diretto nel 2003 da Andrew Lau. Due ore di urli ininterrotti e di mostri di cartapesta sono un pò troppe anche per miei nervi. Il bello è che all'ingresso ci sono stati distribuiti gli occhiali con le lenti 3D, perchè nel film vi erano alcune scene speciali girate con quel sistema. Benissimo, ho detto io. Quando sullo schermo è apparso il segnale, mi sono affrettato a mettermi gli occhialetti, ma non è successo niente. Certo, l'effetto tridimensionale si notava, ma non c'era nessuna differente dinamica nell'azione. Alla fine qualcuno mi ha spiegato che ad Hong Kong non hanno ancora imparato a sfruttare in pieno le potenzialità del sistema 3D. In parole povere, erano molto meglio i film di Jack Arnold degli anni '50. In ogni caso, sembra che il film stia andando benissimo al botteghino, e perciò verrà distribuito in Italia quanto prima. Per seguire  la noiosa la tavola rotonda sui film Hammer, mi sono perso il film in concorso One Point Zero, strana co-produzione USA / Romania/ Islanda diretta nel 2004 da Jeff Renfroe assieme a Martin Thorsson e interpretata dal grande Udo Kier. Oltre a Jimmy Sangster, all’incontro erano  presenti lo scrittore britannico Kim Newman, ed il conoscitore di cinema horror Alan Jones i quali sembrano ormai essere diventati una presenza costante nella manifestazione triestina. Coordinava l’incontro il noto esperto di cinema Lorenzo Codelli, collaboratore del circolo La Cappella Underground fin dai primi anni settanta. 

Paco Plaza e Enric Folch, spagnoli alla conquista dell'Italia
Paco Plaza e Enric Folch, spagnoli alla conquista dell'Italia

Mi ha fatto enormemente piacere l’arrivo dello spagnolo Javier Romero, direttore  di Quatermass, una delle migliori riviste dedicate al cinema horror esistenti in Europa. In seguito  ho avuto modo di assistere alla proiezione di un delizioso filmetto  proveniente da Barcellona intitolato  Tempus Fugit, diretto dalla sconosciuto Enric Folch, che in Italia sicuramente non vedremo MAI. Come si evince facilmente dal titolo, il film trattava di viaggi nel tempo, ma la sua particolarità  era che era parlato in catalano, e tutta la pellicola era incentrata sulla rivalità calcistica che esiste fra Barcellona e Madrid. Come l'Italia, anche la Spagna ha parecchi problemi con le minoranze etniche e linguistiche. I catalani sono forse un pò più tranquilli dei bellicosi baschi , ma non per questo  meno orgogliosi ed ostili nei confronti della maggioranza castigliana che fa parte del governo di Madrid. Un pò come i friulani ed i triestini, che ultimamente a livello istituzionale si stanno azzuffando a più non posso. Infine una bellissima sorpresa ci ha riservato il film francese  Atomik Circus - Le retour de James Bataille  di Didier e Thierry Poiraud (Francia 2004). Il film era anche una scusa per lanciare alcuni videoclip della nota cantante Vanessa Paradis, ma non per questo era meno simpatico e divertente. Prima della proiezione il regista ha esortato il pubblico a fumarsi qualche spinello, perchè in questo modo il film sarebbe stato apprezzato di più. Io mi sono dovuto accontentare del solito paio di bicchierozzi di vino che avevo in corpo, ma andava bene anche così. Il film era costellato di trovate demenziali e sgangherate che hanno lasciato costernato ed esterrefatto il numeroso pubblico presente. Tutto molto ingegnoso. Io non sono riuscito a ridere, ma forse non sono abbastanza spiritoso.

