La storia è tra le più note: Mosè, il bimbo ebreo salvato e poi adottato dalla sorella del faraone, viene chiamato da Dio per liberare il suo popolo dopo 400 anni di schiavitù. Dapprima è solo un giovane generale egiziano, preferito dal faraone per senso morale e intelligenza al figlio legittimo Ramesses, poi una volta scoperte le sue origini di schiavo viene esiliato e, grazie alla sua tenacia, sopravvive nel deserto. Giunto all’oasi di Madlan sposa la bella Zippora e diventa un pastore fino al giorno in cui Dio non lo chiama ai suoi doveri e gli intima di tornare in Egitto e combattere l’oppressione. Ovviamente Ramesses si oppone ma Dio scatena dieci terribili e devastanti piaghe, una delle quali uccide l’amato figlioletto del sovrano. Finalmente liberati, gli ebrei partono verso il Mar Rosso diretti alla terra promessa e nel difficile cammino persino le acque si aprono al loro passaggio, tranne poi richiudersi sull’esercito egiziano ormai alle calcagna, partito per ordine di Ramesses che nel frattempo ha cambiato idea sulla storia della liberazione. Infine Dio tramite Mosè dà al suo popolo dieci comandamenti a cui ubbidire durante la lunga camminata attraverso il deserto.

Il precedente a questa ultima fatica di Ridley Scott è l’illustre I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille, che ha parecchi punti in comune con questa nuova pellicola. Dal cast di grandi star, all’epoca Mosé era Charlton Heston, oggi è invece Christian Bale, adatto all’eccessivo sfarzo tipico delle mega produzioni hollywoodiane. Sorprendente ancora oggi del film del ’56 l’incredibile impegno produttivo che rivediamo invariato in Exodus - Dei e Re. Nel film di Scott, come d’altronde ci ha ben abituati il regista in passato, è tutto un tripudio di sfondi digitali con un eccesso di statue, piramidi e palazzi, battaglie epiche e gusto nel mostrare le dieci piaghe con tanto d’invasione di coccodrilli giganti, cavallette e rane, neanche fosse un animal killer movie. Non si tratta di fare le pulci sull’accuratezza della ricostruzione storica dell’Egitto all’epoca di Mosè, peraltro inesistente, quanto piuttosto di analizzare la decisione su come rappresentare una storia legata a un credo religioso. Se nell’opera di De Mille al di là dei fronzoli della messa in scena c’era per lo meno l’idea (o la necessità) di dare una parvenza di spessore morale alla storia del profeta, Scott neppure ci prova pur dando l'impressione di volerlo fare. I momenti in cui entra in scena Dio come un bambinetto iracondo, o quando Mosè si dispera con lui perché non ne capisce l'operato, è evidente che a Scott non interessano per niente e che sono il male necessario a mostrare tutto il resto.

D’altronde ce lo dice già nel titolo che siamo per guardare una storia che parla di re e di dei e non di un unico Dio. Ciò che al regista di Blade Runner preme sono le panoramiche a volo d’uccello su città da 1000 e una notte, coccodrilli che divorano le carni di poveri pescatori, gabbiani che oscurano il cielo e la potente immagine di centinaia di corpi sospesi nelle acque del Mar Rosso. Insomma non solo Dio non c’è, ma quando compare non è altro che il motore che innesca qualche scena catastrofica, segno che probabilmente il misticismo di Scott è più legato agli alieni di Prometheus che a un qualsiasi spirito religioso. E manca anche del tutto la componente rivoluzionaria e della ribellione al giogo dei potenti che di questi tempi avrebbe avuto un’indubbia forza narrativa.