J.R.R. Tolkien, ormai lo sappiamo tutti, fu uno dei più insigni, se non il più grande, linguista del suo tempo. Insegnò Inglese Antico alla Oxford University, era assai versato in molte altre lingue compreso il finnico e aveva una conoscenza, a dir poco enciclopedica, degli antichi miti che utilizzò in tutti i suoi libri.

Quanti degli appassionati lettori delle opere tolkieniane si sono resi conto che il nome del suo mondo, la Terra di Mezzo, non è semplicemente un’invenzione dello scrittore?

Potrebbe essere divertente cercare di risalire all’origine etimologica e letteraria di questo luogo che, ormai, fa parte del nostro immaginario.

Il termine Middle Earth (Terra di Mezzo) fa la sua comparsa nella lingua anglosassone già nel 1275, derivante da un termine ancora più arcaico. middle-eard il cui significato si potrebbe tradurre come “recinzione di mezzo”.

Con il trascorrere del tempo la parola, diventata Middangeard, venne usata per indicare il mondo che si riteneva fosse sospeso tra paradiso e inferno e, nell’uso poetico, assunse il significato di regno dei mortali per distinguerlo da quello degli spiriti.

Mentre la Middangeard degli anglosassoni se ne restava tra paradiso e inferno, la Midgard dei loro vicini norreni si sviluppava secondo un diverso disegno.

Secondo la versione in prosa della Edda germanica, dello scriba islandese Snorri Sturluson, Midgard era un’isola circolare sulle cui rive vivevano giganti ostili.

Per poterli tenere a bada, gli dei eressero un anello di montagne partendo dalle sopracciglia di uno dei giganti di nome Ymir, ucciso per errore da loro stessi.

Chiamarono la zona protetta dalle montagne Midgard e esattamente al suo centro costruirono Asgard, la loro roccaforte.

Dal cranio di Ymir gli dei crearono la volta celeste sostenuta da quattro nani, chiamati Nord, Sud, Est e Ovest e le nuvole dai frammenti del cervello del gigante.

Fin qui l’etimologia e il mito di cui Tolkien amava definirsi “succreatore” a chiarimento del ruolo del mitologo inteso come “scopritore di un altro mondo o universo”, ruolo dal quale lui stesso non avrebbe potuto prescindere visto che, per sua stessa affermazione, “un autore non può, come è ovvio, restare del tutto insensibile alla propria esperienza”.