Sotto un sole rosso, forse giunto verso la fine del suo ciclo vitale, le isole dell'Arcipelago Boreale stanno per affrontare l'arrivo di una glaciazione, il Gelo, che nelle più ottimistiche previsioni degli studiosi durerà qualche decina d'anni. Ma, nonostante disponga di un'antica tecnologia ereditata da civiltà millenarie, l'Impero Jamur, che estende il suo dominio sulla maggior parte delle isole, non possiede le risorse necessarie a contrastare l'imminente cambiamento climatico, e assiste impotente all'arrivo di migliaia di profughi che si accalcano intorno alle mura della sua capitale Villjamur, cercando un rifugio che viene loro negato.

Ciò che il Gelo porterà sarà una serie di eventi, tra loro concatenati, che avrà il potenziale di stravolgere totalmente gli assetti politici dell'Impero, e che causerà profonde ripercussioni sulle vite di tutti gli abitanti di Villjamur. Una città complessa, quest'ultima, abitata da classi sociali e razze differenti, umane e non, i cui livelli, ponti e innumerevoli pinnacoli costituiscono un segno evidente dell'antichità delle sue stesse strutture, edificate e abitate da civiltà ormai scomparse di cui non si ha una chiara conoscenza.

Mark Charan Newton, classe 1981, padre inglese e madre indiana (come il suo secondo nome suggerisce) è qui alla sua seconda opera di narrativa fantastica, dopo aver conseguito una laurea in Scienze Ambientali e aver lavorato nel campo dell'editoria in lingua inglese dello stesso settore con la Black Flame. L'esordo vero e proprio del giovane autore anglo-indiano risale al 2008 con The Reef, per i tipi della britannica Pendragon Press, mentre Le Notti di Villjamur (Nights of Villjamur), originariamente pubblicato nel 2009 da Pan Macmillan (Tor UK), segna l'inizio della tetralogia Le Leggende del Sole Rosso (Legends of the Red Sun) continuata con City of Ruin (2010) e The Book of Transformations (2011) e conclusa con The Broken Isles (2012).

Collocandosi nel solco del New Weird, il genere fantastico che accoglie e fa proprie contaminazioni dal fantasy, dalla fantascienza e dall'horror, Newton esprime una creatività vicina a quella di autori come Mervyn Peake, China Miéville e Alan Campbell ma risulta evidente dalla lettura di questo romanzo come i suoi modelli letterari siano anche Gene Wolfe e Jack Vance, per le atmosfere crepuscolari e le frequenti note malinconiche dei suoi personaggi oltre che per le esotiche creazioni che popolano fauna e flora delle isole dell'Arcipelago Boreale e per alcune scelte del registro lessicale.

Il mondo creato da Newton possiede un fascino notevole. Gran parte della trama si svolge a Villjamur mentre alcune vicende, sempre connesse alla principale linea narrativa, ampliano l'ambientazione urbana per sfiorare il resto delle isole, le culture, le piante e le creature che le popolano, i resti delle civiltà che hanno preceduto l'Impero Jamur.

Nel momento della crisi dovuta al Gelo incombente e all'arrivo dei rifugiati da ogni parte delle isole, le tensioni politiche e sociali all'interno della capitale imperiale si fanno più forti. Trame di estesi complotti politici si dipanano nell'ombra e misteriose uccisioni si verificano nelle strade di Villjamur colpendo i rappresentanti del Consiglio imperiale, detentore di un potere assai più efficace di quello in mano al paranoico imperatore Jamur Johynn. A indagare sugli efferati e apparentemente inspiegabili delitti è l'inquisitore Rumex Jeryd, un rumelide, un umanoide dalla pelle scura e più coriacea di un essere umano, dotato di una coda e in grado di vivere per centinaia di anni. Ma i rumelidi non sono l'unica razza che, almeno formalmente, convive in pace con la maggioranza umana nella sontuosa Villjamur. Le misteriose banshee annunciano con il loro grido ogni morte che avviene tra le mura della città, lacerando i suoni della vita quotidiana; i garuda, ibridi tra umani e uccelli e in grado di volare, servono nella guardia cittadina e nell'esercito imperiale oppure vivono ai margini della società. Proprio dall'esercito, uno dei principali strumenti dell'Impero Jamur nell'estendere e nel conservare il proprio dominio sull'Arcipelago Boreale, proviene un altro dei personaggi principali del romanzo, il comandante della Guarnigione della Notte, Brynd Lathraea: albino e sottoposto a potenziamenti come tutti i combattenti dell'unità che comanda, Brynd viene inviato a indagare su un pericolo che, con il Gelo, sembra provenire dalle province più settentrionali dell'Impero.

