Il cigno- racconto di un devoto-


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uljanka
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MessaggioInviato: Sab 20 Nov 2010 23:01 pm    Oggetto: Il cigno- racconto di un devoto-   

Ecco il mio disgraziatissimo racconto. Non abbiate pietà.


Apollo Iperboreo non ha un altare nel Pantheon dei Settantasette: il suo ministro è uno stilita. Issato sopra un pilastro, questi tiene le braccia sollevate verso la volta. Nel biancore dei drappeggi dell’ampia toga, esse sono ali aperte di un cigno pronto al volo. Il suo canto serpeggia giù per la colonna, e in esso è il monotono fruscio delle foreste, il sovrannaturale bramito della cerva di Cerinea. Udendo il suo inno senti sulla pelle la frescura delle estati settentrionali e sul viso la sferza del vento.

Un giorno ascoltavo la sua incomprensibile preghiera e meditavo tra me e me quando mi parve che la voce del sacerdote si distraesse dal canto e si rivolgesse a me.

- Presi il volo come un cigno in fuga e mi risvegliai gabbiano abbattuto. Durante il viaggio tutte le forze dell’intelletto e del corpo erano concentrate nell’atto del volare. Le mie braccia alate si muovevano per inerzia e la mia mente era concentrata nel non-pensiero, nella ripetizione di ricordi innocui, confusi dal sonno. Vedevo neve e foresta, mare e rocce, pelo di lince e cervo, riflessi d’ambra e oro. Vedevo acque torbide e sabbia, e sulla sabbia mi svegliai.

Non erano lodi al Dio, ma un racconto. Da vero devoto avrei dovuto allontanarmi e lasciare il sacerdote ai suoi pensieri. Mi mossi per andarmene.

- Aspetta! Resta qui. Non ho mai raccontato a nessuno quel che ti dico. L’anima è pesante di questo racconto, e se non riuscirò a finirlo, non potrò più pregare.
Si chinò verso di me. La testa era seminascosta dal velo sacerdotale ma mi sentivo scrutare da gelidi occhi azzurri. Non era un volto d’anziano il suo e i capelli erano lunghi, corvini. Quel giovane sacerdote mi rivolgeva una preghiera o un ordine? Rimasi.

- Mi svegliai gabbiano abbattuto. Fissavo un cielo crudelmente terso e il sole mi bruciava gli occhi. Non riuscivo più a muovere le braccia alate. Ero però padrone dei miei pensieri e a lungo rimasi nella loro sterile compiutezza. Mossi le braccia, mi misi a sedere. Mi sollevai in piedi e il dolore mi ricordò che il mio nemico mi aveva tagliato i tendini delle ginocchia.
Sia maledetta la Gente dell’Ascia.

Le gambe non mi reggevano, e le mie ali mi trascinavano verso il suolo. Provai a togliermele ma durante il volo le cinghie che le assicuravano le braccia si erano incollate alla mia pelle. Strappandomele avrei estirpato brani della mia carne viva. Arrancai a quatte zampe per un tratto di spiaggia lungo tre, forse quattro stadi, poi crollai e mi lasciai accarezzare dall'acqua e dal sole. Forse sarebbe bastato riposarmi, recuperare le forze per poi prendere di nuovo il volo. Dovevo cercarmi un rifugio e del cibo. Alzai il capo. La spiaggia era assolata, priva di vegetazione. Intravidi dei cespugli lontani. Forse era un bosco, forse là c'era dell'acqua.

Raggiunsi la macchia a quattro zampe. Alcuni arbusti esibivano ricche spighe di bacche rotonde e nere. Pregai gli Dei che non fossero velenose. Forse non li pregai a sufficienza. Non ressi oltre la seconda manciata. Il palato si riempì del loro succo bruciante, e poi le nari, la gola... Persi conoscenza vomitando bava nera. Rigettando neri fiotti la ripresi.
Ero riverso a terra e accanto a me c'era qualcuno. Respirava piano. Era un bambino. I suoi capelli erano ricci, neri, quasi grigi per la polvere, la pelle brunita. Era attaccato alle gonne della madre, e quando si accorse che ero sveglio si nascose completamente. Ero disteso per terra, legato al centro di una raggiera di punte di lancia. Non giacevo più sulla spiaggia. Alla mia destra intravidi un muro rozzamente intonacato. Sentii un cigolio, fu alzata una botola. Mi sollevarono di peso e mi portarono in una cantina vuota.