La figlia del capo del villaggio è una giovane canterina che se la spassa con un motociclista. A causa di un incidente, il centauro viene sbattuto in galera, ma evade subito. A questo punto il film comincia a somigliare maledettamente al famoso "cult movie” Dal tramonto all'alba  (USA 2001) di Robert Rodriguez. Solo che invece di zombies e vampiri ci sono i mostri provenienti dal pianeta Lovecraft. Dal cielo arriva una enorme palla di fuoco che si schianta dietro ad una collina. Nessuno se ne accorge, ma poco dopo dalla meteora cominciano ad uscire dei mostri tentacolati svolazzanti che sembrano usciti pari pari dai primi giochini computerizzati di vent'anni fa. Il loro principale passatempo è succhiare via le facce della gente e mettere i tentacoli nel  posteriore degli impresari teatrali.  Sono gli  shub nigurrath, i servi di Ctulhu, venuti a preparare il mondo all'avvento dell' Era dei Mostri. Ad essi si accompagnano delle piccole creature dagli artigli taglienti e nere come la pece, turisti provenienti dal pianeta dove  David Twohy aveva ambientato il film Pitch Black (USA 1999). A un certo punto uno dei polipi volanti succhia via la faccia del tizio con il cane, lasciando al suo posto un teschio scarnificato e gocciolante. A un passante che lo guarda preoccupato costui senza scomporsi troppo gli dice che non c'è nessun problema, e lestamente si reca alla festa del villaggio per fare il suo numero con il cane. Intanto l'impresario con il tentacolo nel sedere ha subito una interessante trasformazione ed è diventato l'incarnazione umana del dio Ctulhu. Durante la festa del villaggio, proprio mentre il tizio pizzica il bubbone del suo disgraziato botolo,  Shub Nigurrath  e  Pitch Black arrivano in massa per divertirsi un pò, ma la loro presenza non viene apprezzata e succede un massacro. Venti minuti di teste mozzate, budella strapazzate e corpi umani tagliati a pezzi, con un sottofondo musicale che spaccherebbe le orecchie anche a chi è sordo dalla nascita. Finalmente il  motociclista arriva, si veste con una tuta di astronauta, ammazza Ctulhu con una specie di bazooka, e fugge in un altro continuum spazio temporale assieme all'amata stella canterina. Fine della storia. Da notare che il film è fatto con tanti soldi, girato su grande schermo, attori molto bravi ed effetti speciali accettabili. Si vede che in Francia hanno molto denaro da spendere per fare robe strane. Dopo di questo, a mezzanotte vi è stata la proiezione del film I tre volti del Terrore (Italia 2004) di Sergio Stivaletti, ma io sinceramente ne avevo abbastanza, e sono scappato a casa. Ho dormito come un sasso, ed ho fatto dei bellissimi sogni.

Domenica 21 novembre forse è stata forse la giornata più moscia di tutto il Festival. La science fiction si è vista solo nella sezione retrospettiva, con il vecchio film The Damned (UK 1963) di Joseph Losey, primo premio assoluto al 2° Festival Internazionale del Film di Fantascienza di Trieste (1964). Dopo c’era la riedizione di sette puntate di un antico serial televisivo tedesco in bianco e nero Raumpatrouille Orion, passato nel 1966 senza lasciare traccia anche sugli schermi italiani, e poi basta. Non si poteva certo chiamare fantascienza Il magico natale di Rupert di Flavio Moretti (Italia 2004) presentato in concorso, una fiaba ingenua adatta ai bambini di due o tre anni.

E nemmeno il film amatoriale in bianco e nero American Astronaut  (USA 2002), girato con pochissimi mezzi dal musicista Cory Mc Abee, quasi un omaggio al cinema minimalista di Jim Jarmush. Altri film in programma, i vecchissimi thriller A man on the beach di Joseph Losey (UK 1956), e Taste of Fear di Seth Holt ( UK 1961 ), che c’entravano con la fantascienza come i classici cavoli a merenda. L’unica grossa produzione cinematografica presentata, peraltro in uscita imminente sugli schermi italiani, è stato lo spagnolo  Romasanta - I delitti della Luna Piena di Paco Plaza, pregevole opera prodotta dalla factory di Brian Yuzna, incentrata sulla storia di un serial – killer vissuto nella regione spagnola della Galizia a metà dell’ottocento. Ma, a parte il fatto che costui era convinto di essere un lupo mannaro e perciò aveva ucciso e sbranato una quindicina di persone, che cosa c’entrava tutto questo con la fantascienza? Nessuno lo sa. La giornata si è conclusa a notte fonda con la presentazione di una ennesimo horror movie intitolato proprio The last horror movie (magari !), diretto dal bravo Julian Richards, di cui l’anno scorso a Science plus Fiction avevamo potuto ammirare l’ottimo Darklands ( UK 2002 ), purtroppo mai uscito sugli schermi italiani. Ma, e lo ripeto ancora una volta a costo di sembrare logorroico, gli spettatori desiderosi di avventure fantascientifiche sono rimasti a bocca asciutta.

