Per lunghi istanti lasciò che il vento l’accarezzasse, che le imprigionasse le lunghe ciocche sfuggite al nastro solo per lasciarle andare a malincuore un istante più tardi.

Un brivido le percorse la schiena, ma la ragazza decise di ignorare il sopraggiungere incalzante della fredda notte nordica, aveva affrontato prove peggiori. Una di esse giaceva a pochi passi da lei: riversa nella neve era la carcassa di un goul, un divoratore, il cui sangue scuro e denso sgorgava ancora caldo dai profondi squarci inflittigli dalle Lame di Luna gemelle, le lunghe spade ora inerti ai fianchi della guerriera dagli occhi di ghiaccio.

La gente dei boschi la chiamava Eirian, dicevano fosse stato il nome di una regina. Lei non conosceva il suo vero nome, lo aveva dimenticato, come tutto del resto; ciò che ricordava del suo passato era solamente il nome delle spade brillanti che portava senza fodero, nella remota speranza che qualcuno le riconoscesse e potesse aiutarla a dissipare la nebbia che le velava la mente.

Ella sapeva di cercare qualcosa, e per ricordare cosa fosse era più che pronta a combattere.

E così Eirian delle Lame di Luna continuava a viaggiare guadagnandosi da vivere come mercenaria ogni qual volta ne avesse l’occasione. Era stato proprio il suo ultimo incarico a portarla sulle montagne: un mercante della città portuale di Mekne l’aveva assoldata come scorta attraverso le pianure, sino ad uno dei villaggi che giacevano alle pendici orientali dell’altipiano Irianver. L’uomo per tutto il tragitto aveva cercato invano di convincerla a vendere le sue spade, cosa che aveva enormemente annoiato Eirian, al punto di arrivare a minacciare il suo stesso committente. Conseguenza immediata di tale gesto fu la rescissione del contratto, l’uomo se ne sarebbe tornato al mare con la prossima carovana.

Eirian si sentì quasi sollevata, non solo infatti il mercante si era rivelato quanto meno detestabile, ma la ragazza non aveva alcuna voglia di tornare indietro, di rituffarsi nella rumorosa e affollata provincia che aveva in Mekne il centro del commercio marittimo di buona parte del continente, non ora che aveva infine rivisto le montagne.

Tempo prima aveva pensato che in una città così grande e frequentata le possibilità di trovare qualcuno che la conoscesse sarebbero state maggiori, ma da allora erano passati due anni, due anni e nessun risultato apprezzabile a parte la fama conseguita attraverso alcuni degli incarichi svolti. Poi, quasi all’improvviso, era sorta in lei una nostalgia sconosciuta, la nostalgia del vento, degli alberi, nostalgia del ghiaccio impietoso ed imponente che tante volte aveva visto, ma mai così ardentemente desiderato. Era stato a causa di questo bisogno quasi fisico di immergersi nuovamente nel gelido nord che Eirian non aveva esitato un istante ad accettare l’offerta, sebbene non certo generosa, del mercante diretto all’Irianver.

Il villaggio che la ospitava in quel momento era talmente piccolo da non avere nemmeno un nome, era chiamato semplicemente ‘uno degli ultimi fuochi’; infatti con i pochi insediamenti vicini, esso costituiva l’ultimo avamposto della civiltà prima del dominio selvaggio ed incontrastato delle montagne.

La popolazione era per lo più costituita da famiglie di pastori analfabeti e superstiziosi, per questo quando le erano state riferite voci della presenza di goul nei pressi degli abitati, la guerriera non vi aveva dato molto peso: era assai raro che interi gruppi di divoratori si aggirassero così vicini ai villaggi, certo l’Irianver era tristemente famoso per i pericoli che celava, ed era risaputo che vi si trovassero un gran numero di creature non propriamente amichevoli, ma da qui al ritenere che vi fossero addirittura gruppi di goul nomadi…

Invece, per quanto strano potesse sembrare, questo era esattamente ciò che stava accadendo alle pendici dell’altipiano. Pochi giorni dopo il suo arrivo, Eirian era stata convocata dagli anziani, i quali le avevano offerto ospitalità e compenso se la guerriera avesse accettato di proteggere gli insediamenti dalle scorrerie dei divoratori scesi dalle montagne. Cinquecento monete d’argento non erano neppure la metà del suo abituale compenso, ma erano probabilmente la somma più alta che quei poveri pastori avessero mai visto tutta insieme, inoltre l’avrebbero ospitata esattamente dove Eirian desiderava essere, vicino alle montagne.

Tutto questo accadeva poco meno di un mese prima, da allora la ragazza si era ambientata piuttosto bene, la gente dei villaggi sapeva essere di buona compagnia quando non era terrorizzata, il che sfortunatamente accadeva assai spesso: a dispetto delle sue convinzioni infatti il numero delle scorrerie dei goul era preoccupante, e tra le vittime non vi era solo bestiame…

Il pallore rossastro del breve tramonto nordico era scomparso e l’Irianver aveva oramai gettato l’oscurità della sua ombra sulle pianure quando Eirian decise di muoversi nuovamente: era come se la fatica le si fosse gelata addosso, mani e piedi intorpiditi dal freddo pungente.