Se dopo le 1400 pagine dei volumi precedenti speravate che la Saga del figlio soldato trovasse un finale degno di questo nome, con queste ultime 731 “lasciate ogni speranza” e rassegnatevi, Robin Hobb stavolta non ce l’ha fatta, o almeno non come ci si poteva aspettare dopo la lettura dello Spirito della Foresta. Con I Rinnegati della foresta la Saga del figlio soldato arriva sì all’epilogo, ma solo dopo una lunga e tortuosa agonia.

Il romanzo conclude una storia complessa e complessamente strutturata ma pesante, contorta e lenta, la cui lettura è difficile da portare avanti. In quello che è un romanzo di formazione si intrecciano numerose tematiche e ambiti legati a fede, difesa della natura, difetti umani, esoterismo, avventura, misticismo, amore, razzismo ed etica. Tuttavia, lanciarsi nella creazione di un mondo apparentemente così schematico e semplice in cui ambientare una nuova saga è stata fatica secondo chi scrive male impiegata: la dicotomia tra il mondo di Gernia e quello degli Speck è così schematica da risultare a volte quasi banale e rivista per quanto poco è convincente, lenta, ripetitiva e banale questa storia. 

Il personaggio peggiore, forse, è proprio lo stesso Nevare. Estremamente distante da Fitz, figura di tutt’altro calibro, il soldato rinnegato Nevare Burvelle è un giovinetto al pari di molti adolescenti di questo tempo: smidollato, istintivo, facilmente influenzabile, non ne fa mai una giusta, ragiona con gli ormoni piuttosto che col cervello, incurante degli insegnamenti che la propria famiglia gli ha tanto accaloratamente trasmesso per tre quarti della saga, con tutti i limiti di ogni famiglia, lungi da questo recensore considerare i Burvelle un nucleo di personaggi lineari e di indiscutibile spessore.  

È anche vero che un uomo diventa tale quando sperimenta sulla propria pelle il fallimento e riesce a rialzarsi e a lottare per ciò in cui crede o per un barlume di motivo che sopraggiunge all'improvviso come il migliore dei deus ex machina tragici, ma a Nevare servono circa 3 libri da 700 pagine ciascuno per realizzare qualcosa di accettabile, e viene da chiedersi perché una scrittrice del calibro di Robin Hobb abbia avuto bisogno di allungare il brodo per la bellezza di 2100 pagine.

Il percorso del ragazzo, di acquisizione di una maggiore consapevolezza e di responsabilità nei confronti degli altri più che di se stesso sembra quasi che avvenga in modo casuale, non perché la storia non abbia un filo conduttore, ma perché la consapevolezza di Nevare sopraggiunge con perenne ritardo, quasi sempre un attimo dopo l'avvenimento.

La caratterizzazione dei personaggi è ben riuscita. Come al solito con poche battute la Hobb riesce a dare un'idea complessiva di ogni figura per poi ampliarla e dargli vita, respiro, carattere ed eventuale risoluzione lungo tutta la storia.

Personaggi “buoni” come “cattivi”, che forse sono sempre i migliori, i più appassionanti, i più convincenti. Le figure femminili sono più interessanti rispetto alle loro controparti maschili, dotate di una vera attrattiva, nonostante Epiny, una delle poche eroine di questa saga, abbia perso gran parte del carisma dei libri precedenti ma, ancor più di loro, i personaggi maggiormente soddisfacenti sono quasi tutti quelli “fantastici”: Orandula, il dio degli equilibri, col suo apparire al momento giusto, sempre crudelmente pungente e pieno di sarcasmo, e in assoluto coerente fino alla fine. E tra i Grandi, Lisana e Dasie: una per la completezza del personaggio e per la delicatezza del pensiero, l'altra per il coraggio e la determinazione, la forza con cui si impone. Sicuramente entrambe per lottare a costo di mettere tutto in gioco.

Robin Hobb si conferma una maestra della narrazione, una fucina di idee e valida creatrice di mondi; il problema è che stavolta la storia, conclusione di una trilogia talmente lunga da sembrare quasi interminabile, resta ingolfata in troppe parole che fanno perdere il filo al lettore, e seppure sembra che portino al punto, ciò avviene dopo aver indugiato per troppe pagine. C'è però da dire anche che il libro dimostra la chiarezza delle idee dell'autrice, perché alla fine riesce a chiudere quasi tutti i cerchi, le parentesi, e a far salutare al lettore tutti i personaggi un'ultima volta prima della (insipida) conclusione.

Ma forse, come ricorda sempre Nevare, e Bluel Hitch prima di lui in un’affermazione che sembra un po' la panacea a tutte le domande rimaste senza risposte o soluzioni convincenti, è la magia ad aver voluto così.

Ciò che rende ancor più fastidioso e difficile questo lungo percorso di crescita di Nevare, è la casa editrice Fanucci. Oltre al costo decisamente poco invogliante, 75 € per l’intera trilogia, e al formato molto pesante, il libro è mal tradotto e presenta una serie infinita di refusi, errori di traduzione e ortografia.  La difficoltà maggiore sembra essere stata anche la più importante, quella di rendere l’io gerniano e l’io Speck di Nevare: c’è una confusione di fondo che influisce negativamente sulla lettura, rendendola assolutamente impegnativa, al punto di dover tornare indietro più volte per il dubbio di aver mal compreso chi o di chi si stia veramente parlando.

Un libro faticoso sotto tutti gli aspetti quindi, che ha richiesto una lunga e faticosa riflessione su come recensirlo. Ed è un vero peccato, perché in altre occasioni Robin Hobb ha indubbiamente dato prova di ben diverse capacità di scrittura e di creazione di mondi.