Jimmy Sangster e John Phillip Law
Jimmy Sangster e John Phillip Law

Unico raggio di sole in quella giornata plumbea, l’attribuzione del premio “Urania d’Argento“ al vecchio sceneggiatore e regista della Hammer Film, Jimmy Sangster (78 anni). Il riconoscimento gli è stato consegnato  dall’attore John Phillip Law (anni 67), reduce dall’ultimo film di Sergio Stivaletti. La sua presenza a Trieste, peraltro non annunciata, è stata una lietissima sorpresa. Costui, di fronte ad un pubblico incuriosito e affascinato, ha improvvisato un duetto a colpi di reminiscenze cinematografiche con Jimmy Sangster. Ma la cosa più bella è stata l’omaggio che l’attore americano ha voluto fare al nostro Mario Bava, quando qualcuno tra gli spettatori gli ha chiesto di ricordare qualche aneddoto riguardante la lavorazione del film Diabolik (Italia 1967). Secondo John Phillip Law, al regista italiano non bastava che attori e tecnici fossero bravi, ma desiderava che nella “troupe” si stabilissero dei sentimenti di vero cameratismo, stima reciproca e solidarietà umana. Per questo, dopo  una settimana di prove per il ruolo di Eva Kant aveva scartato la famosissima ma troppo aristocratica Catherine Deneuve, e aveva preferito la spumeggiante Marisa Mell, molto più adatta a quel clima di fraterna collaborazione che lui desiderava. In questa occasione ho apprezzato molto la presenza a Trieste del direttore di “Urania “ Giuseppe Lippi, il quale assieme al noto esperto di cinema spagnolo Carlos Aguilar,  e al Direttore del Festival Daniele Terzoli hanno vivacizzato l’incontro con i “ mostri sacri “ organizzando una serata veramente interessante e divertente.

E veniamo a lunedì 22, quello che è stato il giorno più interessante del  Festival, nel corso del  quale è stato proiettato il film che si è portato via il primo premio, il mitico Asteroide. Si tratta di Able Edwards di Graham Robertson (USA 2004).

