Giorno Zero

Oggi è il giorno. Finalmente, dopo mesi di attesa, Jonas e io attraverseremo il Varco. Significa una vita nuova, ricominciare da zero. Fa paura, ma è la nostra unica possibilità di sopravvivenza. Il nostro mondo ormai è andato: la Maledizione l’ha consumato dall'interno. La terra è arida, l’acqua avvelenata, le epidemie hanno decimato persone e animali. 

Solo i Signori stanno bene, al sicuro nei loro castelli. Nessuno li ha mai visti. Jonas dice che sono stati loro a scatenare la Maledizione, ma mi ha detto anche di non dirlo in giro perché qualche spia potrebbe sentirci e allora addio permesso per il Varco. Mi ha detto di non farne parola nemmeno con i nostri genitori: loro sono cresciuti con il mito dei Signori, hanno passato tutta la loro vita a venerarli come dei. Non capirebbero, pensano che la Maledizione sia opera del Mago, come gli è stato raccontato, ma Jonas è convinto che non esista nessun Mago, che sia tutta un’invenzione dei Signori per tenerci buoni, perché se ci rivoltassimo li uccideremmo tutti perché siamo molti più di loro. Queste cose a Jonas gliele dice il Gruppo. Jonas lo frequenta da un anno circa, da quando ha passato l’Età. Tante volte gli ho chiesto se potevo venirci anch’io alle riunioni, ma lui non mi ci ha mai portato. Non hai ancora l’Età, mi dice, ma secondo me è solo perché si vergogna di farsi vedere troppo in giro con me. È da sfigati stare coi Sottoetà, l’ho sentito dire una volta. 

Ma non importa, ancora poco e poi sarà ora. Sono un po’ emozionato e anche spaventato, ma so che ci sarà Jonas a proteggermi. Papà e mamma invece non verranno: sono troppo vecchi per il Varco, ma sono felici per noi, anche se ieri ho visto mamma piangere di nascosto.

Giorno 1

Abbiamo attraversato il Varco, ma non è stato come me l’ero immaginato. Pensavo sarebbe stato come passare dentro un vortice luminoso di mille colori scintillanti, qualcosa di talmente abbagliante che, guardandolo, mi avrebbe fatto male agli occhi. Invece era più come uno squarcio in un tessuto, non si riesce a vedere niente fino a quando non ci sei dentro e devi aspettare diversi minuti, rigorosamente immobile.

Quando il Varco si è aperto ci siamo abbracciati forte. Persino Jonas aveva un po’ di paura, anche se non voleva darlo a vedere, e mi ha stretto forte la mano facendomi quasi male.

Per una manciata di lunghissimi secondi c’è stato solo buio. E silenzio.

Poi improvvisamente è tornata la luce, sono tornati i colori e i suoni. Ma è bastato guardarmi intorno un attimo per capire che non eravamo più a casa. Eravamo altrove. C’era il cielo, certo, e la terra sotto i nostri piedi, e potevamo respirare senza problemi. Ma il resto era diverso: tutto grigio. Grigie costruzioni di centinaia di piani ci circondavano, un cielo grigio di nuvole sovrastava minaccioso le nostre teste e i nostri piedi erano appoggiati una grigia lastra di cemento. 

Un brivido mi è corso lungo la schiena. Ho stretto io forte la mano a Jonas, stavolta.

Giorno 6

Degli uomini vestiti tutti di nero, con in braccio strane armi, ci hanno preso e accompagnato all’interno di uno di quegli edifici che avevamo visto appena arrivati. Ci hanno dato vestiti puliti e da mangiare, eppure avevo la sensazione che qualcosa non andasse, che nei loro gesti troppo sbrigativi ci fosse qualcosa di sbagliato. 

Stamattina, poi, Jonas è rimasto diversi minuti a parlare con alcuni ragazzi che a quanto pare sono qui da più tempo di noi. Non avevano una bella espressione, uno di essi aveva un occhio pesto come se fosse stato picchiato. Ho provato a chiedere a Jonas chi fossero e di cosa avessero parlato, ma è stato molto vago. Gente del Gruppo, roba da Sopraetà, mi ha detto. Lo odio quando fa così.

Io lo conosco Jonas, è mio fratello. So quando ha paura e so quando mi sta raccontando una bugia. E in quel momento avrei potuto scommettere su entrambe le cose.

Giorno 18

Mi sono messo a osservare bene gli uomini vestiti di nero. Sono diversi, anche se ci somigliano in molte cose. Hanno due gambe e due braccia e una testa, ma i loro lineamenti sono differenti, si vede che non sono come noi. Comincio a chiedermi cosa ci facciamo qui, nessuno ci dice niente. Siamo rinchiusi in questo enorme palazzo grigio e questi uomini vestiti di nero, che all'inizio pensavo fossero qui per aiutarci e proteggerci, adesso assomigliano sempre di più a dei carcerieri.

