È strano rendersi conto, almeno per chi ne ama la poliedricità letteraria se non lo stile, di quanto poco R. E. Howard sia stato sfruttato dal cinema nei settant'anni trascorsi dalla sua morte. Soltanto adesso, per esempio, è in preparazione un film, momentaneamente intitolato Vultures, tratto dalla sua sterminata produzione western, poco nota da noi ma, pare, addirittura più copiosa di quella fantastica; il film basato – e quest'ultima parola non può che far preoccupare i puristi – sulle avventure di Solomon Kane è tuttora in fase di pre produzione benché annunciato per il 2007; le sue prove in campo horror, che mi hanno portato a considerarlo il miglior autore di 'Chtulhoid tales' sulle orme di H. P. Lovecraft (nei racconti di Howard è intessuto spesso un substrato avventuroso di cui, a mio parere, il maestro di Providence non era capace), vengono tuttora ignorate. Quello che finora è stato realizzato risulta, quando non pessimo, perlomeno deludente non tanto per il film in sé quanto per l'incapacità di riprodurre i personaggi più noti sia iconograficamente (su Arnold Schwarzenegger ci sarebbe qualcosa da ridire) che psicologicamente.

Conan il barbaro, diretto da John Milius nel 1982 è, al tempo stesso, un ottimo film fantastico e un'occasione sprecata; prima di procedere oltre è però opportuno osservare che, con molta onestà, la pellicola risulta dai credit 'ispirata' a personaggi e situazioni dello scrittore texano e non a suoi scritti direttamente riconoscibili e titolabili. Milius, inoltre, ha sempre dichiarato di essersi voluto ispirare all'arte grafica di Mike Mignola – e in alcune scene, soprattutto quelle nel tempio – reggia di Thulsa Doom, questo risulta evidentissimo – piuttosto che non al corpus letterario Howardiano, che forse né il regista né il suo co-sceneggiatore Oliver Stone conoscevano a fondo.

A scanso di equivoci, Conan il barbaro è un ottimo film fantastico, superiore alla media del periodo in cui fu realizzato, e non solo a quella, che seppe ridare vigore al genere in un momento non felicissimo della sua storia ma, pur non arrivando alle esagerazioni dei fan americani ('It's all we have', dichiarano sconsolati) va detto che NON è Howard. È piuttosto un Conan 'rivisitato' dalle pagine di Poul Anderson e Lyon Sprague deCamp – non è il caso di citare Fritz Leiber, più fedele e, se vogliamo, affettuoso rispetto agli altri due – privato, come vedremo, di molte sue peculiarità e seguace del Bushido, o meglio di uno pseudo – Bushido, tanto caro a John Milius, ma dal suo vero padre letterario ha ereditato pochissimo.

È doveroso sorvolare sulle accuse, a mio parere frettolose, di razzismo mosse più volte nei confronti di R. E. Howard, scrittore che era comunque un 'Figlio del Sud', psicologicamente tormentato, vittima presumibilmente di fobie inesplicabili e molto simili a quelle del coevo H.P. Lovecraft; rispetto a quest'ultimo, manca un altrettanto robusto epistolario che possa fare chiarezza sulla figura dello scrittore texano. Di Conan mancano soprattutto alcuni tratti distintivi, proprio quei tratti che Anderson e deCamp hanno maggiormente badato ad "addolcire" quando non a cancellare. Il cimmero è figura picaresca come poche altre (e quelle poche derivate da lui, a mio parere) nella letteratura Fantasy, non è un eroe che nasce e cresce con almeno un ideale specifico da perseguire e i suoi scopi sono piuttosto lenti a delinearsi.

È, rispetto al suo contraltare cinematografico, radicalmente misogino, i suoi rapporti personali con le donne variano dalla bonaria condiscendenza di un "essere naturalmente superiore" alla malcelata sopportazione, di loro non si fida (l'arco, arma per lui sleale, viene definita, sic, "arma da donne") e mai le porrebbe su un piano di parità; potrebbe fare eccezione Belit, regina della costa nera, ma muore nel racconto che la vede protagonista (nonostante le esortazioni alla prudenza da parte di Conan, ovviamente) e lo sviluppo offerto in seguito al personaggio da Poul Anderson risulta divertente ma non convincente.

