Nicolò Dal Molin sbarrò gli occhi e si rizzò a sedere. Spense in fretta la brace che ardeva nella buca, aggiunse l’erba bagnata che aveva in precedenza raccolto e liberò il respiro.

Guardò il cielo, calcolando la posizione del pallido sole. Non capendo quanto avesse dormito, calcò il cappello a cilindro sul capo, si avvolse nel vecchio tabarro sgualcito, prese la carne e la verdura dal cesto e appoggiò tutto nel terreno. Quindi ricoprì la buca con un altro strato di erba bagnata e versò sopra l’acqua necessaria per produrre il vapore. Di nuovo quello stupido sogno.

Si trovava sull'isola da più di un mese e l’immagine di se stesso che cadeva nel vuoto, spinto da chissà chi, era l’unica fantasia che la mente riuscisse a proporgli ogni volta che chiudeva gli occhi.

Coprì la buca con sassi piatti e un pezzo di stoffa e andò a raccogliere altra terra per impedire la fuga di vapore. Ricontrollò il cielo. Prima che i campanili dei villaggi della terraferma avessero suonato il Vespro, sarebbe venuta giù qualche goccia, sicuramente. Non era più un cielo da neve e le montagne a settentrione, ancora imbiancate, avevano smesso di soffiare vento freddo.

Sistemò meglio la maschera che all’altezza del naso e della bocca si prolungava a formare un becco adunco. Dentro Dal Molin aveva messo erbe aromatiche, rosmarino, ginepro. Mentre attendeva che la cena cuocesse, fece un altro giro di ispezione per controllare che le trappole per i giullari fossero a posto. Ne aveva piazzata una appena fuori della recinzione, una grossolana “schiaccia” con due bastoni che reggevano una pietra piatta, l’esca al di sotto. Molto semplice da costruire ma poco efficace, si rimproverò. I giullari non erano così stupidi. Prima di sera l’avrebbe mimetizzata con delle foglie. Dove la boscaglia si faceva più fitta aveva posto una trentina di lacci con asta a scatto, la sua specialità. Bastava che uno di loro, attirato dall’esca, mettesse un piede nel posto giusto, e sarebbe rimasto appeso a testa in giù, con la caviglia legata al laccio: troppo in alto perché gli altri potessero liberarlo. Contava di catturarne almeno una dozzina, in quel modo.

Passò per lo stagno e verificò la funzionalità delle ultime. Sì, potevano andare bene, aveva fatto un ottimo lavoro. Attirati dai biscotti messi come esca, sarebbero rimasti impigliati nei lacci e sarebbero caduti in acqua, trascinando con loro delle pietre. Un galleggiante di sughero legato al masso avrebbe rivelato la posizione, dopo che il corpo e la trappola fossero stati in fondo allo stagno.

Dal Molin trasse del tabacco dal taschino della giacca e sollevò la maschera per infilarlo in bocca. Masticò. Si chinò per sputare, poi riabbassò la maschera e controllò tutt’intorno: gli alberi, la spiaggia. La piccola imbarcazione che stava arrivando dal paese. Sopra c’erano due uomini, uno remava e l’altro teneva sollevata una lanterna, illuminando con un ovale di luce le acque nere.

– Dal Molin – chiamò l’uomo con il lume, scendendo per primo e avvicinandosi. Con sé aveva un piccolo cesto. Agitò la mano. – Dal Molin!

– La buona serata – rispose Dal Molin.

Scese dalla barca anche l’altro uomo, guardandosi intorno circospetto. – V’ho portato delle cose – fece quello con il cesto. Sollevò le sopracciglia quando finalmente si accorse della maschera.

– Sono io – lo rassicurò Dal Molin. – Vi avevo detto di indossarne una anche voi.

– Eh?

– Maschere. Qui attorno l’aria può esser contagiosa.

– Non… Sentite, v'ho portato delle cose.

– Obbligato.

– Tenete.

Dal Molin accettò il cesto. Dentro c’erano salumi, formaggio, polenta e tabacco. – Prezioso  – disse osservando l’ultimo prodotto. – E conosco il modo per ripagare.

– So che siete un gentiluomo e lo farete. Desiderate altro?

– Radica di sambuco. – Dal Molin si toccò lo stomaco. – Un poco.

– Vi ricorderete di…

– Sì?

– Di passar nella mia bottega quando avrete la merce?

– Certissimamente. – La voce di Dal Molin era resa cupa dalla maschera.

– Come avete detto?

– Di certo verrò.

– Intendo dire… da me per primo. Vero?

– Sicuro.

– Sapete quanti dimandano di voi quando tornate con la merce. Non vorrei restare senza come in passato.

– Sarà mia premura andare prima da voi.

– Bene. Bene.

– In grazia ora vi devo chiedere di andarvene subito.

L’uomo la scambiò per una battuta e rise, ma Dal Molin restò serio.

– Credo che essi sieno già fori – precisò Dal Molin.

Il commerciante sgranò gli occhi. – Ma… di già?

– Non decido io quando escono.

– Cielo, ch’io vada, allora. – Il bottegaio fece un cenno all’aiutante. – Saluti, Dal Molin.

– Di nuovo – rispose Dal Molin toccandosi il cappello. Osservò i due uomini andarsene in fretta e sorrise dietro la maschera.

Mentre tornava al proprio rifugio, si guardò intorno, conscio che entro breve l’isola non sarebbe più stata così silenziosa.