Entrare in sala per guardare questo film ha tutta l’aria di un atto di coraggio. Come si fa a scrivere una recensione il più possibile obiettiva, quando se ne sono sentite di cotte e di crude? Prima il romanzo, tanto criticato quanto venduto. Ora il film, con la solita musica che si ripete. I fischi a Cannes hanno aperto la bagarre, gli incassi al botteghino hanno risposto da par loro. Allora, questo film è un’immonda schifezza o è un clamoroso capolavoro? Nessuna delle due, verrebbe da dire, senza farla troppo lunga. Un film che fa il suo lavoro, da cui non era lecito aspettarsi niente di più e niente di meno. Del resto, considerata la storia e considerata la troupe degli addetti ai lavori, non ci sono state sorprese degne di nota. E infatti tutta la pioggia di recensioni negative sparate sui giornali nell’ultima settimana ha parlato di tutto fuorché del film, e gli esperti opinionisti che i giornali hanno intervistato non erano addetti ai lavori ma per lo più eminenze vaticane o esponenti dell’Opus Dei. Cosa potevamo aspettarci?

Questo è il classico caso in cui la materia trattata è così potente da offuscare quasi completamente il lato “tecnico” del film, che infatti non prende mai il sopravvento, non invade, ma sta al servizio della storia. Caratteristica che appare più come un merito che come un difetto. Merito senz’altro di un Ron Howard che si è limitato a far scorrere gli enigmi per due ore e mezzo senza spingere mai troppo sull’acceleratore (forzatura che avrebbe confuso una serie di concetti già duri da digerire), semmai rallentando talvolta per sottolineare il succo del discorso, che lo sceneggiatore Akiva Goldsman ha avuto la bontà di non annacquare per rispetto di una Chiesa quanto mai sul piede di guerra.

In questa chiave vanno considerate le interpretazioni di Tom Hanks, Audrey Tautou, Jean Reno e Alfred Molina, che non bucano mai lo schermo (come in altre occasioni ci avevano abituato, soprattutto Hanks), ma che sono perfettamente credibili e a loro agio nella parte. Altro discorso va fatto per Ian McKellen e Paul Bettany, entrambi davvero straordinari nei loro ruoli.

Tornando alla regia, da sottolineare due aspetti importanti che fanno guadagnare punti al film: gli effetti speciali, di cui Howard poteva disporre a piacimento, forte dei 135 milioni di dollari stanziati, non invadono mai e lavorano egregiamente al servizio del film (l’espediente dei flash-back, sottolineati da una fotografia quasi surreale, spiega in pochi fotogrammi ciò che Dan Brown aveva disseminato a suon di fastidiosi infodump nel romanzo); la scena finale, poi, che accompagna nella notte lo spettatore verso il Louvre sulle note di un Hans Zimmer particolarmente ispirato, è una sequenza certamente di alto cinema.

Due cenni sulla trama, che ormai conoscono anche i muri, per fare qualche altra doverosa considerazione: Robert Langdon, esperto in simbologia, si trova suo malgrado accusato di un omicidio che in realtà nasconde una diatriba millenaria tra una parte oscura della Chiesa e il leggendario Priorato di Sion, fondato per vegliare sul segreto di Cristo che, una volta svelato, potrebbe far crollare il potere del Vaticano sull’umanità.

Fondamentalmente si tratta di un thriller, dove c’è un assassino materiale, un cospiratore dietro le quinte e una buona dose di buoni e cattivi che spesso non sono ciò che sembrano. Una serie di ingredienti potenzialmente capaci di intrattenere e avvincere per due ore e mezzo senza stancare troppo, se non fosse, come già detto, per l’estrema potenza dell’argomento. Un giudizio sul thriller vero e proprio, infatti, supera appena la sufficienza, quando ci si accorge che la storia abbandona una certa struttura per focalizzarsi sulla teoria e le spiegazioni. Testimone di questo, una risoluzione del caso fin troppo banale, che da sola non soddisferebbe neanche il meno esigente degli spettatori.

La trama è stata giustamente snellita di molti rompicato che avevano avvinto il lettore, ma anche questo ha contribuito a danneggiare il thriller a favore della diatriba storica. Il risultato è che il film apparirà grandioso per chi si farà coinvolgere dalla storia alternativa della vita di Gesù, deludente per chi non ne sarà attratto e avrebbe voluto godersi un buon giallo. Come detto in apertura, la verità sta nel mezzo. O, come direbbe l’albino Silas al telefono con l’oscuro Maestro, in medio stat veritas.