Come e quando nascono le idee per i tuoi romanzi e da quali esigenze sono mossi? Da dove “nascono” le tue storie? Da dove i tuoi personaggi?

Come detto, la Trilogia di Lothar Basler ha avuto un’origine precisa. La storia, i personaggi, tutto è mirato a convogliare le mie inquietudini e speranze dell’epoca. In un certo senso, ho viaggiato in prima persona al fianco di Lothar e dei suoi. L’ispirazione emotiva è stata alla radice di quasi tutto quello che ho prodotto da allora ad oggi. Ma l’ispirazione ti fornisce l’anima. La forma è demandata alla fantasia e quella è la sinergia tra qualcosa che possiedo d’innato, frutto probabilmente della mia voglia di sognare, e tutto ciò che assorbo nel quotidiano, stimolato dal mondo che mi circonda.

 Antico e sempre attuale dilemma: pensi che scrivere sia dote innata o che si possa imparare, anche con le "nuove tecniche di scrittura"?

Ho parlato di fantasia innata, e ritengo che, assieme a quella, la scrittura richieda un’inclinazione naturale, affinata poi dalla passione per la parola scritta. Detto ciò, io penso che nessuno nasca “imparato”. Scrivere qualcosa di pubblicabile significa possedere dimestichezza nei mezzi sintattici, semantici e grammaticali della lingua. Inoltre, saper scrivere correttamente non significa affatto essere in grado di produrre, per esempio, un romanzo rendendo il giusto tributo al ritmo, all’intreccio e alla cesellatura dei personaggi. Per sintetizzare: un po’ d’inclinazione, tanta passione, tanta disponibilità a imparare l’uso degli strumenti e, soprattutto, disponibilità a mettere in cascina quintali d’esperienza. In quest’ottica, ritengo che la lettura giovi a diversi ingredienti della ricetta.

Sei uno scrittore lento o veloce, meditativo o istintivo? Tecnica a macchia di leopardo o disciplinato con ruolino di marcia? Imbrigli i personaggi o lasci che siano loro a decidere quale percorso deve seguire la vicenda?

Lento, purtroppo. Mi piacerebbe essere più rapido, di certo. Medito molto sugli aspetti

Marco Davide, al Fantasio Festival 2008
Marco Davide, al Fantasio Festival 2008

“strutturali” delle mie storie ma, quando è il momento di riempire di vere parole quel che è semplicemente tratteggiato, so di poter riuscire soprattutto se riesco a collegare il cuore alla penna. Ho finito per irrigidire la metodologia di lavoro con gli anni. Oggi butto giù schemi precisi di quel che sarà. A corredo, ho la mia lista di appunti non incasellati, cui attingo nel momento che scopro più adatto. Il dettaglio però si svela ai miei occhi soltanto quando mi avvicino al determinato capitolo. E allora possono succederne delle belle. Personaggi che vanno a destra quando eri intenzionato a spingerli a sinistra, svolte impreviste, colpi di coda della trama. Io dico sempre che, come scrittore, sono il primo a godermi la lettura di quel che produco, con viva sorpresa. Un autore sa riconoscere una forzatura e, schema o non schema, io credo si debba essere sempre pronti a rivedere i piani. E’ una questione di onestà con se stessi. E verso chi ti legge. Perché i lettori, lo scrittore poco onesto, lo smascherano sempre.

Come è nata la tua saga d’esordio, La Trilogia di Lothar Basler? Cosa puoi raccontarci del secondo volume, Il Sangue della Terra? E a cosa stai lavorando ora?

Della nascita della Trilogia di Lothar Basler ho detto. Il Sangue della Terra è per certi versi un tipico romanzo di mezzo. Svela il nocciolo della macro-storia della saga, in cui va a innestarsi quanto raccontato nel primo volume, senza soluzione di continuità. Lo ritengo un romanzo più maturo del precedente, sebbene io l’abbia scritti entrambi diversi anni fa. Ne Il Sangue della Terra, inoltre, lo scenario di sfondo assume un ruolo preminente. Un paesaggio dilaniato dalla guerra e da tutte le sue conseguenze, cui ho provato a ritagliare un ruolo da personaggio aggiunto, se mi passate l’azzardo. A tale paesaggio si deve il titolo, dopotutto.

