Dimenticatevi subito le solite presentazioni. Quella di sabato è stata infatti, più che una presentazione, una mini-conferenza sul Fantastico della durata di quasi un'ora.

Silvana De Mari, infatti, oltre che medico e scrittrice, è un'appassionata studiosa della materia e questa passione, dal vivo, traspare tutta, lasciando indovinare, anche a chi la avvicina per la prima volta, la sua personalità straordinaria, la sua profonda cultura e la sua vivacità intellettiva.

Oratrice decisa e spiritosa, la scrittrice ha viaggiato speditamente attraverso una disamina delle fiabe e dei fantasy più cari al grande pubblico, macinando una mole di spunti che mi ha fatto rimpiangere di essermi premunita solo di un taccuino, anziché del registratore.

La De Mari ha precisato anzitutto come il nostro genere preferito sia il ricettacolo di tutto ciò che è “irraccontabile” e, dunque, l'orrore della fame, dell'incesto, della morte. Ciò di cui è troppo doloroso parlare viene sublimato infatti nel racconto fantastico ed ecco, allora, fiabe in cui il soggetto più debole per antonomasia, il bambino, subisce ogni sorta di soprusi: viene abbandonato (Hansel e Gretel), maltrattato (Cenerentola), minacciato di morte (Biancaneve), concupito ( Pelled'Asino), venduto (Raperonzolo). Tali aspetti sono lo specchio dei tempi in cui le fiabe popolari sono nate, tempi in cui si moriva per le epidemie e le carestie, in cui i deboli non erano tutelati e la lotta per la sopravvivenza era estrema.

Sono anche il riflesso delle società in seno a cui tali racconti sono stati generati: la De Mari ha portato a esempio la storia di Cenerentola, il cui nucleo originario risale alla Cina dell'anno 1000, un contesto in cui le bambine erano sottoposte all'atrocità della fasciatura dei piedi. La minuscola scarpina diventa allora l'emblema dell'impossibilità di muoversi e il vetro di cui è fatta ricorda il dolore di questa barbara pratica, perché il vetro è fragile e se si rompe taglia, provoca ferite e perciò dolore. Ma, alla fine, il 'premio' promesso alle tapine, dopo tali sofferenze,  è il matrimonio altolocato con l'uomo dei sogni, il Principe Azzurro.

Il protagonista delle fiabe è spesso un orfano e cioè spesso un bambino non voluto o non amato, alla mercé di adulti crudeli perché insicuri. Un esempio è la matrigna di Biancaneve, dalla personalità così incerta che ha bisogno della rassicurazione derivante dall'esteriorità (la bellezza fisica) e dalla validazione altrui (lo Specchio delle Brame). Questo meccanismo, quando avviene nella realtà, produrrà a sua volta bambini altrettanto insicuri del proprio valore di essere umani, che diventeranno i tiranni di domani.

Il tono delle fiabe muta con l'Illuminismo, l'età in cui iniziano ad aumentare l'alfabetizzazione, il benessere materiale della popolazione e i progressi della medicina. Condizioni che permettono una vita più agevole di quanto non lo fosse stata in precedenza e che continuano a svilupparsi lungo il corso del secolo successivo. Parallelamente, la religione perde importanza e la società acquisisce una veste più laica. La morte del bambino, pensiero insopportabile, a livello razionale, per una siffatta società che è stata privata del conforto dell'idea ultraterrena, viene relegata allora nella produzione fantastica. Si arriva così alle fiabe moderne di Pinocchio e Peter Pan.

Nel primo, tracce della rimozione si ravvisano in dettagli che hanno il sapore biblico: un padre putativo che si chiama Giuseppe e che fa il falegname; un burattino inghiottito da un pesce gigante come Giona nel ventre della balena; infine un protagonista di legno che, dopo il riscatto, ‘risorge’ come bambino di  carne.

Nel secondo, vi è il mondo dei morti: i bambini perduti dai genitori (si noti l’ambivalenza del verbo) si riuniscono attorno all’eterno fanciullo Peter, in un’Isola dove il tempo, inghiottito da un coccodrillo, non ha più un futuro.

La De Mari nota anche che l’opera di Barrie è il prodotto di una società in cui hanno iniziato a svilupparsi gli ospedali, quindi la malattia del bimbo non è più curata a casa e i piccoli soffrono, oltre che della propria infermità, dell’assenza dei genitori.

Temi analoghi riecheggieranno in seguito nel contemporaneo Harry Potter.

