È un fenomeno da molti anni tristemente di moda quello di attribuire ai videogiochi molti mali del mondo, in particolare se si parla di bambini e di adolescenti. Per questo la Casa della Psicologia di Milano ha organizzato un incontro con alcuni addetti ai lavori del mondo della psicologia, per indagare su quanta verità ci sia nelle leggende metropolitane che vogliono i bambini vittima della violenza dei videogiochi, e quanto invece sia frutto di una strumentalizzazione. A fare gli onori di casa e a introdurre il discorso è stato Luca Mazzucchelli vicepresidente dell'ordine degli psicologi della Lombardia, che ha messo da subito le mani avanti, rassicurando i presenti sulla convinzione ormai diffusa tra i più, che la dannosità di un determinato mezzo, dipenda da chi ne fruisce e non dal mezzo stesso.

Lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini ha spiegato come la formazione fisica e mentale dei bambini e poi degli adolescenti negli ultimi anni sia cambiata rispetto al passato. Se solo una generazione fa era normale andare a giocare in cortile con gli amici o tornare a casa da scuola da soli, oggi non è più così. I bambini lasciati liberi di sbucciarsi le ginocchia o di farsi male, sperimentavano mentalmente la dimensione del proprio corpo. In passato per i genitori era normale che i bambini corressero dei “rischi” perché c’era l’idea di una comunità che li tutelava e che solo attraverso l’esperienza della prima persona potessero crescere. Oggi, invece, il corpo è stato messo sotto sequestro e le piazze da reali sono diventate virtuali. Tutto ciò può portare a conseguenze davvero estreme che sfociano da un lato nel cyberbullismo e dall’altro nel fenomeno dei “ritirati sociali”, l’equivalente degli Hikikomori (ragazzi che in Giappone si rinchiudono per sempre nella loro stanza). In Italia c’è un aumento di questi casi che alle volte conduce a una dipendenza da internet, poiché grazie all’utilizzo di avatar è possibile partecipare alla vita sociale, ma solo in modo virtuale.

Stefano Paolillo, psicologo dell’audiovisivo, ha invece paragonato il videogioco a un utensile cognitivo. Se è vero che in alcuni casi l’uso eccessivo di intrattenimento videoludico porta a conseguenze negative è altrettanto vero che esistono anche effetti positivi. L’apprendimento, ad esempio, che avviene attraverso la prova/errore, l’esploratività che si esercita nello scoprire le regole del gioco, la gestione della frustrazione e l’allenamento della memoria, sono solo alcuni aspetti. Visto che la logica del videogioco è quella della gratificazione, si chiede Paolillo, non sarebbe possibile applicare tale schema anche ad altre attività? E se sì, a quali? Pare essere questa la grande sfida del futuro.

Il professor Giuseppe Riva, docente all’Università Cattolica di Milano di psicologia della comunicazione, parla anch’egli di “tecnologia positiva”, poiché i videogiochi donano benessere. La loro forza è di essere un’esperienza narrativa che, a differenza di libri o di opere audiovisive come cinema e TV, permettono un’immersione totale e una partecipazione attiva. Il futuro del videogioco non dovrebbe trasformarsi in una sorta di SQUID, il dispositivo che si vede nel film Strange Days, in cui è possibile estraniarsi dal proprio sé per vivere la vita di altri, ma dovrebbe consistere nello scoprire una propria dimensione narrativa, ovvero imparare per dare un senso all’esperienza.

Infine Thalita Malagò, segretaria generale dell’AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) ha puntato l’attenzione sul discorso più generale del mercato che, solo in Italia, sfiora i 900 milioni di euro. Ciò significa che non sono solo i bambini a giocare ai videogiochi ma anche gli adulti e per questo ne esistono di diversi generi, sono rivolti a più fasce d’età e possono essere differenti anche per genere, visto che negli ultimi anni i dati indicano che sono aumentate anche le videogiocatrici. Ma è soprattutto l’attenzione verso il prodotto a essere mutata rispetto al passato visto che questa è la prima generazione in cui sia i padri che i figli sono o sono stati dei videogiocatori.