Jennsen è una ragazza che fugge da vent’anni. Fugge con la madre dal demone che l’ha generata e vuole vederla morta a tutti i costi.

Un demone dall’aspetto bellissimo, ma diabolico: Darken Rahl.

Darken Rahl, però è morto, ma questo non è un sollievo, perché è stato ucciso da suo figlio Richard Rahl, un uomo ancora più crudele del padre, che ha sposato una donna altrettanto crudele, la Madre Depositaria.

Riuscirà Jennsen a sfuggire alla presa di quel nuovo demone, lei che porta il nome dei Rahl?

Dopo essersi ripreso dal brutto 5° volume di questa saga, grazie al 6°, Terry Goodkind si riperde un po’. Il libro non è malaccio, ma ha dei difetti senza i quali si sarebbe potuta leggere un’altra bella storia.

Il maggior difetto di questo I Pilastri della Creazione è la mancanza di equilibrio. In pratica, il romanzo parla solo di Jennsen, sorellastra di Richard e della sua fuga dai soldati del D’Hara, che la vogliono uccidere. La ragazza è aiutata da un certo Sebastian, che si scopre essere lo stratega personale di Jagang. Anzitutto, sarebbe ora di smetterla con tutti questi fratelli e sorelle! Va bene che Darken Rahl era una sorta di Casanova, ma trovare qualche nuova idea sarebbe non sarebbe così disdicevole.

A parte l’inverosimiglianza di alcuni eventi orditi da Sebastian e di alcune azioni compiute da Jennsen, la trama fa troppo leva sul “non detto”, sfruttando i particolari omessi nei libri precedenti. La cosa in parte soddisfa alcune curiosità, ma di contro l’autore sembra appigliarsi a ogni piccolezza pur di scrivere qualcosa.

La stessa Jennsen è poco credibile. Si comporta, a seconda dell’occasione, come una contadinella ingenua o come una spia dal sangue freddo. Come ho già scritto altrove, anche se si tratta di un libro fantasy, la verosimiglianza dei personaggi è una delle condizioni essenziali affinché una trama sia credibile.

Nel resto del libro scopriamo l’esistenza di un altro fratellastro (di questo passo si scoprirà che anche Kahlan è sorellastra di Richard?), sacrificato alle esigenze di trama, risultando infine ridicolo e ridondante; Goodkind dà l’impressione di non saper come risolvere certe situazioni. A causa dei suoi comportamenti assurdi, che spaziano tra diversi opposti, il fratellastro rende la trama più evanescente, anziché consolidarla.

Una nota positiva viene dall’introduzione dei cosiddetti “Buchi nel Mondo”, dei quali non vi posso parlare, per non anticiparvi parte della trama. Sicuramente l’autore li sfrutterà anche nei prossimi romanzi, secondo me, perché permetterebbero alla trama dell’intera saga di evolversi in più direzioni.

Anche il finale non mi ha soddisfatto: si esaurisce in fretta ed è pure un po’ scontato.

Se il libro fosse stato “normale” e quindi avesse raccontato di Richard, Kahlan e Jennsen, sarebbe stato decisamente migliore e probabilmente ben bilanciato. Così, invece, risulta un libro messo insieme sfruttando particolari non approfonditi in precedenza. Sembra quasi che, se a Richard e Kahlan non accade qualcosa di tremendo, Goodkind ritenga inutile raccontare una storia.

Spero il prossimo romanzo (“Naked Empire”) sia migliore.

Consiglio di leggere questo volume agli appassionati della saga: è breve e non si fa troppa fatica a finirlo.