Tetragono e allo stesso tempo pragmatico, Conan affronta le sue paure con un'incosciente risolutezza che lo rende il più delle volte inattaccabile da superstizioni, magie più o meno potenti, macchinazioni e tranelli.

Peccato che tanto pragmatismo lo porti spesso all'eliminazione sommaria dell'avversario di turno senza curarsi affatto di un' eventuale ragione per le sue azioni. Questo è un limite sempre presente nell'opera di R. E. Howard come in quella di altri autori di fantasy o, in senso più lato, di avventura; viene spontaneo pensare, con le dovute differenze e un po' di cautela, anche al nostro Emilio Salgari, altro scrittore apparentemente inesauribile cui però, rispetto al texano, mancarono quasi del tutto elementi orrorifici e fantastici "canonici".

Esulando dal personaggio in argomento e riferendosi brevemente, per esempio, al già citato Solomon Kane, è esemplare per manicheismo la celebre poesia nella quale il puritano vuole vendicare l'amico fatto giustiziare da Francis Drake senza che, però, vengano offerte spiegazioni logiche a monte della vicenda.

Tornando al Conan cinematografico, sarebbe limitativo e ingiusto segnalarne le sole carenze, per così dire, "Howardiane" senza notare ciò che ne fa, invece, un ottimo film tout court.

Al di là di ogni più o meno ragionevole distinguo purista, soggetto e sceneggiatura tengono bene per tutta la durata della pellicola, montaggio e fotografia sono molto al di sopra della media del genere, l'azione avvincente e ben condotta consente di sorvolare, almeno a una prima visione, sui numerosi blooper.

Un elogio particolare merita la colonna sonora di Basil Poledouris, adatta e convincente come in pochi altri casi ed echeggiante temi (le variazioni su Berlioz) del musicista francese Edgar Varèse tanto caro a Frank Zappa.

Purtroppo la colonna sonora, dello stesso autore, è l'unico pregio del secondo film con Conan come protagonista, Conan il distruttore, realizzato nel 1984 con fretta e pressapochismo inspiegabili se si considera il successo dell'episodio precedente.

La regia passa dal visionario Milius all'onesto mestierante Richard Fleischer, la recitazione è sindacale e la trama è appesantita e infastidita da un umorismo tongue in cheek purtroppo non involontario con sitazioni al limite dello slapstick, i trucchi sono infantili (il make up blu del mago mutante Toth Amon 'stinge' visibilmente sul povero Schwarzy durante la lotta), tutto scricchiola e fa scivolare il prodotto verso il limbo dei film di serie B; restano soltanto una simpatica e brava, anche se la sua parte è improbabile, Grace Jones e il cameo finale del compianto Andre the Giant, non citato nei credit.

Fleischer si ripetè due anni dopo con l'indigesto Red Sonja, che ha il solo merito di cancellare il nome Conan dal titolo; anche qui la fonte sarebbe, con molta fantasia, l'opus di Howard (di cui francamente non vedo traccia) ma il tutto andrebbe piuttosto fatto risalire al peggio dei 'Polpettoni' nostrani con Maciste, incluse situazioni risibili, psicologia dei personaggi quantomeno rozza e sequenze (in particolare lo scontatissimo pre finale) che chiunque riuscirebbe ad anticipare largamente.

Escluso Red Sonja, che ho voluto inserire soltanto per la presenza di Schwarzenegger nel cast, il cinema ha offerto ben poche possibilità a Conan il Cimmero. Molte di più comunque, e più dignitose, rispetto all'unica offerta a un altro eroe Howardiano, Kull di Valusia, protagonista di un dimenticabile film con Kevin "Hercules" Sorbo.