Le nette divisioni socio-economiche tra gli abitanti della capitale si riflettono nei diversi livelli della stessa: reietti, fuorilegge e criminali popolano le Spelonche, grandi caverne sotterranee dove la legge sembra non avere molta efficacia mentre, in netto contrasto con i bassifondi di Villjamur, si erge il palazzo imperiale di Balmacara, che domina la città e che ospita la famiglia regnante. Il retaggio di civiltà più antiche e più avanzate rimane evidente nella tecnologia delle reliquie daunire, congegni complessi e in grado di piegare le leggi della natura, il cui utilizzo è appannaggio degli iniziati, appartenenti a diversi Ordini, spesso tra loro opposti nelle finalità perseguite e nel codice etico adottato. Gli Ordini, come quello della Dauniria e quello dell'Equinozio, hanno insieme all'esercito un ruolo fondamentale nel mantenimento della potenza imperiale.

In questo affresco così complesso e straordinariamente ricco di suggestioni, ciò che risulta evidente è l'enorme ricchezza dell'immaginazione di Newton, in questo romanzo non del tutto dispiegata e a mio avviso carente, in alcuni passaggi, di più ampie descrizioni di ciò che l'autore ha creato e portato sulla pagina scritta. Certo, come suggerisce il titolo, è Villjamur il centro di tutto, ed è Villjamur a essere tratteggiata con maggiore cura e dovizia di particolari da Newton. Eppure, nonostante la centralità dell'ambientazione urbana nel dispiegarsi delle vicende, il coinvolgimento del lettore nelle atmosfere di Villjamur risulta potenzialmente superiore a quanto espresso. Lo stile di Newton è lontano dall'incedere travolgente e variegato, a livello lessicale, di Miéville, e presenta invece un registro piano, elegante, non disdegnando l'uso di termini (come quelli relativi a piante, alberi e congegni dauniri) di cui l'autore non fornisce alcuna spiegazione, in parte riecheggiando, in tal modo, le peculiarità lessicali del ciclo del Libro del Nuovo Sole di Wolfe.

Bisogna tenere presente che questa è l'opera prima di un Newton maturo, considerando che l'esordio letterario è stato da lui scritto poco dopo i vent'anni d'età, e che i volumi successivi a Le Notti di Villjamur avranno dato modo all'autore di maturare ulteriormente e di affinare gli strumenti con i quali dare sostanza alla sua fervida immaginazione. E le premesse, qui, ci sono tutte.

Nel narrare le vicende del suo romanzo, Newton tocca temi profondi e attuali, e lo fa con discrezione e delicatezza, quasi a voler instillare nella mente del lettore alcune riflessioni sul mondo che ha creato e, di rimando, su quello reale (il rapporto tra la politica e l'etica, tra quest'ultima e la conoscenza, la discriminazione) senza tuttavia voler prendere una posizione esplicita e netta in merito.

Ciò che accomuna, a mio parere, quasi tutti i personaggi di Le Notti di Villjamur è la solitudine, il senso di isolamento, pur vivendo gran parte di loro nella capitale dell'Impero, e la sensazione che con l'arrivo del Gelo questa condizione si aggravi. Nel corso delle sue indagini, l'Inquisitore Jeryd è ossessivamente portato a rimpiangere i giorni, perduti, della sua relazione con Marysa e, seguendo le tracce del responsabile dei delitti su cui egli investiga, incrocerà il suo destino con quello di una prostituta, Tuya Daluud, che nel romanzo è forse l'essenza di questa malinconia, che arriva addirittura a pervadere i vicoli, le strade e i bistrò di Villjamur. E' solo, dentro di sè, anche il Comandante Lathraea, conscio che il suo aspetto esteriore provochi sgomento e sospetto da parte degli altri, e in possesso di un segreto che, se rivelato, potrebbe addirittura escluderlo dalla sua carica e dal vivere civile. Ma c'è forse speranza di superare l'indifferenza reciproca nell'incontro tra il fascinoso e aitante maestro di spada e di ballo Randur Estevu ed Eir, la figlia più giovane dell'imperatore. I passaggi del romanzo che vedono i due come protagonisti sono un chiaro esempio dell'abilità di Newton nel delineare le psicologie dei suoi personaggi, anche quelli femminili. E nonostante alcune ingenuità nei dialoghi, nei quali l'autore a volte commette l'errore di rivelare elementi di cui i personaggi dovrebbero già essere a conoscenza, è nei momenti di maggiore contatto umano che Newton sfiora il lirismo.

Originalità, complessità e fascino dell'ambientazione, trama intrigante, personaggi ben delineati e uno stile di scrittura elegante rendono Le Notti di Villjamur un romanzo da leggere. L'edizione è assolutamente eccellente, a partire dalla scelta di tradurre fedelmente il titolo originale e di mantenere la grafica della copertina in sintonia con le atmosfere della trama. I refusi si contano sulle dita di una mano e la traduzione di Stefania Minacapelli è assolutamente fedele al testo in lingua inglese, con pochissime scelte che risultano non propriamente azzeccate. Un plauso a Gargoyle Books, che con coraggio, serietà e stile sta proponendo al pubblico italiano autori che hanno saputo distinguersi nel panorama internazionale e che, passo dopo passo, si sta imponendo come realtà sempre più solida nell'editoria del fantastico nel nostro Paese: Mark Charan Newton è, in ordine di tempo l'ultimo, e a mio avviso importante, tassello in questa linea di proposte.