La Romania è una terra dalle tinte forti, ricca di leggende antiche e creature sinistre. Non solo vampiri ma, dai Carpazi al Danubio e dalla Montenia al Maramures, una folta popolazione di esseri magici vive ancora nelle tradizioni popolari, nelle ricorrenze religiose, nelle attività di tutti i giorni.

Particolarmente nutrita è la colonia delle fate: le Iele (o Ielele), ovvero “Loro”, “Le Signore”.

Le Iele sono entità femminili che permeano (o meglio infestano) i diversi aspetti del quotidiano: una sorta di spirito vitale e soprannaturale frammentato in molteplici manifestazioni. Darne una visione esaustiva è oltremodo complesso, le Signore sono eteree e sfuggenti, volano con il vento e si nascondono nelle acque più profonde, a volte sono benevole, ma guai ad attraversare senza il dovuto rispetto il loro cammino…

Queste fate rumene hanno molto delle Ninfe, Naiadi e Driadi greche nonché dei Sidhe irlandesi, tuttavia mostrano tratti peculiari.

Non amano la solitudine, e vivono in comunità di numero dispari, simili a veri e propri sciami: descritte sia come spiriti virginali (Zane), sia come donne splendide dotate di seduzione irresistibile, le Iele abitano l’aria, l’acqua, la terra e il sottosuolo, ballano in cerchio sotto la luna, nude e adornate da campanelli trasparenti, a volte abbigliate con leggere cotte di anellini metallici e pietre preziose. Gli uomini costituiscono spesso il loro divertimento, perché le difese contro questi esseri misteriosi e inafferrabili sono assai poche.

Gli incantesimi delle Iele vengono intessuti con il canto e la danza, e sono talmente potenti da bruciare il suolo, lasciando all’alba cerchi scuri dove ricrescono erbe strane e funghi velenosi.

A volte, la notte, è possibile scorgerle sui prati, sulle cime degli alberi sacri (il nocciolo e il melo) o sul bordo di stagni e ruscelli; oppure incontrarle ai crocevia e presso i resti di fuochi abbandonati. Ma se qualcuno osa attardarsi a guardarle, o peggio, ne imita per scherzo le movenze, tutta la loro furia si scatena: il canto delle Iele ha il potere ipnotico delle Sirene, e il ballo chiamato Hora Ielelor conduce alla follia e alla morte.

Un’importanza magica particolare è associata ai nomi.

“Iele” è in realtà un termine collettivo e rituale, perché il nome vero, quando è conosciuto, raramente viene usato: pronunciarlo equivale a un’evocazione, e per questo occorre un ottimo motivo.

Alle “Signore” ci si rivolge quindi con vari appellativi, per ingraziarsele o per metterne in risalto la natura più oscura: le Dolci, le Bianche, le Amorose, le Valorose, le Belle, le Potenti, le Sante, le Radiose, le Buone, ma anche le Malvagie, le Incantatrici, le Oscure, le Streghe; oppure con altri titoli che ne sottolineano i poteri come le Tempestose, le Fertili, le Signore dell’Aria, le Danzatrici.

Tra le più conosciute troviamo le Valve, spiriti custodi mutaforma nonché entità malefiche e devastatrici.

Le Valve Bianche stanno a guardia di torrenti e foreste, di grotte e miniere, di tesori e antiche rovine, proteggono i giorni della settimana e allontanano le pestilenze

le Valve Nere sono spesso raffigurate come vecchie dall’aspetto repellente, simili alla Muma Padurii (Madre della Foresta) che vive nei boschi e ricorda la strega di Hansel e Gretel nonché la Baba Yaga russa.

Le Sanzienele o Dragaice prendono il nome dal fiore giallo della sânzianã, e sono Iele benevole protettrici della fertilità, del raccolto e delle giovani donne. Senziene indica la festa ad esse dedicata: il giorno di S. Giovanni, ovvero il solstizio d’estate.

Le Vintoasele o Vântoase sono Iele del vento, molto simili alle Vila slave, capaci di sollevare vortici di polvere e scatenare tempeste; le loro punizioni colpiscono interi villaggi, e uno dei loro effetti malefici è quello di rapire il senno ai bambini. L’unica protezione possibile è data dalla misteriosa “erba del vento”.

Fate o demoni, quindi? Entrambe le cose. Il folklore rumeno ci offre la possibilità di osservare il “piccolo popolo” – presente in ogni cultura – nella sua forma più selvaggia e originale, sicuramente privo di quelle leziosità shakespeariane che ne hanno edulcorato l’indole tutto sommato ambigua.

Le Iele sono manifestazioni della natura, e come tali vengono percepite: buone o cattive, da adorare come piccole divinità ma comunque da temere. Ad esempio, se non vengono adeguatamente festeggiate nelle ricorrenze a loro dedicate, la vendetta sarà implacabile.

Nel giorno di Rusalii si celebra la Pentecoste ortodossa e anche la festa (pagana e sicuramente pre-cristiana) in cui le Signore si radunano pericolosamente vicino agli umani. Il velo tra il mondo reale e quello fatato si attenua e, accanto ai riti gioiosi e propiziatori per l’arrivo della buona stagione ve ne sono altri nati dalla paura ancestrale verso ciò che non è possibile capire e quindi dominare.

In questa giornata così permeata dal sovrannaturale occorre una particolare danza tutelare che allontani l’influsso malefico delle “Signore”, assicurando nel contempo salute e fertilità al villaggio: il Cãlus.

I Cãluşari (danzatori del Cãlus) sono in numero dispari e rigorosamente maschi, con una gerarchia precisa di ruoli.

Interessante è la figura del Nebun (il muto), che indossa una maschera dipinta, impugna una spada tinta di rosso e porta un fallo di legno rosso legato alla cintura. Simbolo del potere magico del gruppo, radunato in un posto segreto fuori dal villaggio, è un drappo di lino bianco legato a un palo e decorato con aglio, artemisia e steli di grano verde.

Il Calus (probabilmente diminutivo di cal, cavallo) ricorda molto la Morris Dance anglosassone: ogni cãluşar impugna un bastone, e le figure eseguite richiedono particolare abilità e resistenza.

Una sorta di combattimento tra maghi guerrieri e streghe, un duello d’incantesimi intrecciati a passi di danza e tintinnio di campanelli, cadenze rituali e scongiuri.

Le Iele sono strettamente legate alle celebrazioni della vita come al culto dei morti. Non a caso i loro giochi si svolgono prevalentemente in luoghi “maledetti”, teatro di avvenimenti violenti come omicidi o suicidi.

Sorelle altrettanto oscure del Re degli Elfi di Goethe, queste Erlkönigin portano presagi nefasti ma – a differenza delle Banshee irlandesi – sono visibili e udibili solo dal diretto interessato. La loro veste bianca e la duplice personalità, chiara e oscura, ricordano antiche divinità come la greca Alphito (dea del grano ma anche di terribili malattie) o la gallese Cerridwen, dimostrando ancora una volta che il mito possiede radici comuni o tende inevitabilmente a ibridarsi.