Come si approccia un'antologia come Storie Strane, edita da Del Vecchio Editore, raccolta di racconti dello scrittore danese Villy Sørensen, definito dalla enciclopedia Treccani  "la figura più affascinante del mondo letterario contemporaneo danese."?

Con molta curiosità e aspettative, da appassionati non solo di fantastico ma anche di letteratura.

I racconti dell'antologia, scritta nel 1953 e finora inedita in Italia, introducono in effetti a un mondo che con il fantastico ha molte affinità.

Un mondo fatto di incontri con l'imprevisto e l'inconsueto, dove a situazioni impreviste e imprevedibili i personaggi, inquietati, a volte sconvolti, a volte fuorviati, agiscono in modi ancora più imprevisti e imprevedibili.

Un mondo di vite di santi che sfociano nell'horror (Silvano di Nazareth e Teodora e Teodoro), di fiabe ecologiste ante litteram (L'albero sconosciuto), di ingenui giochi di fanciulli che si trasformano in sanguinose tragedie (Solo una ragazzata), di indagini su misteriosi delitti che fagocitano anche chi deve indagare in una macchina burocratica autoconsistente e autoreferenziale (Il caso di omicidio), di surreali esistenze (Il bambino prodigio), di interessi pubblici che non tengono conto della volontà dei singoli (Il concerto), della bizzarra vita di due gemelli troppo somiglianti (I due gemelli), di una bizzarra invasione di tigri (Le Tigri).

L'antologia è conclusa da una post-fazione in toni molto ironici, Prima dell'uso, scritta nello stile di un bugiardino farmaceutico, che aiuta a comprendere anche le citazioni, le ispirazioni e i rimandi dei racconti, come è giusto che sia in un'antologia che va contestualizzata.

Con Storie Strane mi trovo davanti a un volume che ritengo apprezzabile, di cui consiglio la lettura pur affermando, con assoluta certezza, che non è di mio gusto.

Non mi piace, lo dico apertamente, lo stile dei racconti. Non si tratta della prosa o del linguaggio, visto che sarebbe come giudicare la traduzione che mi sembra ben fatta, anche se ovviamente non posso confrontare con l'originale.

No quello che intendo è che non mi piace lo stile raccontato di Sørensen, quasi distaccato.

Assistiamo, per una precisa scelta stilistica, a un modo di narrare che privilegia la presa di distanza, non fa accadere le cose, ma le descrive. Potreste dirmi che non bisogna essere schiavi del dogma dello "Show Don't Tell", al quale molti si rifanno. 

Personalmente non ne faccio una questione di dogmi, bensì di coinvolgimento nella narrazione.

Lo stile raccontato mi distanzia, non mi fa empatizzare con il mondo narrativo dell'autore e con i personaggi.

Ma ritengo altresì valido quanto scritto, e ritengo che altri potranno trovare questi racconti di proprio gusto, anche nello stile.

Perché consigliarne la lettura? Perché la vita di un lettore onnivoro non deve fermarsi davanti al proprio gusto. Si tratta di una esplorazione necessaria, per conoscere, farsi una opinione su uno scrittore che altri invece hanno apprezzato. Uno dei motivi per i quali si legge talvolta. Non per mirare al proprio diletto, al puro intrattenimento, ma per accrescere la propria conoscenza di altre visioni, di altri modi di raccontare temi universali e inquietanti, ancora vicini alla nostra sensibilità nella loro essenza, anche se non nella forma in cui sono espressi in questa antologia.

Un altro motivo per leggere l'antologia è la cura con la quale è pubblicata. Più che apprezzabile è infatti la qualità del volume cartaceo, validissimo il corredo critico della già citata post-fazione. Plaudo alla scelta, compiuta ormai da tanti editori ma non per questo meno apprezzabile, di pubblicare il nome del traduttore in copertina. Un giusto riconoscimento per un ottimo lavoro.