«Darcon Leah» disse Ajin, calma e controllata, ignorando la spada puntata alla gola.

Un’espressione sorpresa guizzò sul volto scarno di Dar. Ajin immaginò che faticasse a capire chi lei fosse. O, più probabilmente, che cosa fosse. Chissà chi si aspettava di trovare sotto l’elmo da battaglia; certo non una donna.

Tuttavia Ajin era abituata a reazioni del genere. Quando indossava l’armatura completa, con lo splendente mantello bianco sulle spalle, pareva un personaggio di fantasia. Persino in quel momento, malridotta com’era dopo i combattimenti della notte, aveva un aspetto imponente. Era una donna che lottava al fianco degli uomini, che li guidava in battaglia. Nel suo paese ispirava ammirazione e deferenza.

Era anche una principessa, primogenita del re degli Skaar.

La donna che aveva preso il posto di sua madre – la “pretendente”, come Ajin insisteva a chiamarla alle sue spalle –, dopo aver dato al sovrano un paio di figli maschi, sarebbe stata ben contenta di vederla morta, ma non era così facile ucciderla. Dar Leah lo sapeva bene.

Ajin attese pazientemente che le dicesse qualcosa, però sembrava che lui non riuscisse a trovare le parole. Si limitava a fissarla con un’espressione indecifrabile, continuando a puntarle contro la spada.

«Non sono chi pensavi?» Gli rivolse un sorriso incoraggiante, gustandosi quel momento.

«Chi sei?» riuscì finalmente a chiedere Dar.

Il sorriso di Ajin si allargò. Era alta, forte e bellissima; bionda come la maggior parte degli Skaar, aveva capelli ricci che le incorniciavano il viso, intensi occhi azzurri e la pelle chiara.

Bastava un semplice sguardo per capire che era di buona famiglia e istruita, ma valeva la pena di conoscerla meglio. A soli ventidue anni era già una forte guerriera, abile nel combattimento ed esperta nelle tattiche belliche. Si trattava di un talento naturale che aveva manifestato fin da quando era bambina.

Rendendosi conto di quanto fosse precaria la sua situazione dopo che la madre era stata esiliata e la pretendente si era insediata sul trono accanto al padre, Ajin aveva rapidamente deciso di reinventarsi. Così si era arruolata nell’esercito degli Skaar. Aveva chiesto di essere chiamata solo per nome e di non ricevere trattamenti di favore ed era stata accontentata. Aveva sopportato la fatica e i maltrattamenti senza

mai lamentarsi. L’addestramento aveva migliorato il suo fisico già atletico. Grazie allo sprezzo per il pericolo e alla determinazione con cui affrontava qualsiasi prova, per quanto dura fosse, si era guadagnata l’apprezzamento degli altri soldati, e ben presto tutti avevano saputo quanto si impegnava.

Anche il padre seguiva i suoi progressi, osservandola da lontano. Malgrado l’animosità della pretendente, ammirava la perseveranza della figlia e provava per lei un profondo affetto.

Ajin si era distinta e aveva mostrato di comprendere a fondo le lezioni che le venivano impartite. Aveva fatto rapidamente carriera nei ranghi dell’esercito, diventando comandante di battaglione a soli diciotto anni. Il suo primo incarico era stato guidare un piccolo gruppo di Skaar in una regione nell’entroterra dell’Eurodia in cui era in corso una rivolta. Combattendo in prima linea – non chiedeva mai ai suoi sottoposti di affrontare rischi che non fosse disposta a correre lei stessa – aveva soffocato l’insurrezione nel giro di tre giorni.

A quel punto, ottenuto il sostegno del padre e dei suoi commilitoni, non aveva più avuto motivo di temere i malevoli intrighi della pretendente. Per la regina era stato un boccone amaro da inghiottire.

Forse un giorno, se le circostanze fossero cambiate, Ajin avrebbe rivelato tutto questo a Dar Leah. Ma la vita era complicata, e non bisognava avere troppa fretta di raccontare i fatti propri, quindi per ora avrebbe tenuto la storia per sé. Non erano né il momento né il luogo giusto per una conversazione così intima.

«Mi chiamo Ajin d’Amphere» disse. «Sono una principessa del popolo degli Skaar.»

Quelle parole rimasero sospese nel silenzio della fredda oscurità che precede l’alba e si fusero con le ombre increspate e tremolanti create dal passaggio delle nuvole davanti alla luna.

Nonostante la spada puntata alla gola, Ajin non aveva paura.

Anche se Dar Leah non se ne rendeva ancora conto, lei sentiva che c’era un legame tra loro. Non le avrebbe fatto del male, così come Ajin non ne avrebbe fatto a lui. Le loro strade si erano incrociate già tre volte, e in un’occasione Ajin avrebbe potuto porre fine alla sua vita. Le sembrava che fossero guerrieri di pari valore e non poteva credere che Dar l’avrebbe uccisa mentre era inerme, ben sapendo che poco tempo prima lei l’aveva risparmiato.