Il Ventesimo secolo è l’epoca che conosce il genocidio, parola coniata ai tempi del processo di Norimberga e che prima non esisteva, perché non esisteva il concetto sotteso. Nel corso della storia ci sono stati infatti etnicidi, ma il genocidio nasce con il sistematico sterminio nazista. Parimenti, nascono l’eugenetica e la fisiognomica e si arretra concettualmente ai tempi dell’antica Grecia, dove i malformati venivano gettati dalla rupe Tarpea e il concetto di ‘bello’ estetico era equivalente di ‘buono’ interiore.

E’ in questo momento che sorge il fantasy, erede delle vecchie fiabe che si confronta coi terribili totalitarismi storici in atto e che portano alla ‘fine del mondo’, rappresentata dal secondo conflitto mondiale. Il grande occhio soverchiante si ritrova allora sia nel 1984 orwelliano che nel Signore degli Anelli. Tolkien cerca di infondere il coraggio di vivere in un’epoca così terribile, un’epoca che ha punti di contatto con quella attuale, dove il terrorismo religioso è il nuovo nemico della civiltà che minaccia di riprecipitarci nella barbarie.

Oggi la letteratura fantasy è l’unica che ci parla ancora di eroi, di ideali cavallereschi, di contrapposizione buio-luce e bene-male, e che ci fornisce quindi, a livello di immaginario collettivo, gli strumenti di cui avvertiamo così tanto il bisogno anche nel mondo reale. Questa è, secondo la De Mari, la chiave del nuovo boom che il fantasy sta registrando.

Ma come si inserisce, in questo tessuto, L’Ultima profezia del Mondo  degli Uomini e, in generale, l’intera quadrilogia di cui quest’opera rappresenta solo l’ultimo tassello?

Nell’Ultimo Elfo viene affrontato il tema del genocidio, nell’Ultimo Orco quello della stupro etnico ispirato ai fatti accaduti in Bosnia e Ruanda, negli Ultimi Incantesimi l’importanza del ruolo della madri: nessuna pace mondiale sarà anche sono ipotizzabile fino a quando le donne potranno essere comprate, vendute, lapidate, torturate, sepolte sotto metri di tessuto.

Nell’Ultima Profezia del Mondo degli Uomini si conclude la storia di Rankstrail e Rosa Alba: il Capitano Rankstrail è uno dei tanti figli nati dalle violenze sulle frontiere che diviene l’eroe della lotta agli Orchi.

Come afferma la stessa autrice, “lui è il loro nemico mortale, colui che li ha fermati, conservando sempre nel cuore la vergogna e l’odio di essere un loro figlio”. Ma le incognite della vita lo condurranno a compiere un cammino proprio nel suo mondo d’origine, in cui “Rankstrail potrà ritrovare i figli perduti, perché a sua volta sarà guidato da luci di tenerezza che non aveva sospettato avere nella sua vita”.

Come accade a molti scrittori, la De Mari si è poi soffermata a precisare che i personaggi che l’hanno accompagnata così a lungo sono ormai così tangibili nella sua mente da essere percepiti quasi come reali, come presenze che l’accompagnano, per esempio, durante le solitarie passeggiate in compagnia del suo cane. Pertanto le è costato molto, in termini affettivo- psicologici, dare loro l’addio.

La scrittrice è ora al lavoro su un nuovo romanzo intitolato La Ballata dei Bambini senza Nome e con quest’informazione si è chiuso questa interessantissimo evento librario.

L’intero excursus è, come si vede, ricchissimo di suggestioni, e avrebbe meritato ben altri numeri di pubblico, rispetto alla mera dozzina di persone registrata sabato pomeriggio. Mi domando dove fosse la nutritissima schiera di detrattori del Fantastico italiano, sempre pronta a sputare schifata sui prodotti nostrani e poi sempre grande assente in presenza di un prodotto che potrebbe soddisfare il suo esigente palato. Probabilmente la De Mari paga anche lo scotto di non essere capita da molti pseudointellettuali e benpensanti che, aggrappandosi alla scusa dei toni forti esternati sul suo blog, si fermano all’apparenza, respingendone a prescindere i contenuti e ostracizzando l'autrice con la paradossale etichetta di bigotta e intollerante (quando non addirittura razzista). Non rendendosi conto, in questo modo, di allinearsi a favore di chi, nel mondo odierno, reprime le minoranze e i deboli proprio come accadeva da noi nei tempi più antichi e nel Medioevo. Perché giustificare, attraverso il relativismo culturale, regimi e pratiche totalitari, laici o religiosi che siano, significa schierarsi automaticamente con Sauron e ciò che esso rappresenta. Con buona pace di quei ‘lumi della ragione’ che hanno permesso alla nostra civiltà di uscire dalla barbarie.