Mi slegarono, contemplarono brevemente la mia immobilità e se ne andarono. Quando tornarono, calarono nel mio buco un cestino con del pane unto e dell'acqua. Mangiai. I miei carcerieri mi osservavano dall'alto. Quando smisi di masticare, si ripresero la cesta e se ne andarono.
Non so per quanti giorni continuarono ad alimentarmi in quel modo. Il cibo era calato fino a me quando ormai era sera, ed io vedevo in altro sopra di me volti rossi della fiamma delle torce. Nella prigione la notte era senza fine e cercavo d'intuire la corsa del sole nel cielo attraverso le vibrazioni della terra ma anche la Grande Madre sembrava parlare una lingua sconosciuta.

Io conoscevo i ritmi del lungo inverno e dell'estate effimera. Conoscevo il ghiaccio duro come roccia nelle profondità del suolo. Ma quel terreno compatto, secco, mi era ignoto. Cercai di sondare i pensieri degli uomini, allora, il cui flusso è ovunque lo stesso, non le parole, certo, ma le immagini ricorrenti. Il sole contemplato, il sole immaginato. Il desiderio di un nuovo giorno, la voglia di cibo, di accarezzare carne morbida, il bisogno di vuotarsi il ventre. Volti di legno dall'enigmatico sorriso, il mare, alberi antichi, il cielo sgombro di nubi. Poi giunsero le memorie degli odori e dei sapori. Me li sentivo nel naso e nella bocca. Non c'era nulla di utile per me in tutto questo, ma almeno mi salvava dalla contemplazione della mia miserabile condizione.

Nelle mie terre ero noto per la mia astuzia, per la capacità di tessere incantesimi, di forgiare armi magiche. Il nemico mi aveva rapito proprio perché ne creassi solo per lui, e da schiavo incatenato e menomato ne fabbricai molte. Ma furono i miei artefatti a portare in casa sua i miei incanti, a ottenebrare la sua anima. Nella prigionia lavorai per fuggire. Costruii di nascosto le ali magiche, rubando i frammenti di piume portati dall’aria, i semi dei soffioni, le ali delle mosche. E quando le ebbi ultimate e potei usarle il nemico era così confuso dalla mia rete d’incantesimi che si accorse della mia fuga, quand’ero già alto nel cielo.
Che miracoli potevo mai imbastire con la paglia sporca, la fanghiglia fetida, il pane secco e l'acqua stagnante? La mia disperazione era tale che una cosa sola mi restava: rifiutare il cibo e lasciarmi morire.

Le ali di cigno che avevo costruito per fuggire dalla mia vecchia prigione, il capolavoro del mio ingegno si stavano sfaldando una piuma dopo l'altra. Si corrompeva anche l'ordine dei miei pensieri, e in essi s'insinuavano visioni, suoni, parole incontrollabili.
Cominciai a strapparmi da solo le ali. Ne disseminavo i frammenti intorno a me, in un cerchio discontinuo. Se qualcosa ancora rimaneva del mio potere, era in quelle piume. Forse contemplando quel che restava della mia magia avrei scorto un'ultima favilla della grazia divina che mi aveva ispirato. E in quella avrei ritrovato la forza.
Non ottenni altro che un nido morbido, così bianco da risplendere d'un debole lucore che illuminava le mie membra e le faceva apparire estremamente pallide.

