Britannia 500 d.C. circa. Un gruppo di intrepidi cavalieri Sarmati guidati dal loro comandante Artù, viene mandato a compiere un’ultima pericolosissima missione: salvare una nobile famiglia romana rimasta intrappolata oltre il Vallo di Adriano, il cui rampollo è un protetto del Papa.

Naturalmente le cose non vanno esattamente come dovrebbero, i cavalieri si vedono costretti a portare in salvo, oltre alla famiglia, un cospicuo numero di prigionieri tra cui la bella Ginevra mentre le orde dei Sassoni invadono l’isola.

Non c’era bisogno di scomodare i miti arturiani né di stravolgerne l’iconografia classica per realizzare un film così irrimediabilmente brutto, un pasticcio inutile e molesto.

Non è il contesto che dà fastidio, né la rilettura storica, né eventuali inesattezze: King Arthur è presuntuoso, mal fatto, gli attori sono pessimi, le comparse si agitano senza costrutto, la recitazione è parrocchiale, la regia inesistente, la musica tronfia, ripetitiva fino all’ossessione, invadente laddove non serve e assente nei momenti in cui ce ne sarebbe bisogno, della fotografia meglio non parlare.

Non manca neanche una nota di biasimo per il doppiaggio: dopo decenni di riconoscimenti per la nostra scuola, un branco di asini recita l’inesistente copione senza curarsi minimamente della sincronia.

Il soggetto forse esiste, benché fumoso e pieno di discrepanze, ma sono i dialoghi a lasciare attoniti: non c’è battuta, alla lettera, che anche lo spettatore meno smaliziato non possa anticipare, personalmente mi sono sentito alla disperazione.

Non viene mostrato un benché minimo antefatto, l’insieme è così frammentario e spezzettato da trascurare ogni spiegazione plausibile in merito alla domanda che dovrebbe essere alle radici del film: perché Arthur viene incoronato re di Britannia e perché Merlino ci tiene così tanto alla sua consacrazione?

La leggiadra Ginevra
La leggiadra Ginevra

Si assiste a una serie di bozzetti senza approfondimento, dove i personaggi sono stereotipati e alcune tracce che appaiono interessanti vengono lasciate morire senza logica: che cosa succede, per esempio, al giovane rampollo del Papa, conquistato in apparenza dalle teorie libertarie di Arthur? Sparisce nel nulla, sorte francamente un po’ strana per la molla generatrice della storia.

Va anche rilevata l’ignoranza degli sceneggiatori in merito alla reale geografia inglese: l’Inghilterra sarà anche il Piccolo Scoglio Orgoglioso cantato dai poeti, ma è difficile accettare che eserciti di fanti o anche squadroni di cavalieri la possano percorrere da sud a nord, e viceversa, in pochi giorni.

Lungo da morire, improponibile, indigesto, indubbiamente girato in vecchio stile ma nel senso peggiore che si può dare al termine: in un torpido deja vu, mi sono sentito trasportare indietro di trentacinque anni per assistere a due insulsi film dell’epoca, co-produzioni tra Italia, Francia e Romania, I Daci e La Colonna di Traiano, glorificazioni, a uso di non si sa chi, delle gesta del re Decebalo contro le legioni Romane, film nati quando il genere “polpettone” era agonizzante se non defunto.

Stesso poverismo d’accatto, stesso infimo pressappochismo, stessi toni da recita scolastica. Il capo dei Sassoni si comporta come un barbaro da operetta, che mugugna frasi identiche a quelle del suo collega nel vecchio libro Roman Go Home, divertente satira sulla fine del dominio romano in Britannia. Chi dovrebbe ridere davanti alla battuta che rivolge a uno dei suoi guerrieri che sta violentando una delle prigioniere: “Non mischiate il nostro sangue con il loro”? Con una spintarella sull’acceleratore ne sarebbe potuto venir fuori un esercizio sulle invasioni sassoni degno di Monty Python.

Lancillotto, Ginevra e Artù con aria perplessa
Lancillotto, Ginevra e Artù con aria perplessa

Merlino, da altri descritto come “un astuto politicante”, è un personaggio solo vagamente abbozzato, che entra in scena troppe poche volte per poter essere delineato, oltre che dell’aura di magia alla quale siamo abituati è privo del benché minimo carisma.

Che dire della decantata Ginevra in abiti succinti? Beh, non sono neanche così succinti da suscitare palpiti golosi, e comunque l’onnipresente pelle blu le sta malissimo, sembra la puffetta guerriera.

Lancillotto è ben lontano dalla figura dilaniata tra amicizia e stima per il suo Re e amore per la donna del suo Re che conosciamo, ma sembra piuttosto un eroe malgré soi che ricorda fin troppo il personaggio interpretato da Robert Vaughn in I Magnifici Sette, film fin troppo saccheggiato da King Arthur.

Giudizio una stellina, ma voi fate conto che io non ce l’abbia messa. Un ultimo appunto: la libertà di rappresentazione è, purtroppo, anche ciò che permette a un regista presuntuoso e incapace come Antoine Fuqua di citare, malissimo, l’Alexander Nevski di Eisenstein.