Gli storici hanno ritenuto, per secoli, che Re Artù fosse solo una leggenda, ma l’ultimo film di casa Bruckheimer, diretto da Antoine Fuqua, reclama una connessione storica.

Sembra che Artù sia realmente esistito, il suo nome latino pare sia stato Lucius Artorius Castus, e che sia vissuto intorno al 500 d.C., proprio nel momento in cui la Britannia veniva abbandonata dalle legioni dell’Impero Romano.

In questa versione revisionista Artù è un comandante romano che capeggia i suoi uomini (un gruppo di Sarmati) durante la loro ultima missione in Britannia: salvare una nobile famiglia romana il cui rampollo è un protetto del Papa.

Naturalmente le cose non vanno esattamente come dovrebbero e i Cavalieri, oltre alla famiglia, liberano centinaia di prigionieri Britannici, tra cui Ginevra, guidandoli in una battaglia contro le orde dei Sassoni che nel frattempo stanno invadendo l’isola.

Giudicando dalle prime recensioni arrivate dagli Stati Uniti, sembra che King Arthur non abbia convinto né la critica né il pubblico.

Quello che segue è un condensato tratto da un grande numero di fonti (Splicedwire.com, New York Times, Houston Chronicle, Milwaukee Journal Sentinel, Eclipse Magazine, Hollywood.com, DarkHorizons, Empire Uk) eppure nemmeno una ne ha riportato un giudizio positivo!

A prescindere da uno dei siti nel quale i lettori possono visionare l'indice di gradimento della pellicola grazie, alla lettera, a un “pomodorometro” che ha fatto registrare un poco lusinghiero 75%, la tendenza è tra l’insoddisfazione e la nostalgia.

Il regista Antoine Fuqua (Training Day) e il soggettista David Franzoni (Il Gladiatore) non hanno saputo mantenere desta l’attenzione del pubblico verso questa “vera storia che introduce la leggenda”.

Per la critica la pellicola è superficiale, un film di avventura pieno di pretese e promesse non mantenute; i più teneri parlano di “obiettivo raggiunto”, in quanto adattissimo ai giovanissimi che sono la linfa vitale dei blockbuster estivi... solo che il film è vietato ai minori di 13 anni.

I pochi cavalieri della Tavola Rotonda (be', c’è una tavola rotonda, ma non ci si siedono molto attorno) sono mal tratteggiati e privi di reali motivazioni tranne, forse, quella di portare a termine il prima possibile il loro compito per poi godersi un meritato riposo in patria, e anche quella di Artù (la nostalgia per Roma) è piuttosto capziosa. In fondo fanno ben poco oltre a seguire ciecamente il loro comandante, essere feriti o morire.

Il barbaro re dei Sassoni (Stellan Skarsgård) assomiglia e parla come uno Yeti, quando non borbotta “Bruciate tutto” bofonchia “Ammazzateli tutti”; Merlino (Stephen Dillane) sembra un politico aduso ai doppi giochi, privo completamente di quell'alone, tra il magico e il mistico, a cui siamo stati abituati.

Persino i puristi avrebbero potuto sentirsi intrigati all’idea di una versione “realistica” del mito di Artù, ma privarlo di tutti gli elementi fantastici lo ha ridotto a un film dove c’è troppa azione e poca trama.

Tutti i personaggi risultano monodimensionali e pochissimo caratterizzati. Artù (Clive Owen) e Lancillotto (Ioan Gruffudd) sono belli, non c'è che dire, ma per il resto assolutamente indistinguibili dagli altri Cavalieri della Tavola Rotonda.

Ginevra (Keira Knightley), fa del suo meglio per infondere vita a un personaggio mal concepito, ma tutto quel che può fare è mostrasi il più svestita possibile; del celebre triangolo amoroso non resta niente anche perché Lancillotto sembra più interessato a salvarsi la pelle.

Le scene di battaglia sono impressionanti, soprattutto l’ultima, ma alcuni dei critici vi hanno ravvisato una tecnica alla Peckimpah, con una macchina da presa talmente veloce e agitata da far chiedere a qualcuno degli spettatori presenti in sala “Fermatela, per pietà!”.

La fotografia è ridondante ma allo stesso tempo triste e grigia, la colonna sonora totalmente neutra.

Tirando le somme tre sono le alternative offerte dai vari recensori:

- può essere divertente se si tiene a mente che, nella realizzazione del film, il peso del produttore Bruckheimer è stato schiacciante;

- non fa né bene né male, è il solito film di avventura senza pretese di introspezione psicologica;

- si può benissimo aspettare che lo trasmettano via cavo.

Insomma, “Chi lascia la via vecchia per la nuova... perde Excalibur di Boorman e non sa quel che trova”.