Sotto casa di Lucilla, tutti i giorni passava un drago.

Era panciuto come il dinosauro di gomma accucciato sulla mensola della cameretta, ma era molto, molto più grosso. Mentre camminava la sua coda si muoveva in su e in giù, da un lato all’altro, e faceva un gran vento, ma così tanto, che tutti i cani al guinzaglio diventavano aquiloni.

Lucilla si chiedeva sempre che effetto facesse guardare quell’enorme pancia dal di dentro, ma la mamma le aveva severamente proibito di parlare col drago.

– Ha una pancia grossa e rumorosa – l’aveva messa in guardia, – e tu sei troppo piccola per fare un viaggio del genere.

– Non ne posso più di voi adulti – bofonchiava Lucilla. – Mi fate venire il cerchio alla testa. Quasi quasi ci attacco i seggiolini così ci vengono tutti i bambini.

Ma la curiosità cresceva sempre più.

Così, un giorno, Lucilla disubbidì, e si sporse dal balcone proprio nel momento in cui passava il drago.

– Buongiorno, signor drago! – vociò. – Potrebbe venire un attimo qua?

– Ma certo, signora bambina – rispose il drago, fino a farsi fissare negli occhioni liquidi e dorati come miele d’acacia. – C’è qualcosa che posso fare per lei?

– Vorrei sapere cosa c’è nella sua pancia, se è permesso.

– Ma certo, signora bambina, – rispose il drago, accennando una sorta d’inchino col testone squamoso.

– Però dobbiamo far presto – l’avvertì Lucilla, – perché la mamma è andata a fare la spesa e se mi trova a parlare con lei si arrabbierà tantissimo.

– Giusto – assentì il drago. – Mamma coscienziosa. – E arricciò le labbra su un sorriso d’avorio.

Lucilla guardò perplessa il suo interlocutore nelle strette pupille da serpente e provò a tendergli una mano.

– Però abbiamo dimenticato di presentarci. Io mi chiamo Lucilla.

– Oh! – Il drago prese un’aria imbarazzata. – E adesso come faccio a darvi la ma... ehm... la zampa fin quassù? Rischierei di far crollare il davanzale, signora bambina. – Il drago si guardò intorno, poi assunse un tono più rilassato. – Facciamo così: tu hai detto il tuo nome a me, io dirò il mio nome a te, e faremo finta di esserci dati da la zam... ehm, volevo dire... la mano... cioè la mano e la zampa. Ecco! Siamo d’accordo?

– D’accordissimo, signor drago.

– E a quel punto – riprese la bestia, – potremo anche smettere di darci del lei e di chiamarci “signor drago” e “signora bambina”. Che ne dici? – le chiese, facendole l’occhiolino.

– Dico che mi sta proprio bene.

– Allora dunque...

Lucilla rimase a fissare in silenzio l’espressione sempre più imbarazzata del drago.

– Dunque allora...

– Senti drago – sbottò Lucilla, – se proprio non vuoi dirmi il tuo nome non importa. Basta che tu mi faccia vedere in fretta cos’hai nella pancia, sennò torna la mamma.

– Ah! Già. Avevo dimenticato la mamma.

– Forza, su! Da dove devo entrare?

– No, no. Te lo dico, te lo dico.

– Eh! Da dove?

– No, no! Dicevo il nome. Il nome.

– Ma dai! Sbrigati!

– Mi sbrigo. Mi sbrigo.

– E dimmelo!

– Banana.

– Devo darti una banana?

– No.

– E allora a che serve? Ti ci devo aprire la pancia?

– No. Dicevo il nome.

– Il tuo?

Il drago abbassò il capo e smise di guardarla negli occhi.

– Sì.

– Vuoi dire che ti chiami Banana?

– Esatto.

Lucilla esitò un attimo, poi non riuscì fare a meno di scoppiare a ridere.

– Ecco, lo sapevo – mugugnò il drago, mentre le risa di Lucilla gli spezzavano il cuore. – Il mio nome fa ridere sempre tutti i bambini.

– Non te la prendere, Banana – lo rassicurò Lucilla. – Non sto ridendo perché mi sembri buffo – e lo grattò sulla punta del corno. – Rido perché mi sembri un drago proprio tenero e la mamma sbaglia quando dice che devo aver paura di te. – Sospirò e scosse la testa. – Se solo ti avesse conosciuto, sono certa che mi avrebbe permesso di chiamarti. – Si guardò intorno preoccupata. – Ma adesso non perdiamo tempo! Dimmi subito cosa devo fare per entrare nella tua pancia.

– Niente di speciale, mia piccola amica – le spiegò Banana. – Devi solo entrare nella mia bocca, scivolare nell’esofago e visitare l’appartamento in cui cadrai. Ti assicuro che conoscerai molti nuovi amici e ti divertirai un sacco. Però c’è una cosa importante che devi ricordare, quando...

Lucilla sentì sbattere la porta e dei passi avvicinarsi attraverso il corridoio.

– Lucilla! – urlò la mamma. – Sono tornata.

– Tutto a posto – le rispose la bambina. – Sto giocando nella mia cameretta. – Poi si rivolse al drago: – Sbrigati! Intanto prendimi in bocca, poi finirai di spiegarmi il resto in un posto più tranquillo.

Il drago l’afferrò in un sol boccone e Lucilla sentì i suoi vestiti bagnarsi e appiccicarsi alla lingua della bestia. Al primo passo dovette afferrarsi ai canini, da quanto il testone dondolava, ma pian piano riuscì ad accomodarsi. A dire il vero, si sentì un po’ in colpa quando udì la mamma gridare in lontananza. A quel punto doveva certo aver scoperto la sua assenza, ma ormai non c’era più niente da fare. Era sicura che, al ritorno, si sarebbe presa una punizione memorabile, ma era troppo curiosa di conoscere le spiegazioni del drago; e l’euforia di aver appena realizzato il suo desiderio le fece dimenticare ogni altra cosa. ‘Appena’... diciamo che era solo sul primo gradino del desiderio, o meglio, sul primo dente.