Arrivarono a portarmi il cibo. Sollevarono la botola e lanciarono un grido. I loro volti non erano illuminati dalla luce delle torce, ma dal biancore del mio nido, che saliva fin loro in una colonna tremula. Si dimenticarono di calarmi il cesto con pane e olio. Li udii discutere a lungo, animatamente, fino a quando le loro conversazioni non cessarono all'improvviso. Ci fu un lungo silenzio, che probabilmente corrispondeva alle ore centrali della notte. Poi udii nuove discussioni, proprio sopra la mia prigione. Alle voci giovani, concitate, se ne alternava una lenta e roca.

Alzarono la botola. Due uomini scesero aggrappati a delle corde. Mi sollevarono facilmente, magro com’ero. Mi legarono ai canapi. Fui issato attraverso la colonna di luce. Quando giunsi in superficie, il sole non mi fece male agli occhi, come succede spesso a chi viene liberato da una segreta. Vedevo chiaramente intorno a me dei giovani armati e un anziano, un sacerdote.
Il vecchio mi pose delle domande, con voce ispirata e suadente, ma io non capii una parola. Non penso che avrei capito di più, se il suo idioma mi fosse stato familiare, giacché mentre il vegliardo parlava, nella mia mente si sovrapponevano illusioni e voci estranee, con ritmo sempre più incalzante. Dovetti urlare per farle cessare.
Gridai con tutta la forza le parole che la divinità m’ispirava, in una lingua a me sconosciuta. Quando smisi, mi fissarono attoniti. Il sacerdote mi condusse via. Per giorni dimorai presso la sua casa, da solo. Avevo un letto e del nutrimento. Cercai di parlargli. Gli dissi il mio nome. Lui cominciò a chiamarmi Olen.

Poi l’anziano mi condusse nel tempio ove egli stesso offriva sacrifici. Le parole che avevo gridato si erano rivelate un vaticinio. Che profezia fosse non l’ho mai saputo. So che da allora in poi la gente si rivolse a me, tramite il vecchio, per ottenere responsi di ogni genere.
Presto non si accontentarono di tenermi in una stanza della casa di un sacerdote. Costruirono tutto un tempio per me, intorno a me. Il tempio di Delfi. Io sono passato alla storia come il suo fondatore, ma a dire il vero io fui una sorta di pietra d’angolo viva e pulsante.
Da allora in poi non conobbi altro che visioni e canti, la forza abbagliante di Apollo e la sua voce estranea. Conobbi solo templi, sacelli, santuari. I sacerdoti si tramandarono il segreto della mia immortalità e della mia sapienza e si passarono la mia indissolubile persona di mano in mano.
Da secoli viaggio senza posa di città in città, d’isola in isola, affidato alle cure dei devoti. Canto nella vostra lingua e non la uso per parlare. Questa è la prima volta, e so che sarà l’ultima.
Spero che un giorno il Dio mi conceda la grazia di essere liberato dal dono della profezia. Nelle mie terre i sacerdoti sono maghi, fabbri, cacciatori che vagano al seguito della loro tribù. Io sono un cigno dalle ali spezzate. Mi resta solo questo interminabile ultimo canto eterna reminescenza del futuro.


Tacque allora, e sollevò di nuovo il volto verso la cupola, e sollevò le ali come se si preparasse al volo. A librarsi però fu il suo canto, s’innalzò libero per la vastissima volta e poi serpeggiò fino a me, lungo la colonna, e sapeva di bagliori d’ambra, di nevi intatte e di luci ignote.
E io, che sono Tenebra, altro non posso vedere se non la Luce, e perciò sono la Luce.

Quando qualcuno dice 'io non credo nelle fate' da qualche parte una fata ride e prepara il suo fucile.
un muspeling
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MessaggioInviato: Dom 21 Nov 2010 15:30 pm    Oggetto:   

Letto,
constato che hai usato quasi appieno lo spazio concesso.
Apprezzo l'idea ma mi occorre tempo per elaborare un giudizio completo.

