Una profonda cultura umanistica di stampo europeo, una ben radicata ed esplosiva fantasia coltivata fin dall'infanzia – vissuta accanto a un grande bosco abitato anticamente da una tribù indiana e, in epoche più recenti, anche da un mistico eremita… un posto indubbiamente fantastico da esplorare per un bambino – e alcuni tocchi, a volte piacevolmente naïf, sono alla base dell'universo artistico di Jason Van Hollander.

Benché ancora non molto noto in Italia, questo artista di Philadelphia – città in cui è nato nel 1949 – ha collezionato nell'arco della sua carriera di illustratore numerosi e prestigiosi riconoscimenti, tra i quali il Fantasy World Award nel 2000 e 2004 come migliore artista e l'International Horror Guild Award, senza contare che gode della stima e dell'amicizia di personaggi noti nel mondo dell'editoria del calibro di Thomas Ligotti, Jim Turner e Darrel Schweitzer. L'artista è stato affascinato fin dall'infanzia da artisti come Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel, e chi si intende di arti figurative non può non associare al gusto orrorifico e grottesco dei due maestri il tratto che caratterizza i lavori di Jason. Vicino anche alla sensibilità di scrittori come H.P. Lovecraft, l'illustratore statunitense ha saputo dar vita ad un universo fantastico quanto mai colorato e originale, un mondo di favole di qualità ricche di azione e movimento.

L'illustratore sa cogliere spunti e stimoli dalle fonti più diverse: "Adoro Bruegel, ma Walt Disney è per me una fonte importante di ispirazione. L'influenza di Disney ha permeato il mondo della mia infanzia. Oggi la si rifiuta come kitsch ma le va riconosciuto di essere stata la struttura portante dell'immaginario per la mia generazione. Opere come Biancaneve, Pinocchio e la sequenza "Una notte sul Monte Calvo" da Fantasia sono esempi di come si possano fondere mirabilmente il bello e il grottesco".

La fantasia per Jason è sempre stata un rifugio, una sorta di scudo, soprattutto quando cadde vittima di quello squilibrio chimico che viene chiamato agorafobia e che gli rese – e ancora gli rende – difficilissimo allontanarsi dalla propria casa. Gli anni del college, lontano dalla famiglia, si tradussero di conseguenza in un periodo di estrema sofferenza: da un lato l'angoscia provocata dalla malattia e dall'altro l'incomprensione degli insegnanti, pervicacemente indifferenti nei confronti del suo problema, resero quel periodo "una totale perdita di tempo, stretto com'ero tra la mia personale ansia e quella che mi provocavano insegnanti ignoranti e indifferenti che, oltretutto, consideravano i miei lavori di allora solo come orribili pastrocchi". Superando queste difficoltà e la cecità dei primi critici, Van Hollander ha continuato a sperimentare e disegnare e oggi, a 56 anni, può considerarsi un artista 'arrivato'. Nonostante ciò non ha mai smesso di sperimentare, di cercare nuove forme di espressione, ampliando i confini del suo immaginario, continuando a coltivare i suoi sogni, soprattutto quello di poter pubblicare in Europa perché "le case editrici americane sono troppo conservatrici, preoccupate solo di fare mercato. Forse questa tendenza ha in qualche modo influenzato gli illustratori statunitensi che, spesso, sembrano poco propensi a sperimentare nuove forme espressive (con l'esclusione dei fumettisti). Gli editori europei sono più progressisti e ciò spiega perché gli illustratori europei siano più originali e fantasiosi dei loro colleghi americani. "

È anche arrivato a dire che "Il più grande complimento che possano farmi è quando dicono che i miei lavori sembrano appartenere alla scuola europea".

Pubblichiamo di seguito una breve intervista in cui Van Hollander parla di sé e del suo universo artistico.

Quando e perché hai deciso di diventare un illustratore?

Da ragazzo ero affascinato da H.P. Lovecraft e facevo incetta delle pubblicazioni della Arkham House. Le copertine erano assai belle, piene di immagini macabre. Rappresentavano proprio il tipo di immagini che cercavo di realizzare… ma ero solo un adolescente e le mie capacità non erano ancora sufficienti. Con il passare degli anni il mio stile è diventato più personale e più fluido così, nel 1976, decisi di inviare alla Arkham House le fotografie dei miei acquarelli (veramente molto macabri) e dopo poche settimane James Turner, direttore della casa editrice, mi contattò e mi conferì l'incarico di preparare alcune illustrazioni. Fu il coronamento di un sogno.

All'inizio della tua carriera, quindi, sei stato influenzato dall'universo lovecraftiano più di quanto non lo sia ora. Significa che adesso rifiuti Lovecraft come fonte di ispirazione o c'è dell'altro? E perché?

