Gustave Moreau, Edipo e la Sfinge -1880 Acquerello e matita su carta, cm 35 x 18 Parigi, Musée d'Orsay
Gustave Moreau, Edipo e la Sfinge -1880 Acquerello e matita su carta, cm 35 x 18 Parigi, Musée d'Orsay

Già da un po’, qualche milione di anni, noi del genere Homo abbiamo capito che il modo migliore per farsi strada nel nostro mondo, per competere con e superare le altre specie animali e in una certa misura i nostri simili, bisogna usare il cervello. Naturalmente questo aspetto essenziale della vita degli esseri umani trova una sua espressione mitologica in diverse forme. Nella maggior parte delle culture antiche, esiste l’”eroe tecnologico”, colui che riesce a compiere il salto di qualità che dà all’uomo l’intelligenza, di solito espressa sotto forma di una qualche innovazione essenziale per la vita. il più famoso è senz’altro Prometeo, che nella mitologia greca ruba il fuoco agli dèi. Ma ci sono molti altri esempi mitologici dove viene ribadito il ruolo essenziale dell’uso del cervello nella vita dell’uomo. Ricordiamo che in una folla di eroi nerboruti, coraggiosi, mezzi invulnerabili, fortissimi e bellissimi, quello che esce meglio dalla guerra di Troia è il furbo Ulisse, che prima di ogni altra cosa era di certo il più intelligente degli eroi greci; oltre che un ladro, un bugiardo, e furbastro della peggior specie. E non è l’unico a dover usare il cervello per cavarsela nelle situazioni più disperate.

Il coraggioso Edipo si trova a dover affrontare uno degli animali mitologici destinati a grande fortuna nell’immaginario collettivo di ogni tempo: la Sfinge. E per vincere il mostro, ci sarà bisogno di mettrci la testa.

Edipo: l'uomo vince sulla bestia, il Fato vince sull'uomo

Racconta Sofocle (Colono 496 a.C.- Atene 406 a.C.), in quella che senz’altro è la sua tragedia più famosa, L’Edipo re, dell’ineluttabile destino di un giovane. La composizione dell’opera è incerta, ma siamo comunque nella metà del V secolo a. C.

Viveva dalle parti di Corinto il giovane Edipo, figlio adottivo del re locale, il buon Pòlibo. Il baldo ragazzetto non sa di non essere il figlio naturale del Re, almeno finché non gli viene svelato da un conoscente. Adirato e incapace di accettare la realtà, Edipo si rivolge all’Oracolo di Delfi. Come ogni buon oracolo che si rispetti, quello di Delfi di solito risponde con frasi sibilline, così rischia di sbagliare il meno possibile. Non è il caso di Edipo. Al giovane non viene rivelata la vera identità dei suoi genitori, ma gli viene fatta una profezia molto precisa: egli ucciderà il padre, sposerà la madre e da quelle nozze nasceranno dei figli che saranno anche suoi fratelli.

Inorridito, Edipo crede che l’Oracolo parli dei suoi genitori adottivi. Il ragazzo è tutto d’un pezzo e decide che non metterà mai più piede a Corinto.

Si dirige allora verso Tebe. Gli capita di incrociare un cocchio, che pretende il passaggio. Edipo fa per spostarsi, ma il conducente del cocchio gli mena lo stesso una frustata. Edipo, che non è proprio un tranquillone, uccide il conducente con tutto il seguito. Si salva solo un vecchio, che torna in città per riferire l’accaduto. Fra le vittime di Edipo c’è Laio, il re di Tebe. Così quando il giovane arriva in città, scopre che il trono è vacante.

Ora, come accade a quasi tutte le città della Grecia mitologica, anche Tebe è vessata da un terribile mostro. Si tratta proprio della nostra Sfinge. In linea di massima, la Sfinge greca ha il corpo da leone, la testa di donna e le ali d’aquila. Al contrario della maggior parte delle fiere fantastiche, però, la Sfinge non è priva d’intelletto, anzi. La, si fa per dire, bella leonessa finisce per proporre un complicato enigma, un giochino d’intelligenza a chi si trovi a passarle davanti, là dov’è appostata, alle pendici del monte Citerone. Era stata Giunone a porla in quel luogo, per punire gli abitanti della città di non aver fatto abbastanza sacrifici in suo onore. Naturalmente, la Sfinge massacra senza ritegno tutti quelli che non riescono a risolvere l’indovinello. Inutile dire che nessuno, fino all’arrivo di Edipo, era riuscito nell’intento.

L’origine del termine Sfinge non è ben chiaro, dato che il mostro, come vedremo in seguito, ha origini dalla mitologia egizia. Il greco Sphinx deriva dal verbo sphig, serrare, soffocare, stringere. Ma è probabile che il termine abbia origine, o sia stato influenzato, dal copto (la lingua egizia scritta coi caratteri greci) fik, demone. Meno accreditata è l’ipotesi che derivi dall’egiziano Shesep-ankh, un titolo attribuito alle statue reali della IV Dinastia (intorno al 2600-2500 a. C.)