Quanto prima, comunque, anche quello arriverà. Smile
nisana
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MessaggioInviato: Dom 21 Nov 2010 23:35 pm    Oggetto:   

Anche Nisana ha bisogno di un po' di tempo per pensarci su!
Vita prima della morte. Forza prima della debolezza. Viaggio prima della destinazione.
ThomasMore
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MessaggioInviato: Sab 27 Nov 2010 21:53 pm    Oggetto:   

Ho letto anche io, credo di essermi un po' perso ma la parte centrale mi è sembrata molto coinvolgente. Dopo che i commentatori ufficiali avranno svolto il loro lavoro, lascierò anche il mio commento Very Happy


Un porco che non vola è solo un porco.
un muspeling
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MessaggioInviato: Mer 01 Dic 2010 0:42 am    Oggetto:   

Domani arriverà il mio commento articolato in punti, promesso! Very Happy burning
un muspeling
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MessaggioInviato: Gio 02 Dic 2010 1:32 am    Oggetto:   

Eccomi, come promesso, a dare i miei numeri.

Stile: 2
Il racconto è appesantito da troppe congiunzioni in alcuni punti, più di rado troppo "virgolato" e verso la fine si abbonda in avverbi in "-mente". Diverse anche le ripetizioni. Il tutto mi ha dato una complessiva sensazione di pesantezza.
Ne desumo che non c'è stato molto tempo per rivedere il pezzo, cosa che temo sarà un male abbastanza comune. Rolling Eyes

Trama: 3
La trama ha qualche problemino, a mio avviso. C'è quel primo capoverso in terza persona onniscente, che passa bruscamente in una serie di prime persone, narranti ognuna episodi del proprio passato.
Il secondo, forse non è solo un punto, ma ho avverito confusione in mezzo al racconto in diverse parti.

Provo a fare degli esempi:
Citazione:
Persi conoscenza vomitando bava nera. Rigettando neri fiotti la ripresi.

Forse questo è l'esempio più banale, ma non mi sembra che sia chiarissimo cosa riprenda il nostro aviosacerdote.

Citazione:
ma anche la Grande Madre sembrava parlare una lingua sconosciuta.

Non credo che in questo caso si possa usare il termine "sembrava", o comprendeva o non comprendeva il linguaggio dell'astro.

Citazione:
Che miracoli potevo mai imbastire con la paglia sporca, la fanghiglia fetida, il pane secco e l'acqua stagnante? La mia disperazione era tale che una cosa sola mi restava: rifiutare il cibo e lasciarmi morire.

Ma in precedenza hai scritto che il protagonista venne legato a una ruota dentata con punte di lancia, inoltre gli venivano a portare pane imbevuto d'olio (niente di risparmioso quindi) e acqua. Insomma, pur nella crudeltà della situazione, non sembra all'inizio che il prigioniero fosse stato trascurato, poi sì.

Citazione:
Conobbi solo templi, sacelli, santuari.

Bah, inzomma. C'era di Molto Peggio che poteva capitare in vita nella realtà storica. Non vedo poi perché usare tre termini così similari, architettonici. Avrei capito si fosse trattato di: tempii, rituali e libagioni sacre (tanto per fare un esempio), ma così sembra solo una ripetizione veramente pesante.

Citazione:
Mi resta solo questo interminabile ultimo canto, eterna reminescenza del futuro.


A parte la ridondanza concettuale fra "interminabile" e "eterna", ma la frase in neretto - che compare a fine racconto - appare del tutto infondata. Da dove l'avremmo mai dovuto dedurre che lo stilita proveniva dal futuro?

Registro: 3
Siamo dalle parti (al confine, forse, non oltrepassato) dell'aulicheggianrettorico. L'intento di utilizzare alcune tematiche mitologiche e una prima parte del racconto che, con tutta quella voglia di raccontare azione (da cui l'eccesso di correlate rette da congiunzioni), mitigano la pesantezza di alcune soluzioni, indi il voto che mi sento di dare è quello mediano.

Equilibrio: 3
Il racconto ha quell'attruppico (per i non siculofoni trad.=Inciampo) iniziale, ma poi vola senza guizzi o sorprese sino alla fine.

