We dont' need another hero cantava Tina Turner nella canzone che faceva parte della colonna sonora di Mad Max – Oltre la sfera del tuono (Mad Max Beyond Thunderdome), film che nel 1985 segnò la conclusione di una trilogia iniziata nel 1979 con Interceptor (Mad Max) e proseguita nel 1981 con  Interceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2). La costante dei tre film, oltre all'interprete Mel Gibson, era la regia di George Miller.

In realtà 30 anni dopo, sappiamo che gli eroi servono ancora, eccome.

Non sono mai stato un fan di Mad Max. All'epoca dei primi due film, vietati ai minori, ero minorenne, e il terzo film, il primo che ho visto, molto edulcorato e “per tutti” era un classico “film che uccide il suo franchise”.

Recuperati anni dopo ne ho sempre apprezzato la forza visionaria, ma non ho mai avuto troppa voglia di rivederli.

Mad Max: Fury Road recupera alla grande lo spirito del secondo episodio della serie originale. Come in quel film Max è un uomo che vorrebbe semplicemente farsi i fatti suoi, e si trova invischiato in un grosso casino, per uscire dal quale diventerà un eroe suo malgrado.

In sintesi è questa la trama del film che per 120 minuti non lascia mai la presa sullo spettatore, infilandolo in vortice di inseguimenti, sparatorie, esplosioni, motori rombanti e idee visive che potrebbero riempire una trilogia. Dramma, tensione e l'ironia di un mondo che ha perso tutto, tranne il senso del ridicolo a volte, con uno scenario che Flaiano definirebbe “grave ma non serio”.

Non aspettatevi comicità, manca un personaggio spiccatamente ironico come l'aviatore del precedente ciclo. Fa ridere una umanità che dopo l'Apocalisse adora il motore V8 come un dio, e un cialtrone qualunque, per il solo fatto di essere il possessore di pozzi d'acqua si proclama imperatore immortale, con l'altisonante nome di Immortan Joe? Forse, ma la tensione narrativa c'è, eccome.

Max (Tom Hardy), di sana e robusta costituzione e donatore universale, degradato in questo nuovo ordine a “sacca di sangue” per il giovane e malato Nux (Nicholas Hoult), si trova suo malgrado inseguitore di un gruppo di donne fuggitive da questo “nuovo ordine”, guidate alla ricerca di una “Terra Verde” da Imperator Furiosa (Charlize Theron), ex servitrice della elite di guerrieri di Immortan. Donne belle e sane, destinate a essere ingravidate da Immortan nel tentativo di creare una stirpe che non sia affetta da mutazioni, del cui latte di madre nutrirsi. Un destino al quale vogliono sfuggire.

Deserti, paludi, macchine, rombi di motori, esplosioni, tanto divertimento per gli occhi. Cinema vero, che ritorna ai campi lunghi, alle immensità e alla inventiva delle costruzioni scenografiche.

Nel mezzo personaggi che sembrano avere parabole e intenzioni diverse, costretti a collaborare per un fine comune, e a comprendere quale sia il modo migliore per realizzare il proprio scopo, anche affrontando se stessi e i propri fantasmi.

Tante sono le scene che, visivamente ma anche nella significatività, valgono tutto il film.

Grande divertimento ma non evasione a tutti costi.

Tra le righe della storia narrata, nella costruzione del mondo narrativo, emerge una straordinaria forza metaforica.

Ho già detto di Immortan Joe, neo-feudatario, autoproclamatosi dio in Terra. Probabilmente prima, nel vecchio mondo, era un nessuno, chi lo sa? Ora dispone di vite e di morte, delle persone come se fossero cose, rilasciando l'acqua alla popolazione assetata con il contagocce.

Anche i signori delle altre città che compongono questo microcosmo immerso in una landa desolata, Gas Town e Bullet Town, ossia le città dalle quali provengono rispettivamente benzina per i mezzi e materiali per le armi (i mezzi no, semplicemente riciclati all'infinito, riparati in continuazione) sembrano appartenere alla stessa generazione di Immortus, ossia a una genia che, non paga di aver impoverito il mondo senza pensare al domani, continua a tiranneggiare anche dopo che quel mondo è caduto, autodefinendosi Casta. Questo anche perché in pochi si sono alzati, ribellandosi e opponendosi, ma in molti si limitatati a cercare una via di fuga, oppure a servire in modo acritico i presunti “portatori di ordine”.

Mad Max: Fury Road è la storia di questa ribellione a un sistema che, oggi come ieri, anche in un possibile domani post catastrofe, cerca di succhiare l'anima ai cosiddetti “inferiori”. Chi appartenga agli "inferiori" è deciso in base a criteri decisi dall'alto. Forse a capricci del caso. Poco importa. Una gerontocrazia che pensa all'oggi, fregandoci il domani. Poco importa infatti se lo scopo sembra quello di generare bambini sani, alla fine a Immortan interessa il latte, il nutrimento dell'oggi. I bambini saranno parte dei suoi vassalli domani, carne da cannone.

La vera protagonista del film, senza che me voglia il buon Max Rockatansky, è la ribelle Furiosa. Lo si comprende sin dall'inizio, ma viene evidenziato in un momento che da solo significa tutto il film, quando è Max stesso a farsi da parte, a comprendere che non sarà il “macho” a salvare la situazione, non in quel momento almeno. Una ammissione dei propri limiti che fa parte di un processo di maturazione del personaggio che comprenderà che da solo non si va da nessuna parte.

D'altro canto siamo davanti a un'altra grandissima interpretazione di Charlize Theron, che si mangia in scena il pur bravo Hardy.

Mad Max: Fury Road è un grandissimo spettacolo, raccontato con una sceneggiatura che non dimentica nulla, con un significato più denso di quanto non sembri in superficie. La dimostrazione di quanto affermo in ogni occasione, anche i cosiddetti “cialtroni”, i "conta storie" capaci di narrare e bene, sono altresì in grado di fare riflettere, senza per questo annoiare, costruendo storie che si prestano a più chiavi di lettura.

Bentornato Mad Max.