Ho scritto la Trilogia di Lothar Basler fra il 1997 e il 2001, quindi i tre manoscritti sono completi da tempo. Oggi sono immerso nella stesura di una nuova saga, che ne condivide i sapori e alcune pietanze, per così dire.

Pensi che in Italia si possa vivere “solo” scrivendo fantascienza o fantasy?
L'illustratore Mario Labieni e l'autore Marco Davide
L'illustratore Mario Labieni e l'autore Marco Davide

In Italia è difficile vivere scrivendo, a prescindere dal genere. I dati numerici sui lettori sono desolanti e a mio avviso è difficile trovare, come spesso accade anche in altri campi imprenditoriali, chi sia pronto a investire senza solide garanzie. Si rischia poco ma la ragione, oltre che culturale, dev’essere rintracciata anche nel sistema economico globale. Insomma, se ne faccio una colpa a qualcuno, non gliela faccio così grande.

Quale consiglio ti sentiresti di dare agli scrittori esordienti? Partecipare ai concorsi? Affidarsi a un agente investendo una somma di denaro? Inviare a qualche editore? Cosa fare?

Scrivere e spedire, avendo bene in testa quali sono le priorità. Io volevo scrivere, la pubblicazione era un sogno che poteva avverarsi o meno ma di cui non subivo il peso. Vuoi vedere il tuo lavoro in forma cartacea? Allora sai che un editore a pagamento può essere una soluzione (anche se io, in quel caso, farei un salto in una buona tipografia). Cerchi la strada della pubblicazione vera e propria? Fatti una lista di editori che trattano il tuo genere, contattali per sapere se sono “ricettivi”, infine mandagli il lavoro nei termini che ti chiedono. I concorsi possono rappresentare una piacevole attività, nonché un banco di prova, ma non so quanto aiutino nella prospettiva della pubblicazione. Agenti? Bah, ho sempre pensato che un esordiente non ne abbia bisogno.

Ma ribadisco il concetto delle priorità. Se scrivere è quel che conta (per me lo è), bisogna ricordarsi sempre che nessun rifiuto, seppur cocente, dovrà mai frenare la penna. Proprio mai.

Fantasy

Cosa ti affascina del fantasy e cosa non ti piace?

Io trovo che il fantasy costituisca uno splendido contenitore dove ambientare le storie più disparate. D’amore, d’orrore, thriller, comiche… Personalmente, amo il suo aspetto epico, cassa di risonanza per i sentimenti dei personaggi. Ma non voglio essere frainteso: non mi riferisco necessariamente al fantasy ‘heroic’, caratterizzato di solito da eroi bianchi e nemesi nere. La mia Trilogia, tanto per dirne una, non lo è. Tale cassa di risonanza, per i miei gusti, si sposa benissimo anche con i personaggi più “reali”, i non-eroi così vicini a noi, capaci di trascendere a dispetto dei propri limiti, guadagnandosi quel respiro epico con le unghie e con i denti. Eroi non de facto ma per il cuore che ci mettono nel provarci. Realismo ed epica sono elementi complementari e perfettamente integrabili, dopotutto.

A non piacermi è proprio il fatto che, talvolta, il fantasy non sia considerato il contenitore di cui sopra, bensì un genere che si auto-impone stereotipi e linee guida, finendo per chiudersi su se stesso. E non mi riferisco qui all’originalità a tutti i costi che, da par mio, considero elemento potenzialmente gustoso ma niente affatto necessario. Non è un problema di archetipi ma di incapacità di un certo fantasy di respirare altro che sé. Molti temi sono universali e possono essere affrontati a prescindere dal genere, pur nel genere.

