Isaac Dan der Grimnebulin è uno scienziato, uno di quelli che lavora nell’ombra alle sue grandi intuizioni; è animato dalla vera passione dello studioso. Quando Yagharek, un garuda, una specie di uccello antropomorfo e senziente, gli chiede di restituirgli la gioia del volo in cambio di oro, lo scienziato accetta la sfida. Il problema è tutt’altro che semplice: come ricostruire a Yagharek le ali che i consanguinei hanno segato, in seguito al grave crimine che ha commesso?

Questa stimolante domanda, e la conseguente ricerca, scatenerà un flagello che si abbatterà sulla megalopoli di New Crobuzon, sconvolgendo la vita dello scienziato e degli altri protagonisti.

Un flagello che dev’essere fermato.

Molte cose si agitano in questo voluminoso Perdido Street Station di China Mieville. Il testo è decadente fino allo sfinimento; sembra che l’autore abbia gironzolato per la sua Londra e ne abbia costruito una versione deviata, corrotta dal tempo e da un mondo alieno, chiamandola infine New Crobuzon.

Ciò che colpisce di questo romanzo non sono i personaggi ben caratterizzati - e se non lo fossero con tutte quelle righe a disposizione, saremmo autorizzati a piangere - ma la visione. China Mieville è un visionario, la cui fantasia non è seconda a nessuno. Pensare a una città vasta come New Crobuzon - o come Londra - è pensare a un universo, e l’autore riesce a trasmettere la sensazione di caos ordinato che un universo fatto di miliardi di particolari trasmette. Di più, ne trasmette la profondità, spesso abbozzando e infine accantonando intuizioni su cui altri autori avrebbero scritto interi romanzi.

In quest’affascinante ambientazione, troppo complessa per essere qui descritta, si muovono ulteriori visioni altrettanto degne di nota, non più “fisiche”, bensì “concettuali”. Il Tessitore, enorme dio-personaggio aracneo, che scorge e tesse l’invisibile tela degli eventi, ne è l’espressione somma.

Non soltanto visione, dunque, ma anche spessore.

Perché “buono”, quindi, anziché “ottimo”?

In primo luogo perché, come a volte capita ai visionari, il testo è un fiume di parole in piena. Il dio-personaggio Tessitore ama più di qualsiasi altro oggetto le forbici, le colleziona; in tutta evidenza, così non è per il suo creatore. Il testo si trascina troppo spesso in descrizioni esasperanti, impantanandosi nel sudiciume che impera su New Crobuzon. Oltre tutto, lo stile è barocco, a volte perfino arzigogolato, e la lettura si inceppa. Traduttrice o autore? Sono certo il peccato sia riconducibile al testo originale, pur concedendomi il beneficio del dubbio.

In secondo luogo, perché la trama ha, nel suo evento cardine, un neo talmente vistoso che mi irrito al solo ricordo. Aggravante, tale evento ha luogo all’incirca a pagina 250; fino a quel punto succede poco o niente. Non sono un patito dell’azione a qualsiasi costo, anzi, ma un terzo di romanzo privo di eventi rilevanti è troppo.

Tutto questo mi porta a giudicare buono un romanzo che sarebbe stato ottimo, se soltanto fosse intervenuto il Tessitore, con le sue forbici.