Lei è uno dei maestri riconosciuti del fumetto e della narrazione per immagini in Italia: dopo tanti anni di lavoro è un campo che la stimola e la appassiona ancora?

Molto. Mi piace e non ho l'impressione che cambierò idea in fretta. È chiaro che anche facendo un lavoro che piace si possono avere momenti più legati alla routine che alla creatività, però potersi dedicare a un campo che si ama è una grande fortuna. E ci vuole anche fortuna, non va dimenticato. Detto ciò, sì, anche la grafica ha dei momenti un poco più "opachi" – forse anche perché essere creativi 24 ore su 24 porterebbe all'estinizione rapida – ma l'importante è continuare a lavorare. Anche se il risultato finale non fosse quello sperato, è fondamentale dedicarci dell'impegno.

E anche sapersi mettere in discussione, vero?

Sì, direi che è essenziale. Senza troppe indulgenze, se possibile. Anche perché in questo lavoro non si arriva mai, è un percorso continuo, e forse quello che ci tiene in attività è proprio questo stimolo a fare continuamente meglio.

Ci sono sempre dei margini e dei risultati che si vorrebbe superare; cercare di farlo comporta una forte dose di severità. Magari poi non si riesce comunque a ottere quello che si vuole, però quello che importa – almeno per me – è che ci sia una certa tendenza all'autocritica. Che non diventi distruttiva, ovviamente!

È anche faticoso, sapersi mettere in discussione, perché significa che dopo una giornata di lavoro a volte l'unica cosa da fare è strappare tutto e ricominciare.

Anche perché gli unici responsabili del proprio lavoro siamo noi, vero? A maggior ragione in un ambito tanto personale

Certo. Prima ancora del pubblico la persona del cui consenso ci preoccupiamo di più siamo noi stessi. Si sta male all'idea di aver fatto qualcosa che non convince per cui quando si butta via un lavoro che, per qualunque motivo, non funziona, misto al dispiacere per il lavoro sprecato c'è anche un senso di sollievo. Personalmente penso che vada fatto.

Buttare via ciò che non funziona?

Sì, sì. Senza pietà. Anche se è uno dei compiti più spiacevoli di questo lavoro.

Come ha iniziato a dedicarsi al disegno e al fumetto?

Ho sempre amato disegnare e ho preso questa strada abbastanza presto. Di contro, non sono arrivato prestissimo a darmi una mia forma personale. C'è voluto del lavoro (e una discreta dose di fatica), attraverso un percorso graduale. Oggi vedo dei ragazzi giovanissimi già completi ma ammetto di non essere stato altrettanto precoce nel raggiungere un mio modo personale di esprimermi. Trovare il proprio modo di disegnare resta uno degli aspetti fondamentali di questo lavoro. Comunque non saprei essere più specifico sulla mia personale ricerca perché a volte è difficile ricostruire un dato percorso a posteriori.

Quindi se le chiedessi com'è arrivato allo stile di disegno per cui è famoso?

Non saprei cosa rispondere. Me l'hanno già chiesto, ovviamente, ma sincermente non so mai cosa dire: ci sono arrivato, è così. Come uno scrittore affina il suo stile. È una ricerca e un'esigenza molto importante. Anche ai fini pratici, perché è quello che consente di essere identificato e di avere la possibiità di lavorare ed esprimerci.

Ma se dovesse indicare un periodo in cui il suo stile di disegno si è definito e ha acquisito le sue caratteristiche più peculiari?

Un poco avevo iniziato a cercare un mio stile già con Il Corriere dei Piccoli ma direi che sono state importanti due riviste in particolare: una è il Messaggero dei Ragazzi di Padova, il cui direttore era un sacerdote a cui devo molto perché mi ha lasciato la più completa libertà di azione e stile.

Da allora ho cominciato – quando ne ho avuto la possibilità – a fare quello che sentivo giusto per me e a trovare una mia cifra. Il secondo debito l'ho con quella bellissima rivista che era Il Sergente Kirk: queste pubblicazioni erano dei veri banchi di prova per gli autori. Si poteva rischiare un po' di più, mettersi in gioco. Nel campo dei fumetti c'era (e in parte c'è ancora) una scuola che li vedeva collocati solo in un certo modo, in queste pubblicazione potevamo forzare i limiti consentiti.

Lei infatti ha spezzato i vincoli delle quadrature e della regolarità della pagina. È stato un cambiamento epocale nel fumetto.

Attenzione, non l'ho fatto solo io; anche Guido Crepax e altri hanno fatto percorsi simili. Io ho fatto mia l'esigenza di uscire dai limiti un po' fissi del fumetto e ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno dato la possiblità di farlo. Volendo ricordarne qualcuno penso a Oreste del Buono, che nel mio caso ha dimostrato larghissime vedute, al lavoro per Corto Maltese, Linus ecc. I disegnatori della mia generazione hanno un grosso rimpianto per queste riviste.

Secondo lei perché queste riviste sono scomparse?

Diverse ragioni, ma credo si sia modificato anche il pubblico. Sento spesso giovani, anche giovani illustratori, dire che oggi è più difficile trovare testate che si prendano il rischio di lasciare ai disegnatori la libertà di sperimentare. Però in parte sono gli stessi giovani che, non comprandole, hanno decretato la fine di queste pubblicazioni.

È un po' un peccato, ma d'altra parte anche questo fa parte del gioco della vita: le cose cambiano, e con esse anche i gusti del pubblico. Va anche detto che adesso i giovani sono spesso frastornati da messaggi molto chiassosi, molto invadenti, con una presa forte. Parlando sempre di fumetti, personalmente mi domando quanto tempo e voglia abbiano i ragazzi per interessarsi a certe storie.

Con i suoi pregi e i suoi limiti, oggi internet può essere una grande risorsa per scoprire fumetti, storie, autori. È uno strumento che conosce?

Io non lo utilizzo però riconosco che è una grossissima rivoluzione. È un po' subentrato a certe testate che avevano funzione di vetrina per i giovani. Forse però diventa più difficile concretizzare il proprio talento, una volta in giro per la rete, anche perché i teatri in cui potersi esprimere sono diminuiti.

Che impressione ha del fumetto e dell'illustrazione di oggi?

Credo che ci siano molti giovani di talento impegnati in forme molto diverse, anche grazie ai nuovi strumenti a cui accennavamo prima, per esempio il computer. Io lavoro con la matita in mano ma che è uno strumento abbastanza raro per chi cominica adesso. Le cose mutano, ed è giusto che sia così.