Un breve racconto scritto di getto, senza troppe pretese.
Era nato pe rla partecipazione a un concorso, ma poi ci ho rinunciato...
Ogni commento è gradito.
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ESILIATO ALL’INFERNO
Non so dire da quanto tempo mi sto trascinando per questa landa deserta e gelata. Avanzo arrancando, a ogni passo sprofondo nella neve fino al ginocchio; i miei piedi nudi sono passati dal loro naturale colore rosa pallido a un rosso sempre più acceso, poi al viola, e ora non li sento quasi più, se non per le scosse dolorose che mi attraversano ritmicamente quando li poso sullo strato ghiacciato.
Davanti a miei occhi, solo una distesa bianca, celata all’orizzonte dalla foschia del ghiaccio turbinante, alzato dal vento. In alto, il cielo è di un azzurro algido, senza nuvole.
Cammino da un’eternità ; ore, giorni, non lo so più: da quando mi sono svegliato disteso su questa terra sconosciuta, ho perso la cognizione di tutto e ora perfino il mio nome sta sbiadendo nella mia mente. Inutile negare la verità : non ho idea di dove mi trovo. Soltanto stracci di ricordi mi tengono ancorato al mio passato: le risate di un bambino (penso mio figlio); il seno di una donna, che credo fosse mia moglie, premuto sul mio petto nudo, mentre ci rotolavamo avvinghiati in mucchi di lenzuola; un camino; e poi…il nulla, nient’altro.
Sono stato avvelenato? Sono vittima di un incantesimo? Non so nemmeno questo.
Cammino. Proprio ora mi immergo in una nube biancastra di cristalli di ghiaccio. Forse al di là troverò l’uscita da questo inferno, troverò risposte. Tendo le mani davanti a me, perché non vedo più, mentre tremo, scosso da brividi di freddo.
Ecco, ho toccato qualcosa! Ma che diavolo è? Non riesco ad avanzare! Sembra un muro, una parete invisibile, fredda al tatto, trasparente alla vista (per quel poco che la nube mi consente di vedere). Eppure, esiste. Non si passa, di qua. Mi sposto di qualche passo, poi ancora e ancora. Il muro prosegue diritto, pare all’infinito.
Per la prima volta, la mia voce, rauca, si tramuta in un grido, soffocato dal vento teso. Imploro aiuto, ma nessuno lo ascolterà . Non mi resta che tornare indietro.
Ho ripreso a camminare, ho superato il punto da cui sono partito. L’ho riconosciuto per i massi che, radi, punteggiano la candida pianura. Ho proseguito oltre. Ho gridato altre volte, con quanto fiato avevo in gola: un grido di aiuto, che mi è rimbalzato in basso, inudito se non da me stesso. Come se fosse stato respinto da una parete, più in alto. Ho levato gli occhi al cielo e ho visto solo l’azzurro, immoto. Forse c’è un’altra parete invisibile, un soffitto, e io mi trovo in un’enorme stanza deserta e ghiacciata. Il terrore, che già da tempo mi attanaglia, ora si sta attorcigliando alle mie viscere. E’ così, ne sono certo: non c’è altra spiegazione, sono prigioniero in questo luogo sperduto e isolato.
Ma non posso arrendermi…Devo andare avanti.
Altri passi, un cammino che pare eterno.
Da un po’ la coltre di neve si è assottigliata e penso vi sia la terra sotto i miei piedi, ma non riesco a sentire bene…Scavo con le mani, gelate anch’esse: sì, c’è della terra. E ora, scrutando lontano, noto dei bagliori all’orizzonte, striature rosse che macchiano l’azzurro. Cosa c’è da quella parte? Devo scoprirlo.
Il ghiaccio lentamente è scomparso e ora cammino su terra solida e bruna. Il mio corpo si sta scongelando, ma i miei occhi sono incatenati allo spettacolo terribile che si disegna di fronte a me: colonne di fuoco nel cielo, che si ergono intermittenti dal terreno.
Procedo; e procedendo inizio a sudare. E’ la tensione o il caldo? Forse tutti e due. Continuo ad essere solo. Grido ancora in cerca di aiuto, ma non c’è nessuno. E io penso di stare impazzendo…
Sono in una terra vulcanica. C’è il fuoco ovunque davanti a me. Avanzo nell’inferno rovente, ma devo stare attento a non finire bruciato vivo dalle vampe improvvise di fuoco. Ma conta ancora qualcosa?
Mi butto a terra, in ginocchio. Non mi restano più lacrime. Dove sono e chi sono io?
La lucidità mi sta abbandonando e così, fra poco, farà anche la vita. Muoio solo e nel terrore. Perché tutto questo? Di quello che sono non mi è rimasto nulla. Perfino il mio nome se n’è andato. |