Comunicazione: 4
Ebbene, l'idea era buona, forse era un attimo (o due Laughing) troppo impegnativa per occuparsene in quel poco tempo che ci siamo dati (e menomale che eravamo stati io e alcuni altri a chiedere più tempo! Smile )
Mi è piaciuto, davvero molto, il protagonista aggiogato alla ruota con le teste di lance! Peccato che resti un episodio puntiforme di tutto il racconto. Sad
L'esecuzione di questa idea, sicuramente migliorabile, non inficia la chiarezza della comunicazione, almeno per me che ho letto sia le Edda che alcune opera di mitologia greca.

Se solo posso fare un appunto: gli stiliti arrivano a cavallo fra il IV e il V secolo d. C., un'epoca ben posteriore alla grecità classica. Ma comunque, non me ne dispiaccio, visto che come attinenza all'ambientazione, anche il mio pezzo sarà alquanto lasco. Wink
uljanka
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MessaggioInviato: Gio 02 Dic 2010 10:22 am    Oggetto:   

Grazie per il commento, Musp. Speriamo solo che non sia l'ultimo. Vediamo come vanno le cose, ma visto che dopo dieci giorni dalla pubblicazione della mia cosuccia siamo solo a un parere posso dire che questo contest è ai livellli minimi di partecipazione.

Citazione:
Il racconto è appesantito da troppe congiunzioni in alcuni punti, più di rado troppo "virgolato" e verso la fine si abbonda in avverbi in "-mente". Diverse anche le ripetizioni. Il tutto mi ha dato una complessiva sensazione di pesantezza.
Ne desumo che non c'è stato molto tempo per rivedere il pezzo, cosa che temo sarà un male abbastanza comune


Lasciamo stare le virgole e le congiunzioni (aspetto G.C. per una radiografia più precisa)
Mi sono presa la briga di contare gli avverbi in "mente". Sono nove. In tutto il racconto. Nemmeno due per cartella... Shocked

Aspetto altri commenti, per spiegare i particolari della prigionia di "Olen". Anzi, delle due prigionie...
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un muspeling
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MessaggioInviato: Gio 02 Dic 2010 10:53 am    Oggetto:   

Gli avverbi in "-mente" hanno un loro certo "peso" nella narrazione.
Certamente è più "ciccio" di, di certo, per certo, tanto per fare un esempio.

Nove in un racconto di 10.000 battute non è quindi un numero così piccolo. Se aggiungiamo poi che, come avevo scritto, questi non sono distribuiti in modo omogeneo ma si concentrano più andando verso fine racconto, la sensazione di pesantezza si aggrava. In my humble opinion. Rolling Eyes
uljanka
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MessaggioInviato: Gio 02 Dic 2010 11:26 am    Oggetto:   

Provo a farmi le pulci io. Gli avverbi in "mente" sono pochi. Nove su 1600 e passa parole. Sette di loro sono però concentrati in due paragrafi .

Citazione:
Ero riverso a terra e accanto a me c'era qualcuno. Respirava piano. Era un bambino. I suoi capelli erano ricci, neri, quasi grigi per la polvere, la pelle brunita. Era attaccato alle gonne della madre, e quando si accorse che ero sveglio si nascose completamente. Ero disteso per terra, legato al centro di una raggiera di punte di lancia. Non giacevo più sulla spiaggia. Alla mia destra intravidi un muro rozzamente intonacato. Sentii un cigolio, fu alzata una botola. Mi sollevarono di peso e mi portarono in una cantina vuota.


Mi slegarono, contemplarono brevemente la mia immobilità e se ne andarono


Questo è un brano a metà del racconto, non alla fine.

Verso la fine c'è piuttosto questa robaccia:

Citazione:
Arrivarono a portarmi il cibo. Sollevarono la botola e lanciarono un grido. I loro volti non erano illuminati dalla luce delle torce, ma dal biancore del mio nido, che saliva fin loro in una colonna tremula. Si dimenticarono di calarmi il cesto con pane e olio. Li udii discutere a lungo, animatamente, fino a quando le loro conversazioni non cessarono all'improvviso. Ci fu un lungo silenzio, che probabilmente corrispondeva alle ore centrali della notte. Poi udii nuove discussioni, proprio sopra la mia prigione. Alle voci giovani, concitate, se ne alternava una lenta e roca.

