Come si costruisce un universo con le parole? Lo scrittore di fantascienza Ted Chiang, autore di racconti diventati culto e fonte di ispirazione per il cinema, ne ha parlato con la linguista Vera Gheno durante il Trieste Science+Fiction Festival. Dal rapporto tra linguaggio e mondo fino all’impatto dell’intelligenza artificiale sulla scrittura, il dialogo ha offerto uno sguardo lucido e profondo sul mestiere di inventare realtà attraverso le parole.
Ha iniziato a scrivere da molto giovane, vero?
Sì, avevo appena undici anni, anche se ne avevo quindici quando ho inviato un mio racconto a una rivista. Da più grande mi sono dedicato a una fantascienza più filosofica.
Lei parte quasi sempre da un’idea, che poi si trasforma in storia. Qual è il suo metodo?
Le idee vanno e vengono, ma alcune restano. Quando una di esse continua a tornarmi in mente, capisco che vale la pena dedicarle attenzione. Inizio allora a elaborarla da diversi punti di vista, cercando la domanda filosofica che desidero indagare. Da lì nasce tutto: i miei sentimenti verso quella domanda guidano la forma della storia.
In Storie della tua vita ci sono molti riferimenti biblici — dalla Torre di Babele agli angeli e ai demoni — ma il racconto non ha una valenza religiosa. Perché ha scelto la Bibbia come fonte di ispirazione?
Sono ateo, ma penso che la religione sia un modo interessante per esplorare l’universo, così come la fantascienza ci aiuta a vedere il mondo da prospettive diverse. Di solito la fantascienza guarda al futuro, immaginando cose che non esistono ancora, come le astronavi. Io trovo affascinante invece immaginare mondi diversi anche nel passato.
È mai stato criticato per l’uso dei riferimenti biblici?
In realtà no. Mi aspettavo delle critiche, ma le persone che mi hanno scritto hanno apprezzato il modo in cui li ho trattati. Forse qualcuno non ha gradito, ma non me l’ha detto.
Uno degli aspetti più caratteristici della sua scrittura è la creazione di parole nuove, spesso neologismi pseudo-scientifici. Da dove nasce questa attenzione per il linguaggio?
Mi piace costruire termini che suonano credibili. In inglese il greco antico evoca un senso di intellettualità e autorevolezza scientifica, quindi lo uso spesso. È una radice che rende i concetti più evocativi.
Ha studiato il greco antico?
No, ho studiato il latino. Le parole che creo nascono da ricerche su argomenti specifici: osservo i termini esistenti e cerco di emularne la logica linguistica.
Nei suoi racconti emergono teorie scientifiche del passato, come quella dell’Homunculus o la relatività linguistica. Come sceglie le teorie su cui lavorare?
Molte teorie oggi superate sono state popolari nella fantascienza. Non credo che gli scienziati del passato fossero ingenui: avevano semplicemente una visione limitata. Ed è proprio questo quadro parziale che trovo stimolante come punto di partenza narrativo.
Nel panel di oggi ha parlato anche dell’uso dell’intelligenza artificiale nella scrittura. Pensa che dovremmo preoccuparci di un futuro in cui i libri saranno scritti dall’AI?
Credo che l’AI generativa non possa produrre arte. Scrivere una storia di 10.000 parole significa compiere 10.000 scelte intenzionali. Con l’AI, queste scelte si riducono alle poche parole di un prompt. L’arte è concentrazione di intenzione, e l’AI riduce l’intenzione: per questo è incompatibile con la creazione artistica. Non è un limite tecnico: sarà sempre così.
Ha mai avuto la tentazione di usarla?
Mai. L’idea mi repelle. C’è chi si diverte a sperimentare con l’intelligenza artificiale, ma per me è come un gioco che non mi interessa.
Gli scrittori di fantascienza, almeno in Italia, vengono spesso considerati “di serie B”. Le piace essere definito uno scrittore di fantascienza?
Assolutamente sì. Mi sento a tutti gli effetti uno scrittore di fantascienza.
Se qualcuno non conoscesse ancora il suo lavoro, da dove dovrebbe cominciare?
Direi da Il mercante e il portale dell’alchimista: è forse il mio racconto più accessibile per chi non legge abitualmente fantascienza. Quello a cui sono più affezionato, invece, è Storia della tua vita, perché è il più ambizioso anche dal punto di vista tecnico.
Che effetto le ha fatto vedere Arrival, l’adattamento cinematografico di Denis Villeneuve tratto dal suo racconto?
Mi è piaciuto molto. So che altri scrittori, dopo aver visto le loro opere adattate, hanno dovuto essere diplomatici nei giudizi. Io no — e ne sono felice.








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