Questo giovanissimo graphic designer ha costruito in maniera artigianale un piccolo capolavoro in bianco e nero ispirandosi sia al  film Quarto Potere  (USA  1941) di Orson Welles, che alla vita di un personaggio famoso in tutto il mondo, Walt Disney. Il film è stato realizzato praticamente nella cantina del regista, con l’aiuto della fidanzata e pochi amici, grazie ai 64 mila dollari sganciati sulla fiducia dal regista Steven Soderbergh, il quale così è riuscito a farsi perdonare il deludente remake del vecchio film Solaris di Andrei Tarkovskij. I soldi se ne sono andati prevalentemente per pagare gli attori in carne e ossa, i quali hanno lavorato per soli quindici giorni recitando quasi sempre in una scena vuota davanti a un “blue screen“. Per realizzare il resto del film invece ci sono voluti due anni. Ne è scaturita un’ottima pellicola, un misto di “live action“ e “computer graphic”, che non sfigura di fronte a filmoni miliardari come Sky Captain and the world of tomorrow (USA/ GB 2004) di Kevin Conran.  Anche l’epoca è la stessa. Fin dalle prime inquadrature ci si rende conto che il film di Graham Robertson è girato con lo stile, i ritmi e perfino la musica dei drammoni familiari americani degli anni ’40. Solo che si tratta di un film di fantascienza, e di quella buona. Mettendo in opera una specie di distorsione temporale, il film è ambientato in quello che potrebbe essere il futuro immaginato da uno scrittore di science fiction degli anni ‘30 . Niente seconda guerra mondiale, e nemmeno bombe atomiche, ma il mondo viene distrutto lo stesso dall’avidità umana che provoca delle mutazioni climatiche irreversibili. In queste condizioni i superstiti sono costretti a fuggire in enormi agglomerati di stazioni spaziali dove la tecnologia avveniristica si accompagna con delle scenografie estremamente retrò. Porte di palissandro, mobili di mogano e scintillanti candelabri costellano la lussuosa dimora orbitante di Able Edwards, il clone di un famoso “cartoonist “ americano divenuto potentissimo, e specializzato nella costruzione di parchi dei divertimenti a tema. Le sue industrie dopo i disastri ambientali sono state però riconvertite nelle più utili fabbriche di androidi, ma il clone soffre di un fortissimo complesso di inferiorità  nei confronti dello scomparso originale, e cerca perciò di ricostruire un parco stile Disneyland anche nello spazio. L’operazione in un primo tempo sarà un successo, ma alla lunga si risolverà in un completo disastro. Questa in sintesi la trama di  Able Edwards, un film che mi ha lasciato stupefatto per la somiglianza non solo fisica dello sconosciuto protagonista con il personaggio realmente vissuto. Egli riusciva ad imitare alla perfezione anche le movenze e gli atteggiamenti del vero Walt Disney, quali si possono vedere nei documentari dell’epoca. Mi meraviglia molto il fatto che i suscettibilissimi avvocati della multinazionale The Walt Disney Company non abbiano intentato una causa miliardaria al regista Graham Robertson, portandogli via anche le calze e le mutande. Ma forse per un supercolosso di quelle proporzioni un filmetto del genere, per quanto ben fatto, dà meno fastidio di un moscerino.

Pollice verso  per Crash Test, di Sam Voutas una poverissima pellicola sperimentale australiana platealmente scopiazzata dal film  Crash (Canada 1996) di David Cronenberg.  Molto meglio invece Red Cockroaches (Scarafaggi rossi) di Miguel Coyula. Il regista è un cittadino cubano uscito liberamente dall’isola caraibica, che ora vive e lavora a New York City. Questo per dimostrare che non tutti i cubani che vivono negli USA sono andati a ingrossare le fila della mafia di Miami Beach. Sembra che al compagno Fidel Castro la fantascienza non piaccia per niente, soprattutto quella americana, ma questo non ha impedito a Miguel Coyula di confezionare con meno di duemila dollari un piccolo gioiellino visionario con degli scarafaggi mutanti che provocano delle terribili allucinazioni le quali portano inevitabilmente le loro vittime alla pazzia. Purtroppo nel film non si capiva quasi niente, e alla fine tutte le vicende erano lasciate in sospeso. Il regista ha poi spiegato che quest’opera era la prima parte di una trilogia nel corso della quale sarebbe stato spiegato tutto quanto, ma poichè la realizzazione del  film in questione aveva richiesto ben 4 anni, per vedere come andrà a finire dovremo attendere fino al 2012. Speriamo bene!

Nella tarda serata è successo uno dei soliti disguidi organizzativi che mi hanno fatto imbestialire. Sono stati proiettati due film recentissimi in due sale diverse contemporaneamente, quindi per assistere alla proiezione del western visionario miliardario Blueberry di Jan Kouen (Francia 2004), ho dovuto rinunciare a vedere l’horror inglese London Voodoo di Robert Pratten (UK 2004).

