La narrativa fantasy propone spesso una sovrapposizione di realtà, il concetto di universi stratificati quasi a voler giustificare l’esistenza di creature oniriche e scenari apparentemente impossibili.

Sottili quanto elusive barriere ci separano da misteri sorprendenti, da palcoscenici dove l’avventura è all’ordine del giorno e regole dapprima inviolabili vengono tranquillamente sovvertite.

Armadi, specchi, formule magiche la cui origine si perde in epoche dimenticate, questi filtri attendono solo il coraggio dell’eroe, la sua intraprendenza e la sfida ultima agli enigmi che potrebbero annientarlo.

 

Tunnel non fa differenza: propone l’usuale e ordinaria Londra di inizio XXI Secolo, anonima nella sua familiarità urbana, che – alla stregua di un manto intessuto nell’asfalto e nell’acciaio – copre qualcosa di impensabile.

Se altrove l’immagine del protagonista intento a scavare per giungere alle risposte è una trita metafora, qui viene intesa letteralmente. I colpi di piccone e badile allontanano dal noto per introdurre a territori vicinissimi quanto inesplorati. Nessun sortilegio o maledizione millenaria, solo un paziente e maniacale lavoro d’archeologo per andare oltre, per vedere dietro l’angolo del quotidiano.

 

La sensazione di immersione, di lasciarsi assorbire dal terreno, dalle viscere umide e fredde che pulsano sotto strade e grattacieli è forte, permeante. Riporta alla mente le imprese nella Valle dei Re, il metodo e la dedizione assoluta che stanno alla base delle grandi scoperte.

La prima parte del romanzo è forse la più intrigante, con il professor Burrows attratto inesorabilmente dal fascino del sottosuolo e il figlio Will, parimenti avvinto dalla passione paterna per quanto sa di passato e dimenticato.

Assistiamo alle loro progressive e instancabili discese, sia fisiche che spirituali, così coinvolgenti da allontanarli gradualmente da un’esistenza equilibrata, priva di slanci morbosi verso direzioni assurde.

 

Stazioni della metropolitana abbandonate, oggetti di epoca vittoriana rinvenuti in cadenti gallerie, la vaga e suadente sensazione che, oltre quella parete di argilla, dietro quella lastra di pietra, c’è un piccolo tesoro di conoscenza, finora negato all’uomo comune.

Tuttavia la smania di calarsi nel buio, di setacciare l’ignoto porta presto a un radicale ribaltamento di mondi, così repentino e decisivo da non ammettere ripensamenti.

 

L’universo ipogeo, vero e assoluto protagonista del libro, estende nere propaggini fino alla luce del sole, spinge la sua gelida influenza sulla soglia delle nostre case.

Il professore scompare improvvisamente, inghiottito dalle gallerie tortuose, perso nelle tenebre di grotte sconosciute. La famiglia di Will si dissolve nel baratro dell’incomunicabilità, incapace di reagire, quindi il ragazzo prende la difficile decisione di mettersi alla ricerca del padre, nel mondo alieno che si apre sotto il livello stradale.

 

Troverà molte risposte, tra cui soprattutto la radice delle sue stesse origini.

Al termine di sterminate gallerie e budelli, sorge la Colonia, una vera e propria città scavata nella roccia e popolata da coloro che, secoli addietro, scelsero di separarsi da una società con cui non condividevano più nulla. Will appartiene a questo piccolo popolo di esuli albini: riportato in superficie dalla madre e adottato dal professore, scopre di essere atteso dal suo vero genitore e da un fratello di cui non avrebbe mai sospettato l’esistenza.

 

Lo stupore e la meraviglia suscitati dal contatto con la comunità di coloni si venano presto di inquietudine: regole implacabili, consuetudini dure e spietate consentono al microcosmo di sopravvivere in un ambiente ostile alla vita umana.

Will sperimenta il gelido potere degli Styx, veri dominatori della città sotterranea. Sacerdoti e guerrieri, molto simili a un corpo di polizia segreta, si aggirano per le strade controllando ogni cosa, dispensando la loro ferrea legge, immutata fin dai tempi dei primi insediamenti.

La vita in superficie è mostrata con tutte le sue gravi imperfezioni, il gravoso fardello di disagi che noi tutti abbiamo imparato a tollerare con stoica rassegnazione, ma anche il sogno della fuga è inacidito. La società alternativa nata dall’esigenza di cambiare vita è oppressiva, una muta dittatura fatta di miti artificiali e coercizione, un piccolo stato di polizia all’ombra eterna delle stalattiti.

 

Tunnel ha la capacità di trasmettere disagio, un sottile senso di fastidio che prende le mosse dalla fisica consapevolezza delle tonnellate di pietra che sovrastano case, strade e stentate coltivazioni. La claustrofobia si espande, alimentata dalla severità di costumi, dalla crudele freddezza degli Styx, capaci di perfidi tradimenti e depositari di una bieca autorità.

Nella Colonia ti puoi perdere, annullare ciò che sei per diventare uno strumento, un attrezzo nelle mani di pochi eletti che tramano per estendere un silenzioso dominio, forse preparando impossibili riscatti.

 

Meriterebbe serie riflessioni il concetto che il Male proviene dagli abissi, come nella riproposizione di un dantesco inferno concreto e terribile. La cultura ipogea è in grado di produrre uomini coraggiosi e liberi, ma anche totalitarismi sin troppo simili a quelli visti in superficie.

Il destino dell’umanità è forse quello di generare soprusi?

Godibile racconto fantasy, questo romanzo va letto sì con la consueta sospensione della credulità, ma anche con un pizzico di senso critico. Persino la società più chiusa e isolata trova il modo di produrre la sua scorta di orrori.

Non è una visione molto consolante.