Disclaimer: c’è nell’uomo una naturale e atavica eccitazione per il combattimento, ma anche se si scrive di armi e battaglie, anche se si legge di armi e battaglie, non dobbiamo mai dimenticare che hanno solo una mera funzione narrativa. E che mai vanno accettate, esaltate o di esse bisogna fare abitudine. Quando si adotta un linguaggio crudo per descrivere gesti crudeli lo si fa sempre per condannarli e svuotarli di giustificazioni o epica. www.viverealtrevite.it

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Nessun Dharca ucciderà mai un altro Dharca, se non per guiderdone.

L’alba su N’il non era paragonabile a nessun’altra. L’orizzonte, al di là del deserto di vetro, diventava di colpo una sottile linea di fuoco giallo. Un chiarore tenue si spandeva subito sull’Anello, la fascia di vita in cui i Nhilem dimoravano, iniziando a scemare solo in direzione delle fredde regioni al lato opposto del Muro di Luce, il miracolo che sostituiva il sole.

Quel giorno l’alba sarebbe stata accompagnata dalla morte. Ma era una morte più pulita e regolare della solita lotta per la sopravvivenza su N’il, più efficiente. E Akeo, in un qualche modo, lo apprezzava.

Il mercenario camminava da ore tra le file dei suoi simili, tre muraglie umane di corazze di bande, grandi scudi targoni da battaglia, picche per la prima linea, lance o lanciotti per le altre. Come tutti i membri del clan Dharca, anche il Capitano Akeo aveva un fisico robusto, muscoli guizzanti, pelle cotta dal sole e corti capelli rossicci. Guardandosi attorno poteva ritrovare innumerevoli dettagli somatici, similitudini, piccoli tratti del proprio viso riflessi in quello degli altri. Agli estranei i Dharca apparivano quasi tutti uguali tra loro. E non era un caso.

Tutt’intorno alla guarnigione, un contingente di oltre cinquecento Dharca, stavano altri assembramenti mercenari provenienti dai territori vicini. I conflitti tra gli insediamenti Nhilem erano frequenti e occorreva approfittarne per spartirsi il ricco guiderdone. Alcuni gruppi di cacciatori si erano improvvisati soldati, portavano i propri lunghi archi di osso ma avevano sostituito coltellacci e lame da scannatoio con delle accette. Le milizie cittadine di due villaggi minori dovevano aver progettato di unire le forze, contando di avvantaggiarsi della propria disciplina in battaglia. Ma dopo poco dall’arrivo avevano formato un cerchio tra di loro e stando alle grida che si levavano dal centro era chiaro che il comando della brigata era divenuto incerto. Il resto delle truppe di Vatis era una marmaglia barbara e incivile, troppo variegata per poter essere riconducibile a una qualche origine comune.

Su N’il le battaglie si svolgevano di giorno, poco dopo le prime luci, per cui la truppa si era formata nelle ore prima dell’alba, poco alla volta e in maniera scomposta. Questo sia per la fazione di Vatis, per conto della quale Akeo guidava i suoi uomini, che per le schiere di Scetla, stanziate al lato opposto di una brulla spianata designata come luogo dello scontro. I conflitti dovevano tenersi sempre in luoghi neutri, o comunque lontano dagli insediamenti per tutelarne le risorse. N’il era un mondo aspro, non c’era molto da sprecare a meno che non si trattasse di investirlo per conquistare altra terra, altre fonti di cibo e materia. Erano le giuste motivazioni per mettere a rischio vettovaglie, armi alchemiche, lavoro di fabbri e, forse la merce più svalutata e sacrificabile, vite umane.

In palio, quel giorno, c’era la ricca miniera di spore chiama la Spaccatura. Un colle cavo al cui apice la terra pareva essere stata tagliata da una gigantesca ascia. Sotto l’ingresso si apriva l’inferno umano delle schiave delle spore, un tempo erano donne, ma anni di lavori massacranti e la costante presenza delle spore allucinogene le avevano trasformate in larve da lavoro con gli occhi bianchi o pazze isteriche destinate a morire in uno dei tanti livelli sotterranei.

Scetla aveva retto il controllo della Spaccatura per due lustri, quasi tre passaggi del Portatore di Caos Laouqui. L’ultimo assalto, tuttavia, l’aveva talmente indebolita da incoraggiare la cittadella di Vatis a cercare di conquistare la miniera. La battaglia di oggi avrebbe significato la definiva fine di Scetla, oppure la sua rinascita grazie ai proventi della miniera. N’il era un mondo avido di droghe.

Akeo non poté non confrontare, con un certo orgoglio, la differenza di tempra tra i Dharca e gli altri mercenari. La sua gente era composta, ordinata, silenziosa, pronta alla lotta, con nello stomato nient’altro che il solito parco pasto mattutino.

Tutti gli altri, da ambo le schiere, urlavano grida di guerra, battevano le armi, danzano nudi in direzione degli avversari, scolavano fiasche di vino o leccavano i sali stimolanti che davano frenesia. Non meno di una ventina di calderoni di spore rosse ardevano di fiamme vive. Chi vi si accostava poteva succhiare con lunghe cannucce gli effluvi delle spore eccitanti, lussuria e violenza scorrevano nei corpi, pompando il sangue nelle vene.