“… La Selezione avrebbe messo alla prova non solo la forma fisica, la motivazione e il coraggio di un candidato, ma soprattutto la sua Fede.”

L’Ordine delle Sentinelle, braccio armato della Chiesa, è l’ultima speranza per il genere umano di essere difeso da se stesso. In un futuro prossimo dove ogni parametro è mutato, vivere è diventato sopravvivere, morire è molto più facile.

Nel mondo che Claudio Vergnani ci propone con il suo nuovo romanzo, il sistema che conosciamo è collassato in una fangosa distopia tra il disumano e l’assurdo, in cui l’autorità sopravvissuta è la Chiesa di Roma.

In questo contesto, il protagonista  decide che l’unico modo per ritrovare la voglia e la possibilità di andare avanti è tentare un cambiamento: partecipare alla Selezione e diventare una Sentinella, qualsiasi cosa questo significhi.

La Sentinella più che un thriller è una distopia. Narrare una distopia è facile e difficile allo stesso tempo: facile – molto più di una eu-topia - perché  ogni epoca ha le sue paure e il “Male” è una condizione sperimentata dall'umanità, al contrario di un contesto ideale come il “Bene”; inoltre, l’attrazione un po’ morbosa che si prova verso un disastro include la paura ma può servire a esorcizzarla.

Difficile, perché creare e tratteggiare una società disfunzionale, al passo con ciò che l’umanità teme, ma anche capace di rappresentare efficacemente le angosce collettive, non è semplice né nuovo. Il romanzo di Claudio Vergnani, in parte, ci riesce.

La Sentinella racconta una storia in due sezioni distinte: la prima riguarda le lunghe (forse troppo) fasi della Selezione, molto più simili a sessioni di tortura che a prove di valutazione; la seconda, più convulsa e veloce, è fatta di fughe, salvataggi, piccoli e grandi eroismi fra gli scenari degradati nei quali Vergnani ama muoversi.

Il tutto intriso di quell'umorismo nero tipico dell'autore.

I temi affrontati sono quelli dei massimi sistemi: cosa sono il Bene e il Male? Cosa vuol dire avere Fede? E, soprattutto, cosa è lecito e utile fare in nome di ciò che riteniamo essere il Bene? Le risposte filtrano lentamente attraverso il cammino materiale e psicologico del protagonista – narratore,  mai indicato per nome. Chiamiamolo S, come "sentinella". 

S. è un uomo normale in una realtà divenuta anomala, in cui, come direbbe Stephen King “Il mondo è andato avanti” e  - aggiungerebbe Vergnani - “Poi si è fermato”. Un adulto che, a un certo punto della propria vita, realizza la scomparsa di quel che pensava poter diventare e capisce che il cambiamento, l’uscire dalla stasi, è la sua unica possibilità. Questo lo rende una specie di outsider - figura cardine della narrativa distopica - che entra in contraddizione con la propria società portandone alla luce l'aspetto aberrante: non capisce perché si debba pregare e leggere la Bibbia per trovare ogni risposta, perché la Fede possa preservare dal pericolo, o perché la Selezione preveda la morte (molto) violenta dei candidati che sgarrano, magari accompagnata da qualche passo del Vangelo. Ma tutto questo è secondario, l’importante è sopravvivere. Tuttavia S. possiede un suo particolare senso etico volto a tutelare l’individuo e non il potere vuoto che rappresenta, anche quando capisce cosa siano veramente Madre Chiesa e il suo Papa. 

Attorno a S. ruota un mondo prossimo futuro tratteggiato nei suoi macabri e allucinanti dettagli, molto simile ad altri romanzi dell’autore, con la differenza che in La Sentinella non è necessario chiamare in campo  vampiri o zombie: sono sufficienti gli esseri umani.

Il cannibalismo dilagante e lo tsunami di morte che spazza il mondo di S. costringe l’umanità a una sopravvivenza “necropolitana”, ovvero i luoghi più sicuri sono i cimiteri, sempre più grandi, il più possibile protetti, dove i vivi si contendono lo spazio con i morti.

All'origine del crollo finale non abbiamo pandemie, carestie, catastrofi  nucleari o aberrazioni climatiche, semmai queste sono le conseguenze. Ciò che è successo è l’avverarsi di un’utopia: l’umanità è riuscita a realizzare il mondo perfetto, egualitario, pacificato, totalmente affrancato, ma questo semplicemente non è nella sua natura. Raggiunto l’obbiettivo c’è lo stallo, il nulla più a cui aspirare e quindi il desiderio di morte. 

Questo riporta ad Aldous Huxley ne Il mondo nuovo“Le utopie appaiono oggi assai più realizzabili di quanto non si credesse un tempo. E noi ci troviamo attualmente di fronte a una questione ben più angosciosa: come evitare la loro realizzazione definitiva?”

Il problema del libro è forse il “come”, secondo l'autore, si sia arrivati a questa situazione: la scenografia è più che azzeccata e l’idea intrigante, ma le tappe che sviluppano le basi dell’ambientazione un po’ fragili. Vergnani va oltre l’affermazione di Huxley e racconta l’altra faccia dell'utopia: la morte planetaria di economia, tecnologia, ordine sociale, e la rinascita di una spiritualità globale tanto sopravvalutata quanto impotente. Il risultato finale è la fame, con ogni sua possibile conseguenza. 

Tutto questo risulta narrativamente un punto debole, sia perché molte di queste informazioni vengono date al lettore attraverso inserti in corsivo che sembrano i pensieri del protagonista ma vengono percepiti come “spiegoni”, sia perché il fatto di eleggere, con una specie di spontaneo suffragio universale, la Chiesa di Roma come ultima (falsa) speranza dell’umanità non ha una motivazione sufficientemente solida.

Probabilmente sarebbe stato sufficiente spiegare molto meno e lasciare che la realtà nuda e cruda dei fatti parlasse da sola.

Il romanzo, nel complesso, tiene alta la tensione e inghiotte il lettore nella propria atmosfera da incubo metropolitano, con quella spontaneità caratteristica di tutte le opere dell’autore. Protagonista e personaggi sono verosimili, perché forse la distopia è già qui.