Le parole giuste le ha trovate Ron Howard in un tweet malinconico e definitivo: “No more Tony Scott movie. Tragic Day”.

Niente più regie iper-cinetiche, colori impossibili, immaginari bizzarri. “Its a mess”, qualcuno ha scritto, che tradotto letteralmente suona come “è un vero casino”. Perché Tony Scott non è stato solo un regista ma un architetto della modernità, un visionario che aveva avuto il coraggio di affidare la sceneggiatura di un film a un misconosciuto noleggiatore di VHS, drogato di cinema, che si chiamava Quentin Tarantino.

È una perdita che sembra molto simile a quella avvenuta il giorno che Michael Crichton ci ha lasciato. Il pensiero di non poter più leggere le sue storie che, a volte, prendevano spunto da idee davvero impossibili ma che con le sue parole diventavano dannatamente reali. Inventori di immaginari, fautori del futuro. Comunque li si possa chiamare, e per quanto li si possa amare o odiare, e innegabile il loro contributo al nostro secolo, quello nuovo.

Non interessano i motivi che hanno portato a questa tragica scelta, buttarsi da un ponte, come uno dei suoi disperati personaggi che ha magistralmente raccontato, perché non è cosa da demiurgo. Non interessano i progetti futuri, perché tanto non avranno più la sua visione. Quello che conta è una mancanza pesante e la consapevolezza che non è ancora arrivato qualcuno che possa riempire questo vuoto. Come alla fine della nostra serie preferita, quando abbiamo coscienza che non ci saranno ulteriori stagioni e l’unico modo per riempire il vuoto è riguardare gli episodi da capo.

È singolare che molti in rete siano arrabbiati con lui, tacciandolo di egocentrismo, di non aver pensato a tutti quelli che aspettavano il suo prossimo lavoro, come se Tony fosse stato trasfigurando in un bene comune dimenticando la persona. Una statua d’oro come Il principe Felice di Oscar Wilde, che si spoglia della sua pelle dorata per dare sollievo ai più bisognosi tramite l’aiuto di un rondine tardiva che alla fine muore insieme a lui.

Forse i grandi, alla fine, devono sentire la sensazione del volo senza doverla creare, devono sapere che la loro vita è ancora nelle loro mani. Devono sentirsi fragili, umani ma non per questo fallibili o spendibili come i loro prodotti.

Ai grandi non interessa quello che pensiamo oggi, quanto soffriamo adesso. Ai grandi va riconosciuta la libertà delle loro scelte, in barba alla loro storia e contro i nostro atavico bisogno di distruggere ciò che amiamo.

A un maestro si può dire addio, solo quando si è imparata la lezione. Forse è per questo che la sua scomparsa ci ha colti impreparati: perché ci sentiamo ancora così ignoranti, senza il coraggio di procedere oltre.

Alla fine del Requiem lunica cosa che volevo era una cinepresa per girarci su un corto. Ma la fame era ritornata.” Miriam si sveglia a mezzanotte.