FitzChevalier, il bastardo reale, sta crescendo. Ormai non è più un ragazzino inesperto: gli si legge in volto il sangue del padre e il marchio dei Lungavista.

È sopravvissuto alla più importante missione da quando è divenuto l’assassino del re. Eppure, spezzato nel corpo e amareggiato nello spirito, il bastardo reale sogna di rompere la promessa fatta a re Sagace, rimanendo nel lontano regno delle Montagne.

Tuttavia sentimenti contrastanti fanno breccia nell’autocommiserazione del giovane Fitz: l’amore mai del tutto dimenticato per Molly, la fedeltà al re e una crescente consapevolezza del proprio ruolo nei sei ducati lo riporteranno a Castelcervo.

Nella sua vecchia dimora lo attenderanno tragici eventi e i mortali intrighi dei Lungavista. Solo a Castelcervo potrà venire a patti con i propri demoni e affinare l’innato talento in “spirito” e “arte”. I forgiati, le navi rosse e l’ambizioso principe Regal saranno solo alcuni dei nemici, che dovrà affrontare per salvare i sei ducati, mentre continua la ricerca del proprio posto nel mondo.

La scrittrice Robin Hobb, pseudonimo di Margaret Lindholm, conferma ciò che di buono si era visto e letto nel primo volume della saga dei Lungavista.

L’epopea dei Lungavista continua ad arricchirsi di nuovi elementi e nuove tessere prendono posto nel mosaico della trama.

Da questo secondo volume si capisce che quello della Hobb è un progetto a lungo termine e, sembrerebbe, anche a largo respiro*.

La prima impressione, che avevo avuto leggendo L’apprendista assassino, era quella di un’ambientazione claustrofobica, che si limitasse a Castelcervo e poc’altro. Mi dissi: «Il solito romanzo di corte».

L’assassino di corte è servito a cancellare qualche dubbio a riguardo.

Il secondo romanzo di The Farseer Trilogy fonda le proprie fortune sui personaggi ben congegnati e sullo svolgimento narrativo, più che su accattivanti ambientazioni, però vi si respira un refolo di cambiamento.

Sebbene il romanzo si svolga principalmente alla corte dei Lungavista, il progetto narrativo assume una connotazione più ampia e dai risvolti complessi. Il tema dell’analisi politica e dell’equilibrio dei poteri diviene più sottile e sofisticato, seguendo parallelamente la maturazione del protagonista.

Le molte domande, che la Hobb abilmente ci pone nel primo volume, trovano in parte risposta ne “l’assassino di corte”. La precisione con cui molti dei pezzi combaciano è mirabile e soddisfa anche il lettore esigente.

La caratterizzazione dei personaggi è molto reale. Regal, Burrich, Veritas, Sagace, Molly, Umbra, Ketticken e perfino il Matto, sono personaggi credibili e con uno scopo. Sono personaggi che amano, che hanno debolezze reali e desideri ancor più reali. Sono personaggi la cui fedeltà è sempre complessa.

La Hobb, infatti, ci spiega con molto realismo che la fedeltà è angosciosamente relativista. Il Matto, Fitz e perfino Regal sono semanticamente fedeli… ma non tutti sono fedeli allo stesso principio superiore. C’è chi è fedele a una persona, che non è sempre la stessa, chi a una causa e chi a un fine. In tutto questo ci siamo noi, deus ex machina, che osserviamo dall’alto, come Umbra dalla sua stanza, i rapporti interpersonali e, quando qualcosa ci sfugge, la Hobb ci riporta sulla retta via.

FitzChevalier inoltre è un protagonista umano, facile alla depressione come agli entusiasmi. È un eroe che denota grande maturità, ma anche le pecche di una giovinezza dalla quale non si è ancora del tutto separato.

Nella caratterizzazione di Fitz l’autrice affronta con abilità temi delicati, che rischiano spesso una trattazione banale. Il proprio posto nello schema delle cose; lo sforzo per fuggire da un destino che sembra essere stato disegnato da altri; la paura, propria delle scelte difficili, che porta a rimandare; sono tutti quesiti che un adolescente e un giovane uomo sulla strada della maturità affrontano spesso, se non sempre.

Pur non tralasciando in alcun modo l’analisi dei personaggi, L’assassino di corte è un romanzo ricco d’avventura e mai noioso. Il nemico può essere sia distante che vicino e dà spesso la sensazione d’essere invincibile, tanto da far sorgere in noi una squisita frustrazione, che costringe alla lettura.

Ci viene svelato qualche altro indizio sulla natura della “magia” nel mondo dei Lungavista. Il rapporto di FitzChevalier con gli animali ricorda un po’ il Perrin di Robert Jordan o gli Stark di George Martin.

Talvolta crudo e violento, ma senza divenire raccapricciante, si presta a essere letto tutto d’un fiato.

Senza dubbio un romanzo maturo, interessante e intelligente.

* La teoria è confermata dalla pubblicazione di altri sette libri, non ancora tradotti, sempre ambientati nello stesso mondo e cronologicamente collegati. Oltre ad Assassin’s Quest, libro finale della prima trilogia, vi sono anche The Liveship Traders Trilogy (Ship of Magic, The Mad Ship, Ship of Destiny) e The Tawny Man Trilogy (Fool's Errand, Golden Fool, Fool's Fate).