Per la prima volta da quando siamo arrivati ho pensato a papà e mamma, rimasti nella nostra terra morente, e ho provato nostalgia di casa.

Giorno 55

Ci hanno separato. Hanno portato via Jonas stamattina, appena dopo il sorgere del sole. Lui si è opposto, ha cercato, dapprima a parole, di sapere dove lo portavano e perché io non potevo venire. Gli uomini in nero allora – erano in tre – l’hanno immobilizzato e trascinato via, mentre io venivo tenuto fermo dal quarto e urlavo con tutto il fiato che avevo in corpo Jonas! Jonas!

Ma lui ormai era svenuto e non poteva più sentirmi.

Quando l’hanno portato fuori, l’uomo in nero che mi teneva fermo mi ha spinto contro il muro e guardandomi con disprezzo mi ha urlato parole incomprensibili ma che sapevano di insulti e minacce. Ho passato il resto della giornata a piangere e chiamare mio fratello, ma nessuno mi ha risposto. Ero solo.

Sono solo.

Giorno 83

Ho rivisto alcuni dei ragazzi che parlavano con Jonas. Ho provato ad avvicinarli, quando è stata ora di mangiare, ma hanno fatto finta di non vedermi. Solo dopo un po’ uno di essi è venuto da me e mi ha condotto in disparte. Una volta al riparo da orecchie indiscrete, gli ho chiesto se sapesse cosa fosse successo a Jonas. Lui mi ha preso e mi ha portato vicino a una finestra che dava sul grande cortile interno. Mi ha indicato un altissimo cilindro di cemento dal quale fuoriusciva una colonna di fumo nero. Tuo fratello è un eroe, mi ha detto con la voce rotta dall’emozione. In quel momento ho capito che non ero più un ragazzino, non potevo più esserlo. Età o non Età, ero cresciuto di anni in un solo istante.

Giorno 100

Ora mi è tutto chiaro. Il Varco è stato un inganno, non conduceva a un mondo migliore. Doveva condurci alla morte. Noi che ormai eravamo liberi dal condizionamento mentale che i Signori avevano portato avanti con le generazioni prima della nostra, eravamo diventati un pericolo. Andavamo eliminati, in qualche modo. Ma Jonas aveva ragione: eravamo troppi, li avremmo schiacciati. Così hanno fatto in modo di avvelenare la nostra terra per poi prometterci una vita migliore lontano da loro. Ma era solo un trucco, una magia da quattro soldi.

Per me e per gli altri che sono qui non c’è più speranza. Passiamo i giorni ad aspettare il momento in cui ci porteranno alla torre e ci trasformeranno in fumo nero. Ma per quelli che ancora sono a casa, per quelli che sono troppo piccoli e addirittura per quelli che ancora non sono nati, per loro non è tardi. Per questo ho deciso di scrivere questo piccolo diario, nella speranza – probabilmente vana – che in qualche modo queste mie poche parole arrivino fino a loro. Che il racconto di ciò che avviene qui svegli le coscienze, per troppo tempo addormentate dalla paura dei poteri magici dei Signori.

Noi oggi perdiamo una battaglia. Il Gruppo ormai è stato smantellato con la morte di Jonas e dei suoi amici, e con la mia, ormai imminente. Ma la guerra, quella vera, deve ancora iniziare e io sono convinto che ci vedrà vittoriosi. Non ci servirà la magia: basterà credere nel desiderio di libertà. Sarà quello il nostro potere. E nemmeno il mago più potente riuscirà a fermarci.

Ora devo andare, dei passi si stanno avvicinando. Il momento è giunto anche per me, lo sento.

Grazie Jonas, per avermi mostrato la verità. Per avermi permesso di crescere e di vivere, seppur per poco, conoscendo la realtà, quella vera. Quella che, per quanto brutta, è sempre meglio di mille belle menzogne.

Ti voglio bene, fratello, ci vediamo presto.

– Tenente Jarvis, che mi dice del prigioniero 37405?

– È stato terminato questa mattina, come da sue istruzioni, signore.

– Ottimo. Ha detto qualcosa prima di morire?

– Nossignore, signor Capitano.

– Avete provveduto a bruciare tutti i suoi effetti personali e tutto ciò che c’era nella sua cella?

– Sissignore, signor Capitano.

– Bene Tenente, può andare.

Jarvis sbatte i tacchi, saluta militarmente e fa dietrofront. Una goccia di sudore si forma sulla fronte umida e gli cola sulla tempia. È la prima volta che mente al suo Capitano. Se lo scoprisse, per lui sarebbe morte certa. Con un gesto distratto infila una mano in tasca. 

Il foglio di carta è ancora lì.