Andò all’altare e raccolse la piccola mummia che vi aveva lasciato sopra, fra i fumi di mirra e incenso. Se la strinse al petto per un momento.

La esaminò con sguardo critico: il bendaggio reggeva bene gli amuleti e le erbe profumate che aveva infilato fra gli strati.

Recuperò due piccole sfere di corniola da una ciotola e le sistemò nello spazio in cui dovevano esserci gli occhi. Usò un carboncino per ricreare il naso sul muso fasciato.

Le bende che aveva usato erano imbevute di oli che lei stessa aveva estratto, con molta fatica, da semi, radici e piante simili a quelle che aveva appena messo a seccare.

Giudicando il lavoro finito, Pasht prese il corpicino imbalsamato e scese i gradini che si inoltravano nell'Ultima Tana.

I gatti la seguirono, in silenziosa processione, attraversando lunghissimi corridoi che curvavano all'improvviso in bizzarre angolature. La maggior parte delle pareti era stata scavata per ricavare le Ultime Tane dei felini imbalsamati.

Alcuni dei suoi fratelli più impazienti la precedettero nel cunicolo tenendo le code alte, quindi si fermarono davanti a una nicchia nel muro.

Pasht depose il gatto all'interno con deferenza e pronunciò una preghiera che le era stata insegnata, in un passato lontano, da una umana che, moltissimo tempo prima, l’aveva raccolta nella savana e portata a vivere in quel luogo. Aveva dimenticato il suo nome ma ricordava come l’avesse preparata a occuparsi dei morti, spiegandole quanto fosse importante proteggerli affinché le loro anime continuassero a vivere.

Pasht ricordava che anche quell'umana era morta, molto tempo prima, proprio come tutti gli altri che avevano vissuto con loro in quella grande tana gialla sottoterra. Soltanto Pasht, con i suoi fratelli e sorelle, era rimasta a occuparsi delle Ultime Tane.

Si accorse che qualcosa non andava prima che i suoi sensi glielo dicessero.

Stavano facendo ritorno alla sala dalle colonne decorate quando i suoi fratelli e sorelle si immobilizzarono, volgendo le orecchie al corridoio di fronte. Alcuni inarcarono le schiene e arruffarono la pelliccia, altri agitarono nervosamente le code soffiando contro il buio.

Fu allora che Pasht vide la larga macchia di luce ondeggiare sul soffitto della catacomba, accompagnata dall'eco dello scricchiolio di sandali sulle pietre. Subito dopo la raggiunse lo stesso tanfo che aveva avvertito in superficie al passaggio di quegli umani.

I gatti fuggirono nei loro nascondigli ma, prima che lei potesse imitarli, restò abbagliata dalla torcia che apparve da dietro una curva.

Si immobilizzò, stordita.

Quando recuperò la vista emise uno gnaulio spaventato.

Davanti a lei c’erano cinque uomini. Sembravano sorpresi di vederla lì almeno quanto lo era lei di vedere loro.

Avevano le braccia colme di mummie di gatto che infilavano dentro delle sacche.

Ne avevano riempite parecchie. Non sapeva quante fossero, ma si accorse che gli scaffali di pietra alle loro spalle erano stati completamente svuotati.

Pasht spiccò un balzo atterrando su due uomini, artigliando furiosamente l’aria nel tentativo di strappare loro le borse.

Ne ferì uno al volto e affondò i denti nel collo del secondo mentre gli altri si gettavano su di lei. La strapparono via con forza e un fiotto di sangue spruzzò dalla giugulare recisa, imbrattando la parete.

Pasht lottò soffiando e menando zampate.

Gli uomini lasciarono cadere le torce nell'urgenza di difendersi. La catacomba piombò in un’oscurità resa soffocante dai suoni dello scontro.

Pasht sentì qualcuno afferrarle i capelli e poi tirarle indietro la testa con violenza per impedirle di mordere ancora.

Si contorse e scalciò verso l’alto, avvolgendo le gambe intorno al collo di quello che le bloccava il lato destro del corpo.

«Miiiiia!» ruggì.

Udì il sonoro schiocco del collo rotto e lasciò andare l’uomo che crollò al suolo.

Puntò i piedi sul cadavere per darsi lo slancio e saltare ancora ma un pugno nello stomaco le tolse tutto il fiato, facendole esplodere tremende fitte nell'addome. Mentre ricadeva all’indietro sentì due braccia avvolgerla strettamente.

Una pioggia di colpi la raggiunse da ogni direzione ma ci vollero gli sforzi di tutti gli uomini ancora vivi per immobilizzarla definitivamente.

«Miiiiia… Ffffamiglia!» ripeté, annaspando per il dolore e la rabbia.

«Per le palle di Mot!» proruppe una voce ansante. «È un demone o una donna?»

«Non ho neanche capito cosa sia successo. Di certo è un demone!» rispose un’altra voce, soffocata.

«Accendete una torcia, allora. Guardiamo questo mostro negli occhi!» ordinò un terzo uomo.

Pasht socchiuse gli occhi per la luminosità improvvisa.

«È una leonessa!» esclamò il gigante che la teneva stretta.

«Per Mot! Vuoi guardarla meglio, Attis? È ricoperta di ocra.»

«Ha gli occhi gialli e i denti appuntiti… Guarda cos’ha fatto al povero Marqo!» replicò quello.