«Ho sentito pronunciare il tuo nome nella Fortezza» disse Dar. «Urlavano: “Ajin, Ajin”. Immagino che fosse un grido di vittoria. Ma in realtà è stato un massacro, no? Una carneficina.» Scosse la testa, disgustato.

«Come sai come mi chiamo?»

«È stato il mio infiltratore, Kol’Dre, a dirmelo. Tu lo conosci come Kassen.»

«Sì, Kassen. Se lo trovo vivo, non lo resterà a lungo. Tutti i Druidi di Paranor sono morti per colpa sua!»

Ajin alzò le spalle. «Lo stesso vale per i miei coraggiosi Skaar.»

«Questo dovrebbe pareggiare i conti? Immagino che tu ne sia convinta. Ma vogliamo parlare dei Druidi, dei Troll e dei membri dell’equipaggio che hai sterminato con la tua aeronave?»

«E perché non dei due vascelli della mia flotta che tu hai distrutto?» Per un minuto restarono in silenzio.

Poi Ajin gli scoccò un’occhiata interrogativa. «La donna dei Druidi era speciale per te, vero?»

Dar esitò prima di annuire. «Un tempo.» Sembrava che stesse per aggiungere qualcosa, ma non lo fece.

«E sei tu il responsabile di quello che è successo nella Fortezza?» insistette lei. «È stata opera tua? Hai liberato quel mostro e la sua nebbia velenosa per dargli in pasto i miei soldati?»

Dar scosse la testa con un’espressione cupa. «Un altro ha preso quella decisione. Ma a cosa è servito tutto ciò? Ci siamo uccisi a vicenda… per niente.»

«Io non la vedo affatto così. Per noi Paranor era una grave minaccia, quindi dovevamo distruggerla. Non mi affliggerò certo per la scomparsa della Fortezza o dei Druidi.»

«Immagino di no.» Dar le diede uno spintone. «Torna fra gli alberi, così nel caso qualcuno della tua piccola banda di tagliagole sia sopravvissuto non saremo in bella vista. E non pensare neanche di provare a scappare.»

Lei iniziò ad avanzare nella foresta, in un’oscurità così fitta che non si vedeva quasi niente. Dar con la spada la sospinse in avanti fino a un punto in cui non avrebbe avuto nessuna speranza di ricevere aiuto. Gli alberi si chiusero attorno a lei, coprendo l’altura di Paranor illuminata dalla luna, e si ritrovò da sola con il paladino dei Druidi.

«Che cosa intendi fare di me?» domandò quando si furono fermati.

«Non lo so ancora, principessa. Forse chiederò un riscatto, oppure ti userò come esca per attirare quel traditore che ha consegnato la Fortezza ai tuoi uomini. Magari ti lascerò macerare nel dubbio per qualche tempo.»

«Potresti almeno concedermi un po’ di spazio per respirare? Toglimi la spada dalla gola. Prometto di non scappare.»

«Oh, per favore! Pensi che mi fidi di te dopo quello che hai fatto ai Druidi? Quanto mi credi stupido?»

Il disgusto nella sua voce le strappò un sorriso. «Allora almeno smetti di chiamarmi “principessa”. Il mio nome è Ajin.»

«D’accordo, Ajin. Comunque non mi fido di te.»

«Sai che gli Skaar non pagheranno un riscatto per riavermi, vero? Se mio padre fosse qui, non lo farebbe nemmeno lui. Malgrado il mio rango, non è il nostro modo di agire.»

«Allora forse dovrei semplicemente ucciderti, dal momento che non mi puoi essere utile.»

«Non dire assurdità. Non sarebbe da te. Perché non mi spieghi che cosa posso fare per rimediare? Magari troveremo un accordo.» Ajin lo udì ridere sommessamente.

«Un accordo? Oh, certo, questo sì che cambia tutto. Non avevo capito che fossi in grado di resuscitare i morti o di riportare qui la Fortezza dal posto in cui si trova adesso, qualunque esso sia.»

Il paladino la spinse contro il tronco di un albero e mosse la spada in modo che la lama le premesse sulla gola.

«Perché sei qui?»

In quel nascondiglio isolato e silenzioso, lei gli raccontò gli eventi che avevano preceduto l’invasione degli Skaar. La loro terra era diventata infeconda a causa del gelo di un inverno infinito, i raccolti erano stati rovinati e il cibo e l’acqua avevano iniziato a scarseggiare. Tutto era cambiato velocemente, e le condizioni di vita erano diventate intollerabili.

