Cinque ragazzi freschi di college decidono di passare qualche giorno nei boschi, in un cottage isolato. Un uomo infettato da un terribile virus che divora pelle e carne spargerà il contagio fra i nostri che non troveranno aiuto né presso gli abitanti locali né dalle forze dell’ordine. Il virus porterà a galla tensioni e punti di rottura all’interno dell’affiatato gruppo fino al tragico epilogo...

State attenti a ogni futuro film targato Eli Roth, è un tipo pericoloso, molto più del virus che ha ripreso!

Se il cinema horror americano facesse affidamento solo a prodotti come Cabin Fever sarebbe facile ipotizzare un'evoluzione destinata a portare ben presto pellicole di questo tipo a fondersi con film come American Pie, fino a generare un filone unico, davvero demenziale. I teen ager non meritano di essere torturati con visioni di questo genere.

Questo è, probabilmente, il punto di non ritorno di certo teen horror. L’idea di base tende a pescare nello stesso brodo primordiale di La Casa e simili, con una strizzata d’occhio a Un tranquillo week end di paura o The Blair Witch Project, ma i risultati non sono altrettanto felici. Naturalmente alla base del fallimento vi è un copione inconcludente, che sembra scritto da una persona mai uscita di casa e privata di ogni possibilità di confronto con la realtà. I personaggi dicono e fanno cose assurde in continuazione, tanto che si giunge al punto di non riuscire a seguire la vicenda, resa ostica dalla totale mancanza di logica in ogni singolo atto. Nei minuti iniziali si pensa a una volontaria e ironica presa in giro del genere e si ride, ben disposti, ma presto ci si accorge che il film continuerà su questi toni assurdi per più di novanta minuti, somigliando sempre più a una commedia di Ionesco. Impossibile simpatizzare con il branco di zombi privi di cervello che si agita sulla pellicola, impossibile provare il minimo brivido o il minimo interesse per i risibili effetti speciali, impossibile non provare pietà per Angelo Badalamenti che si è andato a ficcare in un tale macello. Ho letto certe critiche che parlavano di tematiche importanti per questo prodotto, quali il rapporto fra città/civiltà e natura selvaggia, distruzione progressiva dei rapporti interpersonali nei momenti di tensione e così via: è francamente impensabile di scovare tali sensi in questo ammasso di inquadrature stupide, a prescindere da ogni gusto personale. Si giunge al culmine dell’irritazione quando il direttore della fotografia vira certe scene in rosso credendo di operare un qualche tipo di scelta artistica.

Ormai è chiaro che alcuni a Hollywood ritengono il pubblico di questo filone composto unicamente da una massa di minorati mentali, ma in questo caso si è davvero passato il limite: ci sono alcuni istanti che possono uccidervi dalle risate involontarie. Per esempio: a un certo punto uno dei ragazzi cerca di chiedere aiuto presso un emporio locale, ma un esile ragazzino biondo sulla veranda si alza e lo attacca con alcune mosse di kung fu in stile Matrix, in uno dei momenti più inspiegabili dell’intera storia del cinema moderno; o, ancora, quando uno degli sventurati viene ricoverato in ospedale e vede di sfuggita un medico con la testa di coniglio!

Per fortuna altri film dello stesso genere e provenienti dagli USA danno segnali di tipo diverso

Curiosità:

Segnalo le inspiegabili nomination e premi a festival specializzati quali Sitges e il Fant’Asia.

L’idea del virus sembra basata su una malattia realmente esistente. Uno dei fonici è riuscito a sopravvivere proprio a quell’esperienza, dopo cure intensive in ospedale. Afferma che il make up delle vittime è molto realistico.

Durante le riprese uno degli attori, Rider Strong, in un momento di pausa ha vagato per i boschi, coperto da sangue finto, fino ad imbattersi in un gruppo di studentesse. Inizialmente le ragazze hanno urlato terrorizzate ma quando hanno riconosciuto nell’attore la star maschile di un precedente film, hanno cominciato a inseguirlo voracemente. A sentire Strong è stata l’esperienza più terrorizzante della sua vita.