Ultimamente il genere fantasy sta conoscendo una nuova stagione di enorme successo, sia in libreria, sia al cinema. Secondo te per quale motivo? Cosa riflette questa popolarità?

La trasposizione cinematografica del Signore degli Anelli e di Harry Potter ha schiuso la

nicchia a favore di una platea più ampia. Questo ha donato slancio al settore, senza per altro salvaguardarlo da speculazioni in certi casi controproducenti. Ma la bilancia, a conti fatti, pende sul lato dei vantaggi acquisiti, senza dubbio. L’unico aspetto che mi fa un po’ storcere il naso è che oggi, per effetto di quanto appena accennato, si tenda a definire ‘fantasy’ un po’ troppe cose, non sempre secondo criterio. Non sono per le catalogazioni ortodosse, ma neppure per i minestroni. Si finisce con lo sdoganare un’immagine poco reale di quel che davvero è.

E’ un genere, per te, che si avvia verso un periodo ancora più fiorente o si tratta solo di un fuoco di paglia?

Spero di vederlo fiorire. Le mode sono cicliche, d’altronde, basti vedere quel che è accaduto alla fantascienza dopo il boom degli anni settanta. Se una bolla dovesse esistere e, dunque, fatalmente scoppiare, non credo che da appassionati resteremo senza nulla da leggere. Il fantasy nasce dal nostro desiderio di continuare a sognare, un istinto atavico che nessuna moda sgonfiata potrà mai reprimere.

Riguardo al fantasy, sappiamo che esso viene spesso visto come un genere piuttosto leggero e, sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale? Quali sono le potenzialità del fantasy?

Dal retaggio culturale, sicuramente. Ma le cose stanno cambiando. Nelle stanze dei bottoni hanno cominciato ad insediarsi i figli di una generazione pop che è cresciuta con certi gusti e certe inclinazioni intellettuali. Accade anche coi fumetti, basti guardare la quantità di trasposizioni cinematografiche di cui godono. Sarebbe interessante sapere come ci vedranno fra qualche decina d’anni quelli che a loro volta aspireranno a sostituirci.

È possibile con il fantasy inviare messaggi importanti o è un genere utile solo come intrattenimento? E anche se fosse solo intrattenimento, sarebbe poi un male? 
Marco Davide
Marco Davide

Mi ricollego al discorso del contenitore. Il fantasy può accogliere di tutto. Dal puro intrattenimento (no, non vedo cosa possa esserci di male), agli argomenti più profondi e delicati. Con le infinite sfumature che possiamo trovare nel mezzo, come al solito.

Un fantasy che ti piacerebbe aver scritto è… 

La Torre Nera di Stephen King, che però fantasy puro non è. Aggiungo allora Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin.

Leggi fantasy italiano? Che ne pensi?

Ultimamente ho letto diversi fantasy italiani (Valenza, Romagnoli, Falconi, D’Angelo e, in fieri, Giannone) e ne ho tratto l’impressione che il movimento sia non solo in crescita numerica ma anche di contenuti. Nei romanzi che mi sono capitati fra le mani, ho riscontrato una tale varietà in termini di temi, stile, atmosfere e target di riferimento da farmi ben sperare, in virtù del campione ridotto cui mi riferisco, sulla gamma offerta dal bacino globale. Come ogni movimento giovane, c’è da crescere e fare esperienza, è evidente. Ma io trovo che ci siano margine e qualità per percorrere molta strada.

Dimmi la prima cosa che ti passa per la mente, meglio un aggettivo, per…

Prometto di usare un aggettivo solo, spero solo di essere eloquente e non frainteso.

a.      J.R.R. Tolkien: seminale

b.      J.K. Rowling: miracolosa

c.      Poul Anderson: sconfinato

d.      Marion Zimmer Bradley: passionale

e.      Terry Pratchett: farsesco

f.       Neil Gaiman: poliedrico

g.      Alan D. Altieri: livido

h.      Valerio Evangelisti: cerebrale

i.       Licia Troisi: sindacata