«Non puoi immaginare i danni subiti dal mio popolo. Stiamo morendo: eravamo milioni, ora siamo migliaia. I più vulnerabili, come i bambini, gli anziani, i malati e chi è indebolito dalla sete o dalla fame, perdono la vita. Ho visto spegnersi persone che conosco da quando sono nata: la mia balia e i miei vecchi compagni

di giochi, i miei soldati; perfino i miei cani sono morti…» Il suo tono era amaro, la voce aspra.

«Succede lo stesso ovunque: in tutta l’Eurodia e in ogni altra nazione del continente. Prova a immaginare intere popolazioni rintanate in casa per proteggersi dall’inverno crudele che aspettano solo la fine, senza né cibo né acqua né protezione contro il freddo. I cambiamenti climatici sono irreversibili. Il gelo sta aumentando e persino le terre più meridionali dell’Eurodia cominciano a sentirne il morso.»

Ajin fece una pausa, poi riprese a parlare.

«Avevo una sorella più giovane, ma ormai è morta. Quando si ammalò, cercai in tutti i modi di salvarla. Se non ero sul campo, stavo al suo capezzale. La lavavo, la nutrivo e l’aiutai a superare quello che credevo fosse il periodo peggiore. Ma era sempre stata fragile. Di lì a poco ebbe una ricaduta. Un esantema le ricoprì il viso

e le mani. Mi supplicava, mi pregava di darle sollievo. Vedendo che non c’era più speranza e che ogni respiro era un rantolo di dolore, la soffocai con un cuscino.»

Si interruppe senza distogliere lo sguardo da Dar. «Se non si ha un posto dove andare, che cosa si fa? Mi rivolsi a mio padre e lo pregai di inviare navi a perlustrare terre lontane in cui avremmo potuto stabilirci. Lui lo fece, e i nostri esploratori scoprirono le vostre. Vi rubammo alcune aeronavi per imparare a costruirne di simili. Le chiamiamo “acqueleste”. Sono alimentate dall’acqua dell’oceano del nostro paese natale e sono più grandi e più veloci dei vostri vascelli. Le nostre spie si sono mescolate fra voi e vi hanno studiato per due anni interi, senza che ve ne accorgeste. Kol’Dre, il mio infiltratore, ha fatto buona parte del lavoro. Ha raccolto informazioni e le ha inviate al re e ai suoi consiglieri. Sapevamo tutto su di voi anche prima che mio padre mi ordinasse di venire qui con una forza d’avanguardia a preparare il terreno per un’invasione su più vasta scala. Sapevamo di potervi battere. Conoscevamo tutti i vostri punti deboli.»

«O così credevate, per lo meno.» La risposta di Dar grondava disdegno.

Lei si strinse nelle spalle. «Sapevamo comunque abbastanza da trarne profitto, come hai appena visto. La vostra è una nazione composta da un gran numero di Razze, di popoli e di governi diversi, e non avete un governo centrale. Siete frammentati e quindi vulnerabili. La vostra sola forza, in realtà, è la magia, che in buona parte era concentrata nelle mani dei Druidi. Senza di loro non potete svanire a piacimento, come facciamo noi, e non siete in grado di creare simulacri per ingannare i nemici e fare in modo che combattano con l’aria.»

«Perciò decideste di penetrare nella Fortezza ed eliminare i Druidi.»

«Sì, con l’aiuto di uno di voi. È stato un druido a tradirvi.» Ajin vide un lampo di consapevolezza negli occhi di Dar.

«Clizia Porse?» chiese subito lui.

«Ha importanza, ormai?»

«Potrebbe averne, perché è ancora viva. L’ho vista dopo che è stato liberato il Guardiano. È stata lei a inviare Paranor nel limbo. Clizia è pericolosa, Ajin. Potresti rimpiangere di averla risparmiata.»

Lei fece spallucce. «Quello che conta è il risultato. Ora che i Druidi sono morti, non dobbiamo più temere la loro magia. Adesso, per opporci resistenza, potrete ricorrere soltanto alla vostra scienza rudimentale e alle armi inefficaci della Federazione. E noi vi distruggeremo.» Si sorprese di vederlo sorridere.

«Lo dici come se fosse una cosa facile. Dovrete solo annientarci, sistemarvi nelle nostre terre e fondare qui la vostra nuova patria. Quanto pensi che ci vorrà? Un paio di settimane?»

«Non credermi così ingenua. Sono una comandante esperta, ho combattuto e vinto molte battaglie. So quello che serve per sottomettere una popolazione, quanto tempo richiede e quale prezzo bisogna pagare. Ma sono pronta ad affrontare tutto.»

Lui emise un sospiro di stanchezza. «Sembri troppo giovane per essere già tanto assetata di sangue.»

