Per usare un’espressione popolare, c’è troppa carne al fuoco ne L’angelo nero, opera del milanese Fabio Musati.

Già autore di tre raccolte di racconti e di un testo teatrale, Musati prova qui a cimentarsi con una dimensione narrativa più lunga, ma il risultato finale è disomogeneo.

Romanzo d’ambientazione contemporanea, con un’attenzione a volte molto puntigliosa dei luoghi in cui si muove il protagonista, riflessione sulla scrittura stessa, con la difficoltà di tradurre in parole delle sensazioni ma anche con la voglia di scrivere qualcosa, un vago sentore di mistero nella ripetuta apparizione-sparizione di un’anziana signora, il tema del doppio, trattato nella trama principale ma anche in due rapidi racconti che vi si inseriscono quasi a forza, opera epistolare nella quale è difficile distinguere chi è reale e chi non lo è, viaggio nella memoria e nel tempo attraverso cimiteri, libri antichi e ricerche araldiche, per arrivare infine alla sorprendente presenza di un Dracula contemporaneo.

Davvero troppo per un libretto di una settantina di pagine.

Si comincia con un omaggio a Il diavolo a Milano, opera minore del raffinato ma poco conosciuto Filippo Tuena. Solo che Musati non è Tuena e, privo della sua a volte magica capacità di evocare sensazioni con le parole, si perde in discorsi che faticano a trovare una loro forza e direzione. Lo dice lui stesso nella seconda pagina, “cercavo qualcosa”, “una direzione appunto, che fosse un’idea forte, un obiettivo”, anche se è consapevole che “anche il più bravo comincia a scrivere la sua storia e lì cambia tutto”.

E così, sulla falsariga di Tuena e del suo alter-ego Pulito Musati, sotto l’identità di Asimut fobia, inizia il suo viaggio personale conoscendo il punto di partenza ma non quello di arrivo.

Il viaggio attraversa situazioni e stili narrativi molto diversi fra loro, “segni neri nello spazio” che fuoriescono dalla mente dell’autore e si susseguono continuamente, senza però riuscire a donare la sensazione che qualcosa sia stato compiuto. Musati riflette, insegue, parla, scrive, indaga, dubita e cerca di comprendere la realtà tramite le parole. In parte anche di ricrearla, perché le sue indagini lo portano a ricostruire una storia che forse sarà anche avvenuta davvero, ma che segue troppe svolte improbabili e troppe coincidenze per non sembrare una costruzione artificiale.

E il doppio che caratterizza i racconti, le mail, il continuo inseguimento alla signora e persino la figura del console rumeno finisce per diventare una presenza troppo insistita per non essere pesante.

Senza capo né coda” recita il titolo di uno dei raccontini, ma forse questo potrebbe essere il titolo dell’intero romanzo. A tratti Musati si dimostra capace di una buona scrittura ma, almeno in questo caso, la direzione forte da lui cercata non è stata trovata.