In un fumosissimo locale nei bassifondi di una improbabile città, un cane aspetta il padrone morto, legato a una catena di ferro assicurata su un palco. Il cane è nervoso e triste per via della perdita, e l’unica cosa che lo rilassa è essere legato.

Questo è un piccolo assaggio del fantastico mondo descritto nel Sindacato dei poliziotti yiddish, l’ultimo libro di Michel Chabon.

Il romanzo esce dopo Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, i libri per ragazzi Soluzione finale e Summerland, la sceneggiatura di Spiderman II e romanzi quali  I misteri di Pitsburgh e Wonderboys.  Chabon è, inoltre, autore della raccolta di racconti Lupi mannari americani. I primi tre libri si possono facilmente iscrivere nel genere fantastico. I misteri di Pitsburgh e Wonderboys sono rigidamente realistici. I lupi mannari alternano racconti di uno e dell’altro genere.

Il sindacato dei poliziotti yiddish è, insieme, realistico e fantastico. Il tutto senza soluzione di continuità.

 

Siamo intorno al 2004. Può essere il 2005. Ci troviamo nel Distretto Federale di Sitka, in Alaska. Dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1946 e il suo crollo nel ’48, gli Usa ospitano ormai da decenni uno Stato ebraico semi-indipendente, con un proprio governatore e un proprio corpo di polizia. Landsman, il protagonista del racconto, è un poliziotto.

Un bravo poliziotto, coraggioso, ma poco efficiente e ubbidiente. Ha il brutto vizio di indagare su cose sulle quali avrebbe dovuto imparare da tempo a chiudere gli occhi.

Tipo sulla morte di  Mendel Shpilman, figlio di Rebbe Shpilman, grande boss mafioso e capo spirituale della comunità.  Mendel è stato vittima di un vertiginoso complotto. Certo, perché, come sa qualsiasi ebreo credente, a ogni generazione Dio manda dalle nostre parti uno Zadik, un giusto, un Messia a salvare il nostro corrotto mondo. Malgrado il nostro mondo sia veramente tanto corrotto, molti, però, fanno gli schifiltosi su come debba essere un messia. In molti non apprezzano Mendel, seppure conosce tutta la legge a memoria, guarisce i malati e ha il dono della poliglottia, ritenendo che non confà a un Messia essere omosessuale ed eroinomane.

A moltissimi non piace che il detective Landsman indaghi su questa pietosissima morte.  

 

Il sindacato dei poliziotti yiddish è in qualche modo un libro consigliabile per il Natale: è il libro nero del Natale.  Infatti, parla (sarà chiaro) dell’avvento del Messia; un fatto che, pur fantastico e miracoloso nelle premesse, duemila anni di storia ci mostrano aver avuto conseguenze concrete e molto realiste. Chabon si sforza di rendere ancora più fantastica e miracolosa questa premessa per arrivare alla più realistica delle conseguenze.

 

Il primo elemento fantastico è proprio questa premessa, tipica della tradizione ebraica, e tradotta con successo in quella occidentale, secondo cui la costante opera di un messia salva la creazione. Nella cultura giudaica la salvazione si ripete ogni cento anni circa. In quella cristiana è avvenuta una volta per tutte. Questa premessa è cruciale nella nostra storia.

Il secondo elemento fantastico del racconto risiede nel fatto che l’azione messa in opera dalla premessa non avviene nella nostra dimensione storica.  Il racconto, infatti, si svolge in un  luogo che non c’è, in un tempo mai esistito. Sitka non esiste, sebbene Churchill ne abbia caldeggiato la realizzazione, perché esiste lo Stato di Israele. Per quale motivo Chabon cerca un’ambientazione ucronica? Si diverte con il gioco di ciò che non è stato? No, la sua storia potrebbe avvenire per davvero ora e in qualsiasi luogo. Chabon si diverte con le possibilità fantastiche del genere ucronico. Si diverte a mostrarci che la stessa fantasia sul messia agirebbe con lo stesso effetto drammatico su qualsiasi dimensione storica.    

Passiamo al terzo elemento fantastico: le conseguenze di questa fantasia messianica come si svolgerebbe in qualsiasi tempo e luogo. Questa fantasia, ci dice l’autore, non farebbe altro che creare in chiunque l’idea che intervenire nella storia per cambiarla è possibile, lecito, doveroso. E l’estrema propaggine del messianismo, vediamo, in effetti, come oggi diventi complottismo e paranoia di bassa lega, martiri e attentati terroristici.

Infine Chabon gioca su un quarto elemento che, pigiando ancora di più sul tasto del fantastico, fa diventare la sua storia più vera del vero: la trama è svolta secondo i  più rigorosi stilemi dell’hard boiler, ma quasi senza giallo. Un genere che ritroviamo nei tic, nell’affastellamento degli elementi: un mondo crepuscolare e sul crinale della fine; i personaggi decadenti e misteriosi; il protagonista duro, ma con il cuore tenero; donne di ghiaccio e fatali; un’umanità minore, delirante, grottesca; alcol, tabacco, droghe. Un hard boiled, soprattutto nel linguaggio: questo romanzo è scritto esattamente come lo avrebbe scritto Hammett. Con una lingua fra Shakespeare e il fumetto. Una lingua densa, contorta, labirintica. Una lingua artefatta, che può destabilizzare il lettore e che lo impegna quasi sul piano di una sfida, ma che rimane l’unica con la quale è possibile raccontare in maniera realistica questa storia che non sta in piedi e che va in giro da millenni.

 

A cosa serve l’accumulo di tanti elementi fantastici? Serve a Chabon per costruire un romanzo che vuole parlare della realtà e, soprattutto, sulla realtà. Un romanzo filosofico, quasi, in cui l’autore si diverte a dissezionare il cuore umano per vederne i segreti e deliranti palpiti quando è esposto senza filtri a un fantasia che, nel finale, l’autore è lapidario nel giudicare: Ma il Messia di Sikta non esiste.