Ajin sollevò il mento e lo fissò negli occhi. «Non sono più giovane da quando, a dodici anni, vidi mio padre bandire mia madre e dovetti subire le angherie della donna che prese il suo posto. Non commettere l’errore di sottovalutarmi.»

«Non lo farei mai» ribatté lui. «Mi dispiace per quello che hai passato.»

«Non ho bisogno della pietà di nessuno. Me la sono cavata da sola per tutto questo tempo e continuerò a farlo. Piuttosto, dovresti preoccuparti per te stesso. Perché non parliamo di un accordo che ti permetterà di sopravvivere?»

«Non sono io ad avere una spada puntata alla gola.»

«Non adesso, ma non tanto tempo fa è successo, giusto?» Dar la fissò con un miscuglio di emozioni sulla faccia.

Ajin aveva toccato un nervo scoperto ricordandogli che, quando era rimasto bloccato sulla parete di un dirupo, lo aveva risparmiato.

Forse le sarebbe convenuto sbarazzarsene allora, ma non ne era convinta davvero. Sarebbe stato ingiusto uccidere un uomo così coraggioso e leale. Si rese conto che ci stava pensando anche lui. Poteva usarlo a proprio vantaggio?

«Credo che tudebba lasciarmi andare, Dar Leah» disse. «Rendimi il favore.» Lui scosse la testa. «Sarebbe una pessima idea, principessa.»

«Ajin.»

«Ajin» si corresse Dar. «In un baleno potrei trasformarmi da carceriere in prigioniero.»

“Prigioniero del mio cuore” pensò impulsivamente Ajin. Era un’idea eccitante e proibita. Non poteva negare di provare attrazione per lui, un sentimento che non capiva ancora appieno. Ma questo non aveva nulla a che vedere con ciò che stava accadendo, perciò accantonò la faccenda con un’alzata di spalle.

«Non voglio essere tua prigioniera. Però, se quando avrai capito di non avere speranze nella lotta imminente decidessi di arrenderti a me, ti salverei la vita, come ho già fatto in passato.»

Lui la fissò, confuso. Ajin alzò una mano e cautamente si allontanò la lama dalla gola.

«Non hai intenzione di uccidermi, quindi perché mi minacci? Sono ancora qui per mia scelta, perché voglio che tu capisca la mia causa e capisca me. In fondo, noi ci assomigliamo. Ti rispetto e penso che lo stesso valga per te. Entrambi combattiamo per quello in cui crediamo, ma lo facciamo nel modo più onorevole possibile. Condividiamo un codice di condotta e l’ammirazione per la lealtà e il coraggio. Non siamo poi così diversi, no?»

«Direi che lo siamo, visto che tu continui a portare avanti i tuoi piani di conquista. Io non mi comporterei mai così!»

«Ah, no?» Ajin inarcò un sopracciglio e fece un passo verso di lui. Gli era tanto vicina che quasi poteva sfiorarlo. Avrebbe desiderato toccarlo. «Se la tua terra e la tua gente stessero morendo, non faresti tutto il necessario per salvarle, compreso combattere per conquistare un posto in cui vivere?» Scorse l’incertezza nei suoi occhi. «Non puoi sapere fin dove ti spingeresti. Ma un giorno ti potrebbe succedere di scoprirlo.» Allungò le mani e gliele posò sulle spalle. Era un gesto audace, che lo turbò.

«Continua pure a pensare che siamo diversi, sevuoi. Ma non lo siamo, Dar Leah, e non lo saremo mai. Non so come si concluderà questo conflitto. Magari nessuno dei due sopravvivrà. Però sento che, in qualche modo, i nostri destini sono intrecciati.» Gli prese il viso tra le mani per avvicinarlo al proprio. D’impulso gli diede un bacio sulle labbra, dapprima delicatamente, poi con maggior passione. Lo sentì opporre resistenza, ma solo per un istante.

«Sei in debito con me» affermò, lasciandolo andare e indietreggiando «quindi mi riprendo la libertà. Non dirò ai miei di averti visto. Non rivelerò che sei qui. Solo io e te sapremo di questo incontro.»

Quando lo oltrepassò, lui la guardò allontanarsi.

Fatto qualche passo, Ajin si voltò. «Mi mancherai, paladino di Paranor, ma ci incontreremo di nuovo, in un altro momento e in un altro luogo. Molto presto, credo. Vieni a cercarmi.»

Dar scosse la testa, come se quasi non riuscisse a credere a quello che stava facendo.

«Adesso siamo pari, Ajin d’Amphere. Se ti catturerò di nuovo, non ti lascerò andare così facilmente.» Lei gli rivolse un sorriso radioso. «Neanch’io.»

E poi, come per schernirlo, svanì.

Copyright © 2018 by Terry Brooks

This translation published by arrangement with Del Rey,

an imprint of Random House, a division of Penguin Random House LLC

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