Genere: Avventura/Sparatutto in prima persona

Produttore: Irrational Games

Distributore: 2K Games

Versione provata: PlayStation 3

Voto 5/5

Amarlo oppure odiarlo. Una sentenza un po’ sopra le righe, ma è più o meno quello che ne è scaturito dall’uscita di Bioshock Infinite, attesissimo nuovo capitolo della saga di Bioshock, che ha visto il ritorno degli sviluppatori originali del primo capitolo, il team di Irrational Games, e il creative director Ken Levine. Proprio i tanti rinvii, l’attesa, le notizie che circolavano sul coinvolgimento di Levine, prima smentito e poi confermato e una mastodontica baraonda mediatica, hanno influito, nel bene e nel male, sulle aspettative dei videogiocatori. 

Ma arriviamo al punto. Comparare Bioshock Infinite almeno al primo capitolo originale (ricordiamo che né Irrational Games né Levine erano stati coinvolti nella realizzazione di Bioshock 2) è inevitabile. Possiamo dire che Infinite ricalca in gran parte la natura della prima storia, di quel videogame che riportò in auge l’esperienza in prima persona, nel 2007, raccontando con eccezionale maestria le vicende della città sottomarina di Rapture. Pur non avendo legami cronologici con Bioshock (almeno sulla carta…), il ritorno di Levine si vede eccome. Condividiamo (nonostante il voto) il punto di vista di chi ha giustamente fatto notare che Bioshock Infinite non rientra nei capolavori video ludici, ma che è un’esperienza immersiva che va al di là dello sparatutto e dei tecnicismi di genere. Si evince che in Infinite è la storia a prevalere sulla componente ludica, permettendoci letteralmente di immergerci nella ricca ambientazione steampunk. 

Una volta avviato il gioco ci ritroviamo nel 1912, costa del Maine, vestendo i panni del protagonista, il detective di nome Booker DeWitt, nel bel mezzo di una traversata in mare aperto a bordo di una scialuppa in compagnia di due misteriosi e chiacchieroni individui, una coppia destinata a lasciare il segno; ma lì per lì non ci facciamo troppo caso. Tutto inizia qui, come nelle più classiche storie d’avventura, da una scialuppa, pioggia notturna, un faro in lontananza e una missione da compiere: salvare la ragazza e annullare il debito. 

L’incipit di Bioshock Infinite ci porta fin da subito all’interno delle dinamiche di gioco, invariate rispetto ai capitoli precedenti. Il volto del misterioso Booker è appena visibile nel riflesso di un recipiente colmo d’acqua, dopodiché si inizia davvero a fare sul serio. Il faro è la porta verso il paradiso, o almeno è così che vorrebbero spacciare Columbia, la città tra le nuvole, un simbolo da prendere costantemente in considerazione. 

Finalmente atterrati e dopo una meravigliosa prima panoramica sulla città, entriamo a contatto con i primi personaggi non giocanti e con l’ambientazione, rimanendo estasiati dai colori vividi e dalle note di pianoforte che propongono il tema principale del videogioco, il brano gospel Will the Circle Be Unbroken, successivamente arricchito dal testo e da una voce angelica. Il lavoro concettuale del team di sviluppo è riuscito a realizzare qualcosa di stupefacente, una resa visiva che ripaga l’attesa. Columbia, stilisticamente rappresentata con particolari relativi alla Beaux Art e ispirata alla Columbia Exposition di Chicago, vive. Il miglior modo per godere appieno di Bioshock Infinite è perdersi e lasciarsi trasportare da tutto ciò che ci circonda, anche per capire più approfonditamente la storia. Certe pecche grafiche come alcune texture di discutibile livello e alcuni rallentamenti potrebbero anche passare in secondo piano, almeno se non si sceglie di essere completamente pignoli. 

Un passo indietro: un detective, una ragazza da salvare. Bioshock Infinite dimostra che non bisogna tirar fuori dal cilindro l’idea del secolo per raccontare una buona storia con ottimi personaggi. Booker ed Elisabeth (la ragazza che ci servirà per annullare il debito) sono vividi quanto l’eccezionale rappresentazione di Columbia. È interessante come, continuando a giocare, i due protagonisti acquistino forma e spessore. Proprio il rapporto tra Booker ed Elisabeth è uno dei punti di forza su cui Levine ha lavorato molto. La ragazza a nostro fianco non possiamo controllarla materialmente con il controller, ma nonostante questo Elisabeth è parte integrante delle mosse di Booker, anche per le sue abilità speciali di aprire squarci su altre dimensioni…

L’esplorazione diventa quasi un obbligo se vogliamo riuscire a comprendere tutto. Proseguendo, Columbia si mostra nel suo vero aspetto, ovvero un feticcio di un folle, l’ambiguo Profeta Comstock, che porta avanti le sue ideologie nazionaliste. Religione e razzismo sono due temi caldi che troviamo ben incastrati nella trama, talvolta distorti ed esasperati dalla filosofia del personaggio di Comstock, un falso buono che Booker rincorrerà fin dall’inizio. Propagande che richiamano epoche buie della storia caratterizzano soprattutto la parte centrale della narrazione, in cui persone di colore e irlandesi vengono emarginate e dove lo schiavismo è una piaga quotidiana. Conseguenza di questa linea di pensiero è l’esistenza dei Ribelli, un gruppo conosciuto con il nome di Vox Populi. Per rappresentare al meglio l’aspetto aberrante della città nel cielo, Irrational Games si è affidata a un lavoro di graphic design con i fiocchi; manifesti dai toni vintage e tavolozze di colore studiate ad hoc funzionano egregiamente, il tutto accompagnato dalle variegate voci dei personaggi non giocanti e dagli effetti sonori a tratti disturbanti, capaci di suscitare inquietudine e rabbia. La colonna sonora va a braccetto con le minuzie artistiche mai lasciate al caso. Buono il doppiaggio italiano. 

La narrazione di Bioshock Infinite si rifà, come accaduto in Bioshock del 2007, all’espediente delle tracce audio da trovare e ascoltare. Recuperare i Voxfoni ci permetterà di scoprire particolari aggiuntivi, meccanismo che i vecchi affezionati troveranno questa ricerca indubbiamente poco accattivante e non originale, avendola già sperimentata nel primo capitolo. Un piccolo sforzo in più sarebbe bastato a rinfrescare questo aspetto esplorativo. E a proposito di gameplay, alcuni potrebbero storcere il naso proprio per la mancanza di novità rispetto al primo Bioshock e alla scarsa possibilità di customizzare i poteri (i vecchi Plasmidi qui sono conosciuti come Vigor), oltre alle poche armi a disposizione. Tuttavia, come accennato prima, la forza di Bioshock Infinite non risiede nella natura da sparatutto; se pensate di divertirvi sparando all’impazzata dall’inizio alla fine cambiate gioco. L’azione non manca di certo, ma è nell’intricata trama la chiave. 

Coinvolgente e immersivo, Bioshock Infinite lascia il segno. Levine e la sua squadra sono stati bravi a riprendere i tratti distintivi del primo capitolo offrendo un intreccio narrativo di grande livello, capace di far riflettere anche a console spenta. Se non verrà ricordato per le vere innovazioni tecniche e per una sezione shooter non all’altezza delle aspettative, Bioshock Infinite rimane indubbiamente uno dei titoli più importanti dell’ultimo periodo videoludico. 

Del finale non facciamo parola. Teniamo invece particolarmente alla menzione speciale per Rosalind e Rober Lutece, personaggi che meriterebbero uno spin-off.