L’ultimo libro è uscito in novembre: Veracruz.  Secondo tomo del Ciclo dei Pirati  ma prequel di Tortuga,  sarà seguito dal conclusivo Cartagena, attualmente in lavorazione.

Dopo i romanzi di Eymerich, il ciclo di Metallo Urlante e la trilogia di Nostradamus, Valerio Evangelisti si sposta nei mari del Golfo del Messico, e attraverso le imprese sanguinarie dei Fratelli della Costa l’autore bolognese mostra ancora una volta come scrivere narrativa sia ancora e sopratutto introdurre temi che fanno riflettere.

Nei suoi progetti non ci sono solo pirati: anche le avventure dell’Inquisitore non sono finite.

Di tutto questo, Valerio Evangelisti ha parlato con noi – con la disponibilità che gli è propria – nell’intervista che vi proponiamo.

Valerio Evangelisti è un nome conosciuto sia in Italia che all’estero. Quale è stata la carta vincente del primo romanzo, l’idea che ha conquistato i lettori? Il triplice piano d’azione o la figura dell’Inquisitore?

Suppongo tutte e due le cose, però, in ultima analisi, credo che sia stata la personalità complessa ma credibile del mio protagonista a sedurre un pubblico molto vasto.

Oggi gli eroi negativi vanno molto di moda. Nicolas Eymerich è però qualcosa di più: il suo fascino oscuro sta nel fatto che ognuno di noi è in parte “cattivo” ma non osa ammetterlo apertamente?

Il fatto è che Eymerich non è totalmente negativo. E’ un impasto di bene e di male: spaventa la sua filosofia di fondo, però affascina la sua intelligenza. In effetti, attrae lettori che, a livello inconsapevole, hanno un loro “lato oscuro”. Cioè, in pratica, quasi tutti.

I libri di Valerio Evangelisti non hanno una precisa collocazione di genere. Sono stati definiti fantascienza, fantasy, new weird, new epic: ma il fantastico (volendo adottare un termine più generico possibile), ha davvero bisogno di classificazioni?  Oppure le classificazioni servono solo per facilitare la comunicazione?

Le classificazioni sono un tema che non può riguardarmi. Le lascio ad altri. Spesso obbediscono a ragioni pratiche: dove collocare un volume in una libreria. Quanto a me, scrivo storie che mi piacciono – sperando che piacciano anche ad altri – senza preoccuparmi troppo della loro etichetta futura.

Leggendo il ciclo di Metallo Urlante ( e non solo) si ritrova l’atmosfera di certi libri di Cormac Mc Carthy. Per esempio, Meridiano di Sangue e la favola nera Il Buio Fuori: condivide quest’idea della malvagità umana senza possibilità di redenzione?

Ho letto Corman Mc Carthy solo dopo avere scritto Metallo Urlante, Black Flag, Antracite. Mi avevano segnalato somiglianze. Le ho riscontrate, però sono relative. Se un certo pessimismo sugli istinti umani è comune, in me è accentuato il valore della lotta, sia pure disperata, Dunque, in molti miei lavori, una possibilità di redenzione esiste, e passa attraverso il sacrificio.

Eymerich e Pantera: il primo persegue senza quartiere ogni deviazione dall’ortodossia,  il secondo ha poteri magici istintivi e atavici. Se si incontrassero, sarebbero nemici o si riconoscerebbero come  due metà di una stessa persona?

Sarebbero certamente nemici, però non mortali. Eymerich tenta di disciplinare il mondo a sua immagine, Pantera vorrebbe farsi gli affari suoi e odia avere seguaci. Però non si odierebbero, dato che li accomuna l’asocialità naturale.

Recentemente lei ha affermato che, dopo nove romanzi su Eymerich, è ora di tirarne le fila e che il prossimo libro, Rex Tremende Majestatis (in alternativa L’Ultimo Eymerich) sarà quello conclusivo. Abbandonare questa figura dopo tanti anni e tanti romanzi sarà così facile?

Credo che non sarà troppo difficile. Gli intervalli tra un Eymerich e l’altro, ultimamente, erano diventati molto lunghi. Ciò che è complicato è trovare una fine degna di lui. Non la morte, ma ben altro, e in grado di soddisfare chi teme una conclusione brusca della saga.

Il verso del Dies Irae nel titolo fa presagire una storia molto … vivace: può svelarci qualcosa di più sul destino dell’Inquisitore?

Sta tutto nel titolo, Rex Tremendae Maiestatis. E’ riferito a lui. Posso solo dire che la storia comincia in Sicilia, nell’anno 1372, ed è intervallata da capitoli sulla vita di Eymerich bambino. Più altre cose.

Che siano sedotte o seduttrici, fragili o forti, vittime o abili manipolatrici, le donne nei suoi romanzi in genere non fanno una bella fine. Come mai? Reina è forse l’unica eccezione, la ritroveremo?

Reina tornerà nel romanzo Cartagena, terzo e ultimo del ciclo dei Fratelli della Costa (in realtà Veracruz, Tortuga e il futuro Cartagena andrebbero considerati come un unico romanzo). Le donne, nelle mie storie, fanno spesso una brutta fine perché si ribellano alle convenzioni della società circostante. Anche quando, inizialmente, paiono obbedire a stereotipi (la seduttrice, la sottomessa, la vittima, ecc.).

Tortuga e Veracruz: storie di pirati molto lontane dal romanticismo edulcorato con cui le produzioni più recenti ci hanno sommerso, e prive di elementi, per così dire, surreali. Le denuncie sociali non hanno più bisogno di essere veicolate con il fantastico? E il declino dei Fratelli della Costa a cosa prelude?

La denuncia sociale può essere veicolata da qualsiasi cosa, fantastico incluso. Si può parlare di pirati, di inquisitori e di magia alludendo al presente, per chi sappia cogliere i riferimenti. Quanto al tramonto dei pirati, la metafora mi pare evidente. Gente interessata solo al denaro, senza scrupoli morali, senza altri obiettivi che la soddisfazione immediata del piacere. Destinata a trionfare sul lungo periodo. A me ricorda qualcosa.

Per finire: lei non è certo uno scrittore che lascia i propri lettori con la fame, eppure, c’è sempre voglia di suoi nuovi romanzi. Cartagena concluderà la serie piratesca, ma i suoi personaggi (e anche i fan) le chiederebbero: e ora?

C’è chi vuole di nuovo Pantera, chi reclama una serie infinita di Eymerich, chi mi chiede un romanzo di fantascienza “pura” oppure un terzo volume sul Messico… Ho 57 anni, riesco a scrivere solo un libro all’anno. Nel limite delle mie forze e della mia età, cercherò di accontentare tutti.