Grafton, uno scrittore e viaggiatore americano specializzato in guide turistiche, si reca in uno stato dell’Est Europa non meglio identificato, noto per la sua chiusura al mondo esterno e per una burocrazia opprimente. Già al suo arrivo, viene fermato dalla Polizia di frontiera, e il suo viaggio prende una piega surreale: il passaporto viene trattenuto, è posto sotto sorveglianza e viene coinvolto in una rete di spionaggio, stregoneria e culti locali.

Nel paese — che rimanda alle atmosfere kafkiane e ai regimi autoritari dell’ex blocco sovietico — accadono cose inspiegabili: case stregate, apparizioni, segreti governativi e forze soprannaturali si intrecciano con una narrazione in prima persona che non sempre risulta affidabile.

In La terra al di là (The Land Across), Gene Wolfe catapulta il suo protagonista, al quale affida il ruolo di narratore inaffidabile, in un luogo i cui confini da fisici diventano metafisici. Non ha veramente importanza che si tratti di un paese immaginario, perché, specialmente con il monito dell'ultima pagina, Wolfe ci ricorda quanto sia sottile il confine che possa separare una democrazia da una dittatura se i suoi cittadini non sono vigili. Un monito del 2013, che letto oggi, mentre i notiziari riportano le notizie dagli USA, suona tristemente profetico.

Grafton è in fondo uno statunitense – un "amerikano" viene definito dai locali – un po' ingenuo, arrivato nella "terra al di là" per scrivere razionalmente una guida turistica, che si trova di fronte a diverse esperienze fuori dal suo vissuto: uno stato in cui il mistero e soprannaturale sono quotidianità, nel quale lo Stato esercita controllo e sorveglianza in ogni manifestazione della vita dei suoi cittadini.

Come narratore della sua esperienza Grafton interpreta con fallacia le sue esperienze come paradossali e senza senso, ma gradualmente inizia non solo a comprenderle, ma anche a confrontare il suo paese di origine con quello che lo ospita, scoprendo che forse non sono così diversi come credeva, mettendo in dubbio i suoi preconcetti. Uno dei principali dubbi è su quanto gli abitanti di questa terra straniera siano veramente "altro" rispetto a se stesso. 

Wolfe usa la narrazione in prima persona, volutamente ellittica e talvolta inaffidabile, con uno stile sintetico e sobrio, ricco di sottotesti, con un struttura narrativa che richiama il romanzo di spionaggio, ma contaminato da weird fiction e gotico moderno, restituendo atmosfere oniriche e ambigue, quasi allegoriche.

Ricco il parco di incontri e personaggi che Grafton incontra nel suo percorso. A cominciare dall'ambigua famiglia che lo ospita, che sarà tanta parte del mistero che lo avvolgerà, per continuare con biechi agenti governativi, stregoni, spie, creature oscure. Tutte figure archetipiche e simboliche, sulle quali aleggia un'oscura entità locale, elemento sovrannaturale ricorrente. Tutto contribuise alla costruzione di una moderna mitologia, nella quale personaggi ma anche eventi possono avere una funzione simbolica oltre che narrativa.

Sotto l'apparenza di un romanzo di viaggi e di avventure, Wolfe nasconde spesso dettagli chiave molte volte fuori scena, negli interstizi tra le pagine, o in passaggi rapidi. Impone perciò una lettura attenta e non distratta, perché tutto, dai nomi alle apparenti incongruenze, alle esperienze oniriche, ha un significato o una doppia lettura, e molte volte il senso più profondo di alcuni passaggi si chiarisce solo a posteriori.

Una lettura impegnativa, ma appagante e gratificante.