Pazienza. Comunque il film francese valeva la pena, anche se della “ bande desinèè “ di Jean “ Moebius “ Giraud rimaneva ben poco. Il film infatti si riferiva ad un episodio giovanile della vita di Blueberry, quando si chiamava ancora Mike Donovan, prima della Guerra di Secessione. Il regista Jan Kouen  deve essersi sciroppato tutti i libri di  magia indiana scritti da Carlos Castaneda, poi si è fatto le ossa realizzando documentari sulla cultura esoterica degli antichi messicani, e si vede. Il film sembra iniziare come un normale western, ma poi scivola inesorabilmente verso il soprannaturale concludendosi con ben 40 minuti di straordinarie immagini computerizzate create apposta per illustrare le allucinazioni provocate dai funghi velenosi ed altre misture infernali che i pellerossa usano per entrare in contatto con il proprio “ io “ interiore . Devo dire che dopo i primi 20 minuti la cosa ha cominciato ad annoiarmi fino all’irritazione. Era come essere costretti a mangiare per forza un pasto troppo abbondante… Sono uscito dalla sala intontito e con addosso un enorme male di testa. Ma anche qua, la fantascienza cosa c’entrava ?

Senza storia la giornata di martedì 23, dominata dalla sezione retrospettiva. Unica cosa degna di nota la presenza  di Carlo Rambaldi, il creatore di E.T., arrivato a Trieste accompagnato dalla moglie per presenziare alla cerimonia di premiazione. Il giorno prima era sbarcato da un’astronave di passaggio anche il buon Vanni Mongini, il quale ha detto che mi portava i saluti di un certo Ugo Malaguti. Bene, ho detto io, questo vuol dire che il mio direttore- editore preferito si ricorda ancora di me. E’ stata notata la presenza del giornalista Franco Clun, altro ospite fisso del Festival, il quale dirige le riviste online delosbooks e fantasymagazine.  Comunque durante la conferenza stampa Carlo Rambaldi mi è sembrato alquanto svogliato e amareggiato, e le sue risposte alle domande dei giornalisti sono state piuttosto limitate e insoddisfacenti. 

Gianni Ursini con Carlo Rambaldi
Gianni Ursini con Carlo Rambaldi

Per fortuna ad un certo punto c’è stata la rimpatriata di alcuni vecchi “fanzinari “, come Francesco Faccanoni, Fabio Calabrese e il sottoscritto i quali assieme a Giuseppe Lippi hanno ricordato i bei tempi della “fanzine“ Il Re in Giallo ( 1976 – 1980 ). Una  lietissima sorpresa è stata l’arrivo del dott. Fabio Pagan, della giuria del Festival, reduce dalle celebrazioni del quarantennale del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, grande  giornalista e divulgatore scientifico, nonché collaboratore di due delle più antiche “fanzine” della storia della fantascienza italiana, Hypothesis e Decimo Pianeta (1966). La giornata si è conclusa alle ore 22.30 con la proiezione fuori concorso del film Donnie Darko (USA 2001) di Richard Kelly. Sconsigliato a chi soffre di crisi depressive. Per indurre nello spettatore un senso di angoscia e di terrore, non occorre mica creare la storia di un serial killer, come nel  Silenzio degli Innocenti. Basta descrivere fedelmente quello che può succedere durante un mese qualunque in una normale cittadina universitaria americana del 1988. Credo che in  Donnie Darko la fantascienza sia stata solo una scusa per diffondere le opinioni politiche radicali degli autori del film. Per non spendere troppo hanno usato degli effetti speciali digitali antidiluviani, come il tubo d'acqua risalente addirittura al vecchio film di James Cameron  The Abyss  (1989) che qui viene trasformato in una specie di "Wormhole". Tutta la storia ha un andamento circolare, quindi tutti gli avvenimenti descritti nella pellicola rimangono nel limbo delle possibilità irrealizzate, come succedeva nel recente film  The Butterfly Effect (USA 2003), ma potrebbero essere anche solo un delirio schizofrenico e paranoico che affligge la mente del protagonista. Nessuno lo saprà mai. Come io non comprenderò mai perchè codesto film sia stato presentato come uno dei migliori film di fantascienza prodotti dagli USA negli ultimi anni.

In conclusione, credo che Science plus Fiction 2004 sia stata una manifestazione riuscita parzialmente a causa dei suoi numerosi problemi organizzativi, ma in ogni caso posso dire che almeno la fantascienza era presente in maniera leggermente più consistente rispetto alla edizioni precedenti.