Il Patto del Drago

L’era del mito.

L’attesa era snervante, una dura prova per i nervi, resa ancora più dolorosa dal vento gelido che spazzava la pietraia. Le basi del monte non fornivano ripari dallo sferzare degli elementi, ma il clan che vi si era accampato era abituato al dolore e alle privazioni, intere generazioni non avevano conosciuto altro nel corso di un esodo che pareva eterno.

Una presenza invisibile aleggiava su quel popolo, oltre le nubi nere. Lo spirito di qualcosa di assoluto, la cui presenza fisica non avrebbe mai potuto essere sopportata dalle fragili membra degli uomini. Herun, lo Sciamano, lo aveva invocato per giorni chiedendo clemenza per la sua gente. Lo spirito gli aveva risposto, e in una notte consacrata a Syl i Re avevano accolto il Patto del Drago.

I guerrieri sedevano in silenzio. Capelli color fuoco o grano, barbe incolte, membra robuste e possenti. Dure mani callose stringevano armi svettanti, la cui inoperosità era sentita quasi come una vergogna.

Anim, Edgel, Odgar. I loro tre Re si erano immersi nel ventre di pietra della montagna, verso un avversario sconosciuto e terribile. Privati della gloria di morire con i propri sovrani, i guerrieri giacevano in uno stato di prostrazione che mai avevano provato.

Anim, Edgel, Odgar. I loro tre Re erano scesi a sfidare la morte, per dare al proprio clan una nuova terra dove prosperare e una grande forza per vincere le future avversità. Strette nelle loro rozze pellicce, le donne della tribù attendevano assieme ai bambini.

Il vento ululò di nuovo tra le vette aguzze e sbrecciate della montagna, dove ruggivano i Draghi–Serpente. Erano la progenie minore del Grande Padre Dragone, le cavalcature che aveva promesso agli uomini assieme al dominio su quelle terre. Il Patto del Drago, che esigeva in cambio un trofeo, un segno di forza e fierezza.

Quando l’attesa giunse al termine, centinaia di cuori presero a battere all’impazzata.

Anim, uno dei tre Re, emerse dalla caverna che dava accesso ai nidi dei Draghi–Serpente. Era l’ultimo sovrano. L’unico ad aver fatto ritorno. Il signore di quel giorno di gloria e morte.

Non appena lo videro, i guerrieri più esperti sentirono morirgli nella gola qualsiasi canto di gioia o grida di giubilo. Nessuno parlò, ma tutti compresero quale era l’ultima impresa del loro signore. Non il Patto del Drago, non la lotta con il Capo–Branco delle grandi bestie alate.

Camminando a testa alta, il grande guerriero procedeva con passo lento e misurato, dettato dal dominio che esercitava sul dolore che doveva lancinarlo dall’interno. La spessa cintura di cuoio grezzo di Edgel, suo fratello, che con lui aveva varcato l’ingresso alla grotta, era saldamente stretta attorno al suo ventre. Rivoli di sangue colavano ugualmente dalla ferita celata, che tutti compresero essere quasi certamente mortale.

Il suo stesso corpo era un canto alla Dea del dolore. Larghe ferite si aprivano sulle spalle possenti e il torace solido, mentre quanto restava del suo braccio sinistro era un moncherino ciondolante. Ma camminava senza esitazione, senza fermarsi, spremendo a fondo le ultime gocce della propria linfa vitale.

Era giunto a meno di cento passi dagli uomini del proprio clan, quando sollevò la mano destra mostrando la grande zanna ricurva che impugnava. Il trofeo primitivo delle gesta di quella notte epica.

Aheee! gridò, mentre la vista già gli si appannava.

Aheee! risposero le voci maschie dei suoi guerrieri, che immediatamente lo circondarono. I più anziani lo afferrarono per le spalle, perché i loro Re non dovevano cadere come le bestie, né farsi trovare dalla morte con il volto tra le polveri o il fango. I signori del clan morivano come guerrieri, con compostezza, seduti stoicamente o con gli occhi rivolti al cielo.

Ma la vita non aveva ancora abbandonato quelle membra martoriate.

Anim sollevò di nuovo il proprio trofeo, perché lo spirito del Grande Padre Dragone lo riconoscesse, adempiendo ai termini del patto. In risposta, il cielo si squarciò e un tuono assordante fece tremare il monte. Il Grande Padre Dragone benediceva gli uomini, riconoscendone il valore.

Quando la forza del sovrano venne meno, subito lo Sciamano gli sottrasse la zanna del Drago–Serpente, perché le sue dita stringessero una delle loro asce da guerra prima di partire per l’ultimo viaggio, verso la dimora degli avi.

Quando gli occhi di Anim si spensero, i guerrieri riempirono l’aria con grida possenti, orgoglio misto a dolore, agitando lance e asce. Le donne, allora, piansero le lacrime proibite ai loro compagni, e si bagnarono i capelli con il sangue del loro signore caduto. I fanciulli, ordinatamente, baciarono le mani del re morto, perché la loro fedeltà lo confortasse nel buio dell’aldilà.

Al calare della notte, un rogo immenso consacrava il Re morto agli Dei dimenticati, e assieme a lui bruciavano le membra gelide dei fratelli caduti nel fondo della grotta. Figure alate riempirono allora il cielo scuro, tra la meraviglia di donne e fanciulli, prima di calare mestamente verso gli uomini descrivendo ampi cerchi silenziosi.

(Traduzione di Jari Lanzoni)