Un’antica storia, scritta su corteccia di betulla, emerge dagli orrori del gulag di Kolyma assieme a uno dei sopravvissuti; il misterioso e insolito documento viene regalato, gettato via, nascosto e dimenticato per anni, ma - come un “legnoso fantasma” - ritorna sempre davanti agli occhi e alla memoria di colui al quale è destinato.

Forse è il fato a volere che sia decifrato e trasformato in un romanzo epico dove si narra di una scomparsa civiltà pseudo iperborea, fatta di dei, demoni ed eroi, e di un’isola del Mar Glaciale Artico dove i ghiacci eterni si piegano al volere di Luminosi Immortali.

L’espediente del documento misterioso rinvenuto per caso non è nuovo in letteratura, tuttavia l’ambientazione così “russa” lo rende interessante.

In realtà l’incipit ha uno stile che non rivela cosa il lettore si troverà davanti: la narrazione successiva non è mediata dalla modernità dell’anonimo trascrittore, ma parla con un linguaggio che ricorda il verso libero delle Byliny, la poesia in prosa dei canti epici russi.

E la storia comincia…

Varlada e Levlantjas - gemelli dissimili quanto la luce dalla tenebra - appartengono alla stirpe dei Silvani, i custodi eterni della natura. Vivono in una capanna nelle paludi di Keile, isolati dal resto degli uomini, assieme alla madre Glyrweg, guaritrice e sciamana, al padre Reysnir “il Luminoso”, alla sorella Vergeda e al fratellino Vrectne.

Grazie ai poteri innati e al sangue immortale, i due ragazzi iniziano a percepire il magico legame con la terra durante un’infanzia spensierata ma troppo breve: il tradimento del padre, l’invasione da parte di un popolo crudele e l’incomprensione delle tribù circostanti provocano lo smembramento di tutto il clan dei Silvani, spingendoli a partire verso terre lontane.

Questo desiderio di fuga si mischia con quanto rivelato dalle visioni di Reysnir su una nuova terra, che è compito degli Eterni dissodare di campi e popolare di templi. Ma il destino si mostrerà avverso. Reysnir parte sacrificando tutto e tutti al proprio sogno estatico, Varlada e Levlantjas imboccano i rispettivi “cammini contorti”e Vergeda incontra la violenza dei nemici: un’epopea tragica nella quale agiscono molteplici figure di grande statura e capaci di grandi gesta.

Ambientato in un mondo cupo e primordiale, in cui la ferocia degli elementi non risparmia neppure le divinità, Il Trentesimo Regno (primo volume della trilogia Il Cammino Contorto) è un’immersione a tutto tondo nella cultura slava, laddove la taiga ghiacciata del Nord Europa incontra le distese artiche dell’Asia settentrionale.

Umani e Immortali, Divinità luminose e ctonie, Demoni e Spettri si affrontano in battaglie epocali capaci di fondere vasti scenari con il misticismo selvaggio delle mitologie nordiche, in un’atmosfera che ricorda il Tolkien più cupo dei Figli di Hùrin. Chi sarà il prescelto per la vittoria finale? O meglio, ci sarà davvero un vincitore?

Tante le figure dominanti, tuttavia Varlada, lo sciamano nero e semidio ctonio che più volte muore e risorge, è la presenza maggiormente significativa di quest’opera breve ma concentratissima. Attorno a lui Sun Tsuo, erede del sanguinario imperatore dei diecimila anni; Khai Ru, sposa di Varlada e sacerdotessa divina di Kama; Gleyre, divisa tra due padri e due regni; ma soprattutto L’Orda, popolo libero e sterminato che si sposta, inglobandole, tra le etnie di Siberia, Cina e Mongolia.

E’ questo il Trentesimo Regno, guidato solo dal passare delle stagioni e dalla transumanza dei suoi innumerevoli armenti, che combatte al seguito dei due Draghi Gemelli contro le schiere di Venreli, l’isola della Stella Polare, dove Reysnir e Vrectne si sono rifugiati.

 

Nel complesso, Gabriella Mariani ci offre un romanzo né facile né definibile in modo sbrigativo: di certo non è young-adult e forse anche gli "adult" capaci di gustarlo a fondo sono pochi, per la struttura complessa, il linguaggio aulico e i nomi difficili da memorizzare che mettono a dura prova la full immersion nella storia; inoltre, i numerosi salti temporali (e spaziali) non sempre sono d’immediata comprensione.

Pregi e difetti si intrecciano come le vicende narrate, perché ciò che intriga di questo libro è a volte fonte di ostacolo: riferimenti mitologico/culturali  indice di una conoscenza approfondita, ma difficilmente interpretabili (nonostante le numerose note) per chi non è “dentro” la materia; uno stile fluido e pieno di colore a tratti troppo carico; una trama ricca di colpi di scena che è necessario riannodare con cura e molta, molta concentrazione.

Nessuna frase è da prendere alla leggera, piuttosto va decifrata, in quanto contiene un’informazione da ricordare, un concetto da capire, uno spunto da esplorare.

Più che una lettura, si tratta di uno “studio” da fare a piccole dosi, lasciandosi trasportare dallo stile visionario dell’autrice: affascinante, ma anche spiazzante.

Tuttavia, dopo tanto Fantasy facile - in cui spesso la banalità si nasconde dietro la scusa dell’intrattenimento - non si può non apprezzare un’opera che finalmente fa lavorare i neuroni del lettore e che, pur con le sue imperfezioni, costringe a pensare, a riflettere. A imparare.