Il 22 novembre 1963 il mondo intero fu scosso da una notizia sconvolgente: a Dallas, in Texas, era stato assassinato il Presidente John Kennedy, uno degli uomini più popolari e amati del mondo. Le televisioni di tutti i paesi dedicarono notiziari e servizi a quell’avvenimento che colpì tutti e lasciò commossi e sbigottiti, lasciando ben poco spazio di interesse ad alte notizie, ed era un peccato, perché quel triste giorno, molto lontano da Dallas, a Oxford, Inghilterra, morì Clive Staples Lewis.
Lewis, che era nato a Belfast nel 1898, era stato uno dei personaggi più interessanti della scena culturale britannica del ‘900, e nell’insieme delle sue opere saggistiche e narrative spicca il notevole contributo dato alla Letteratura del Fantastico, in particolare con il ciclo di Narnia: uno dei più belli e affascinanti tra i mondi fantastici inventati dall’immaginazione degli scrittori.
Narnia, ovvero la terra creata bella e piena di cose armoniose e ben fatte che il suo signore, il grande leone Aslan, lotta per mantenerla tale, per vederla fiorire, contrastando la malvagia invidia della Strega Bianca che vorrebbe essere la padrona del mondo, che vorrebbe addirittura ergersi a divinità, e che sfoga la sua rabbia distruggendo il bello e il buono e cercando di fare del mondo una terra desolata.
Narnia uscì dalla fantasia creatrice di uno scrittore, Clive Staples Lewis, per gli amici Jack, che non volle solo inventare delle belle storie, ma così come aveva fatto il suo caro amico Tolkien, l’Autore di Lo Hobbit e di Il Signore degli Anelli, creò un mondo ricco di dettagli, di particolari, di creature, di luoghi, di odori e di sapori.
Out of the Silent Placet, ovvero Lontano dal pianeta silenzioso era più che un semplice romanzo di fantascienza: in esso venivano sviluppati quei temi filosofici e persino teologici cari agli Inklings – il gruppo di amici che frequentava il pub di Oxford dove amavano ritrovarsi Tolkien e Lewis- e che attraverso una trama avvincente in un contesto di facile fruibilità come un racconto fantascientifico potevano essere divulgati al grande pubblico, fungendo da semplice antidoto a quelle ideologie disumane che Lewis aborriva e desiderava contrastare, e che da tempo avevano trovato anch’esse il modo per essere veicolate a livello popolare.
La fantasia allora, in Lewis come in Tolkien, come in Chesterton o Michael Ende, l’autore di La Storia infinita e Momo, è ben più che «evasione» dalla realtà, una lente deformante con cui ci creiamo delle illusioni,: è invece una vera e propria «visione» della realtà. Una visione ampia, dove lo sguardo sa spingersi oltre i confini spesso angusti dei nostri limiti, delle nostre opinioni. Una visione che ci conduce a comprendere, a trovare le risposte che il nostro cuore insegue. E allora, come i bambini, saremo felici.
2 commenti
Aggiungi un commentoLeggo con molto ritardo, e non ho molto da commentare perché non conosco Lewis, comunque complimenti.
No, non ho gradito Le Cronache di Narnia. Ma un autore di questo calibro va commemorato a priori
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