Alzarono la botola. Due uomini scesero aggrappati a delle corde. Mi sollevarono facilmente, magro com’ero. Mi legarono ai canapi. Fui issato attraverso la colonna di luce. Quando giunsi in superficie, il sole non mi fece male agli occhi, come succede spesso a chi viene liberato da una segreta. Vedevo chiaramente intorno a me dei giovani armati e un anziano, un sacerdote.


E sono quattro in una mezza paginetta.

Scarsa cura nell'editing? Periodo di stanchezza generale nella mia scrittura, può darsi.

A mia discolpa, potrei dire che, nell'ultima cartella (1600 caratteri spazi esclusi), di avverbi in mente non ce n'è neppure uno. Laughing

Nove avverbi in cinque pagine non inficiano il ritmo generale della storia. Ammetto però che quattro avverbi in 200 parole sono degni dell'Onorevole Cetto La Qualunque. Rolling Eyes
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un muspeling
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MessaggioInviato: Gio 02 Dic 2010 11:31 am    Oggetto:   

Infattamente! Very Happy
nisana
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MessaggioInviato: Ven 03 Dic 2010 13:39 pm    Oggetto:   

Ecco la vostra micia preferita! Premesso che non amo leggere e scrivere racconti, esprimo un giudizio personale che probabilmente non sarà molto condivisibile. Per esempio, già leggendo il commento di Musp ho pensato che io di virgola ne avrei aggiunta qualcuna!

Comunque, una premessa: la parte relativa al racconto dello "stilita" mi è sembrata molto più curata dei rari interventi del narratore della "cornice".
Stile: 2
Ho trovato alcune scelte stilistiche un po' pesanti, anche se mi sembra di ricordare che siano tipiche dello stile di Uljanka, anche nel romanzo. Nell'attacco
Citazione:
Issato sopra un pilastro, questi tiene le braccia sollevate verso la volta. Nel biancore dei drappeggi dell’ampia toga, esse sono ali aperte di un cigno pronto al volo.
mi infastidiscono i due pronomi, questi e esse, perchè rallentano un ritmo già lento.
Ricercata ma per me poco scorrevole l'espressione
Citazione:
L'anima è pesante di questo racconto

Non mi è piaciuta l'espressione
Citazione:
Persi conoscenza vomitando bava nera. Rigettando neri fiotti la ripresi.
, perché un lettore un po' frettoloso rimane spiazzato da quel la, riferito alla conoscenza, ma troppo vicino a bava.
I volti "rossi" dovrebbero essere "arrossati", anche se più banale.
Pesante, in un momento di pathos, l'avvervio "probabilmente" nell'espressione
Citazione:
Ci fu un lungo silenzio, che probabilmente corrispondeva alle ore centrali della notte.
. L'hai usato per dare il senso della durata della notte? Altrimenti, lo sostituirei con "forse".
Cambierei un pochino il finale "A librarsi però fu il suo canto, che s’innalzò libero per la vastissima volta e poi serpeggiò fino a me".

Comunque, il problema principale è l'andamento paratattico, che alla lunga mi annoia. Ma potrebbe tranquillamente essere un procedimento tipico dei racconti, che non mi è familiare in quanto non fruitrice del genere!

Trama: 3
Ci sono alcuni elementi che non mi sono chiari, anche se l'idea è interessante.
Uno stilita come ministro di un culto non cristiano mi suona strano, ma mi informerò meglio.
Comunque, per venire al punto:
Citazione:
Un giorno ascoltavo la sua incomprensibile preghiera
. Qui divento puntigliosa: come fa a sapere che è una preghiera, se è incomprensibile? Certo, può supporre che lo sia, ma non è detto.
Poi:
Citazione:
Non erano lodi al Dio, ma un racconto. Da vero devoto, avrei dovuto allontanarmi
Perché? Nell'antichità, il racconto, generalmente di miracoli (come quello in questione), è molto comune all'interno dei templi. Prendiamo in considerazione alcune iscrizioni del tempio di Asclepio a Epidauro, in cui si narra per filo pe per segno come il devoto è stato guarito. Non ci vedo nulla di strano e non mi è chiaro perché il povero tizio non possa più ripetere l'esperienza. Ammette la grandezza del dio che l'ha salvato, cosa di meglio per i fedeli?