Il percorso lovecraftiano è assai importante. Gli americani usano un termine, "trail-blazer", che indica una persona che è stato un pioniere, un esploratore, un apripista, insomma una guida importante che ha indicato il cammino da percorrere. Lovecraft, ancor più di Poe, è considerato il primo e il più importante precursore della letteratura horror. I suoi drammi (e i suoi mostri) forniscono nutrimento all’immaginazione… ma l’occhio ne è meno affascinato. L’immaginazione è senza limiti, infinita, ma l’occhio non gode degli stessi privilegi. Gli occhi si nutrono di immagini specifiche ed esatte, l’occhio diventa cinico quando le immagini sono troppo ardite e rifiuta qualsiasi immagine che gli appaia troppo assurda.

E’ quindi compito dell’artista il persuadere l’occhio in maniera gentile, prospettando immagini che impegnino l’intelletto e lo spirito. Tutto questo viene raggiunto attraverso una suggestione sottile, attraverso la liricità, l’ironia e perfino l’assurdità. Purtroppo, le illustrazioni lovecraftiane non riescono a raggiungere questo obiettivo.

Sembra che l’influenza da te subita attraverso gli anni sia stata piuttosto diversificata ma quali sono, effettivamente, gli autori che ritieni più importanti per il tuo lavoro?

Scelgo autori orientati verso il visionario o il morboso, i miei interessi intellettuali e morali sono sempre stati strettamente legati a questo tipo di scelte. Questa è la ragione principale che mi porta a dire che le storie scritte da Thomas Ligotti rappresentano l’ideale, per me, e difatti abbiamo collaborato spesso: la sua opera rappresenta un vero tesoro di difficoltà spaziali e architettoniche ed è sintomatica del dilemma dell’esistenza (che rispecchia il triplice aspetto delle mie ansie). Secondo me la visione morale di Ligotti non viene apprezzata nella maniera giusta.

Dovrei poi citare Bruno Schulz, Stefan Grabinski, Mervyn Peake, William Hope Hodgson e, in tempi recenti, China Miéville, oltre alla duratura fascinazione per la poetica di Thomas Lovell Beddoes.

Nei tuoi lavori ho riscontrato un’interessante commistione tra horror e fantasy. Se concordi con questa mia opinione qual è la ragione principale che ti ha portato a questo?

La chiave di lettura sta nel mio desiderio del bello che riesco a sperimentare soltanto attraverso il grottesco, un ponte che unisce le categorie al di là delle loro stesse suddivisioni: grottesca è una smorfia, un’espressione di tensione, come i lineamenti distorti di qualcuno che esprima rabbia, paura o passione. Il grottesco è l’intensa, cristallizzata, poesia dell’angoscia, il distillato più puro che nasce dall’unione tra Bellezza e Ansietà.

Quando progetti la copertina di un libro, o le illustrazioni per un romanzo o un racconto, quali sono gli aspetti della trama che ti attraggono maggiormente?

Come spiegavo recentemente a Matt Cardin (per il quale ho creato illustrazioni per il suo libro Divinations of the Deep) non mi ritengo un vero illustratore perché non accetto commissioni se non sono in sintonia con il lavoro dell’autore. Matt, per fortuna, è uno di quegli autori che rispetto. Quando accetto un incarico la mia prima richiesta è un buon grado di sintonia con la visione creativa dell’autore, una specie di legame di sangue. Dopo aver letto il libro, o la storia, faccio delle ricerche e realizzo dei bozzetti. Non mi affido a soluzioni visuali narrative poiché preferisco creare immagini che siano emblematiche in quanto mi offrono una gamma più vasta di possibilità rispetto al singolo avvenimento, è un metodo che di solito offre un maggiore potenziale alla mia espressività.

Chi è, o sono, l’autore, o gli autori, con i quali preferisci lavorare?

Thomas Ligotti, perché vive in un universo distorto identico al mio. Per la stessa ragione mi piacerebbe creare illustrazioni per qualsiasi cosa scritta da China Miéville. L’obiettivo finale del mio lavoro consiste nel creare splendide immagini di distorsione architettonica, spaziale, emotiva e spirituale.

Nei "Colloqui" con Thomas Ligotti hai parlato a lungo del grottesco: perché pensi che la gente possa essere affascinata dagli aspetti grotteschi della vita? E qual è secondo te la differenza tra grottesco e assurdo?

La gente ha sviluppato con il grottesco un rapporto che appare imperfetto ma che è comunque parte dell’esperienza umana. Credo che il grottesco possa riferirsi all’ansietà e all’angoscia, una sorta di risposta lirica allo sconforto emotivo. L’assurdo, a livello astratto, è invece filosofico e intellettuale.

Sei un uomo di profonda cultura umanistica di stampo europeo: da dove ti proviene questa evidente influenza europea?

Dopo un’intera vita di tempeste emotive mi sento désabusé, disilluso, un termine coniato proprio da voi europei dopo che le guerre mondiali avevano distrutto la vostra patria e le vostre certezze. La maggior parte degli americani vivono, invece, in un bozzolo di certezze che definiscono “sogno americano".