Le Giungle della Pioggia sono paludi e foreste che si estendono  per miglia e miglia all’interno delle Rive Maledette, fra Borgomago e Calched.

Sono fatte di acqua e fango, piante ciclopiche e  intricate frange di rampicanti: una natura che ha dovuto adattarsi alle condizioni deviate di questa regione, all’acqua di fiumi e torrenti mutevoli dove la poca terra ferma è un bene prezioso quanto instabile.

Chi ci abita è abituato a sopravvivere al vento, ai nubifragi, alle acque del  Fiume della Pioggia corrosive come acido e capaci di  disintegrare  legno, abiti e pelle.  Per questo la citta di Trehaug è costruita in aria, le sue abitazioni si agganciano ai fusti degli alberi-picchetto e si arrampicano verso le cime in cestini ondeggianti,  collegate fra loro da passerelle e corde in modo che nessuno sia costretto a scendere troppo in basso.

Thymara è nata qui ed è sopravvissuta per l’amore di suo padre: i bambini segnati dalle Giungle delle Piogge, con mutazioni evidenti alla nascita, devono essere “esposti”, ovvero lasciati morire per arginare le troppe deviazioni di specie. 

Il suo efficace lavoro di raccoglitrice non basta a compensare gli artigli al posto delle mani, le file di scaglie sul corpo e due occhi azzurri quasi fosforescenti: alla giovane mutante non resta che accettare un incarico “per quelli come lei”, la cui morte  non è un problema ma un sollievo per la comunità.

Infatti, nelle Rain Wilds si sono schiusi i bozzoli dei serpenti che hanno risalito le correnti del fiume fra mille difficoltà, ma  il tempo per la loro mutazione in draghi non è stato sufficiente. Nonostante l’aiuto del drago-regina Tintaglia, i nuovi nati sono storpi, ottusi, violenti e incapaci di volare. E soprattutto la loro presenza minaccia gli affari dei Mercanti delle Giungle della Pioggia, che desiderano continuare il recupero dei reperti degli Antichi presenti nella città di Casserik.

L’unica soluzione è condurli verso il luogo delle loro memorie ancestrali, scortati da custodi capaci di assisterli,  sfamarli e anche corteggiarli durante il viaggio, perché le magiche creature nonostante la loro deformità non hanno dimenticato chi sono.

 E’ questo che ci si aspetta dai giovanissimi dragon keeper come Thymara, Sylve, Tats, Jerd.  E’ questo che l’azzurra Sintara, una dei quindici draghi sopravvissuti,  desidera e pretende da coloro che la accompagnano.

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Il Custode del Drago è il primo romanzo della nuova duologia di Robin Hobb intitolata Cronache delle Giungle della Pioggia, e riprende la narrazione del ciclo Liveship Traders  focalizzandosi su un particolare sviluppo narrativo capace di  coniugare il fantasy classico (i draghi) con una visione moderna e particolare: la ricerca di integrità perduta e di riscatto da parte di esseri deviati, siano essi pseudo umani che si avviano a somigliare a rettili, o rettili dipendenti dagli  umani.

Non si tratta di una storia autoconclusiva, il libro termina in un momento di tensioni e scelte, ma una storia di questo calibro non può esaurirsi in un solo volume e di questo il lettore è consapevole.

A differenza della Trilogia dei Lungavista e della Trilogia dell’Uomo Ambrato, siamo di fronte a un romanzo corale scritto in terza persona che fa dimenticare le carenze stilistico/narrative presenti in Lo Spirito della Foresta (Trilogia del Figlio Soldato) da poco edito in Italia.

Altre figure  protagoniste intrecciano le loro vicende  a quella di Thymara: Alise, studiosa di draghi con il desiderio di affrancarsi da un matrimonio triste, Sedric che nasconde una relazione tanto ambigua quanto letale per le decisioni  presenti e future, il capitano Leftrin e la sua chiatta Tarman fatta con legno magico proibito, la nave senziente Paragorn, Maltha Vestrit ormai divenuta un’Antica; ma soprattutto il sogno dei draghi, ciò che veramente li attende nella loro disperata quest verso la città di  Kelsingra. 

In genere i draghi di un mondo fantasy sono  forti, potenti, “superiori”.

In questo romanzo non è così. L’interrogativo che l’autrice sviluppa li pone in un’ottica  molto diversa dai canoni classici, dove si associano maestosità e mediocrità, fascino e  repulsione,  nobiltà di stirpe e istinti crudeli.

I draghi di Robin hobb sono splendidi e deformi:  blu,  verdi, rosso rubino, neri scintillanti, con ali rachtiche e menti incomplete.

La loro ricomparsa dopo innumerevoli anni esercita attrazione e desiderio di conoscenza, ma anche fastidio, odio malcelato e brama di ricchezze.

La loro grandezza è tutta nei ricordi assimilati alla nascita e ereditati mangiando i propri simili, legata però alla superba  convinzione di assoluta superiorità rispetto agli umani.

I poteri che possiedono, virtù fatate,  intelligenza, sangue "nobile", non risparmiano a  questa antica stirpe il ritrovarsi menomata, costretta a vivere nel fango fra piaghe e parassiti, in preda a una fame costante e  in balia di esseri che disprezza.

Cosa unisce i personaggi di questo insolito romanzo della Hobb, dove scaglie e artigli sembrano indice di evoluzione come di involuzione?

La risposta è: il controllo, nonché il desiderio e la capacità o l'incapacità di sottrarsi ad esso, in qualsiasi modo.

Thymara, Alise, Sedric, i draghi e il capitano della nave hanno qualcuno che vuole decidere della loro vita o della loro morte, contro cui cercano di combattere con armi diverse, diversa moralità, diverso  istinto. 

Il seguito conclusivo di Dragon Keeper, intitolato Dragon Haven, è già stato pubblicato in originale nel 2010 e si spera che giunga presto anche nelle nostre librerie. Magari con una mappa più completa e un titolo più preciso, visto che "il" custode del drago è in realtà una ragazza.