Ancora:
Citazione:
Ero riverso a terra e accanto a me c'era qualcuno. Respirava piano. Era un bambino.

Dunque, il nostro eroe è circondato da un mucchio di lance, ma tra lui e le lance ci sono un bimbo e la sua mamma. Non è poco probabile? Certo, fa effetto l'immagine del bimbo come primo elemento del risveglio, ma con uno straniero...la donna l'accetto, invece: potrebbe essere la guaritrice del paese.

Ma qui mi sorge un dubbio, sulla natura del nostro eroe. Se è immortale, che effetto gli fanno le bacche? Non riesco a capire il suo status semi-divino. Immortale, ma può essere ferito, come molte volte gli è successo? Se sì, la sua "indissolubile" figura può essere continuamente mutilata senza speranza di guarigione? Terribile, poverino! Comunque, ammetto che in un racconto sia anche carino lasciare delle questioni in sospeso, ma forse dell'eroe non si capisce molto.

Registro: 4.
A me piace l'aulicheggiante retorico, e mediamente non mi infastidisce. A parte i volti rossi e "l'anima pesante di questo racconto", mi sembra sia tutto nelle corde del personaggio. In fin dei conti, parla in prima persona.

Equilibrio: 3
Mancano molte spiegazioni sul personaggio principale, e si arriva alla fine con un senso di vuoto. Nisana è curiosa!

Comunicazione: non so come valutarla! Non riesco a capire che tipo di giudizio dovrei dare! Il racconto mi ha fatto riflettere, mi ha interessato e sono arrivata volentieri alla fine, anche se avrei preferito altre cinquanta pagine di spiegazioni.
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un muspeling
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Posso confermarti, o Nisana, che gli stiliti sono fenomeno cristiano del periodo Tardo Antico, una forma arcaica di monachesimo eremitico. Detto questo, però, va aggiunto che il Fantasy usa gli elementi storici e culturali a proprio fine. Non vuole descrivere il passato, come un saggio storico, nemmeno essere un romanzo storico, sono cose diverse.

Depreda le fonti per farsene un nido luccicante che riflette il presente. Wink
G.C.
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MessaggioInviato: Ven 03 Dic 2010 14:12 pm    Oggetto:   

Ritardo, ritardo... non è mio costume e ne chiedo perdono in anticipo. Crying or Very sad
nisana
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MessaggioInviato: Ven 03 Dic 2010 15:13 pm    Oggetto:   

un muspeling ha scritto:
Detto questo, però, va aggiunto che il Fantasy usa gli elementi storici e culturali a proprio fine. Non vuole descrivere il passato, come un saggio storico, nemmeno essere un romanzo storico, sono cose diverse.


Sono d'accordo, e infatti non ho protestato per la distanza cronologica tra la nascita del tempio di Delfi e gli stiliti (dopotutto, il personaggio è immortale!), come nemmeno per l'invenzione dell'origine di Delfi. Ma visto che gli stiliti sono un'altra cosa, sarebbe meglio, dal mio punto di vista, spiegare perché un sacerdote di Apollo fa lo stilita. Posso anche dire che un gatto cammina a zampe all'aria. Purché mi venga spiegato come e perché. Forse, però, il punto è che sono troppo ancorata alle storie lunghe.
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un muspeling
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MessaggioInviato: Ven 03 Dic 2010 19:44 pm    Oggetto:   

Perché fa lo stilita codesto sacerdote di Apollo?
Beh, forse perché non è proprio devoto ad Apollo-Apollo,
ma di Apollo iperboreo, e poi il suo miracolo è legato alle sue ali
al suo primo apparire come volatile.

Io così l'intesi almeno.
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