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La leggenda della mandragola, secondo la versione che ce ne offre Hanns Heinz Ewers in questo romanzo, prevede che coloro che le sono vicini godano dapprima di onori, successo e fortuna, per essere poi spezzati dalla sua maledizione e finire i loro giorni nella miseria e nella disperazione. La radice dalla bizzarra forma umana, scrive Ewers, “portava fortuna ai processi e in guerra, era un amuleto contro la stregoneria e attirava in casa molta ricchezza. Rendeva anche irresistibile colui che la possedeva, era ottima per prevedere il futuro e conferiva fascino alle donne, e in più donava loro fertilità e facili travagli. Ma sempre e comunque portava con sé dolore e sofferenze. Gli altri componenti della famiglia venivano perseguitati dalla sventura, e il suo proprietario cadeva preda dell’avidità, della lussuria e di ogni più criminosa tentazione. Alla fine veniva annientato e sprofondava all’inferno”.

Dà una certa inquietudine osservare che una formula come questa, intrisa com’è di fatalismo e di superstizione, si applica tragicamente anche al suo autore. Attraverso Alraune Ewers conobbe un successo eguagliato da pochi scrittori a lui contemporanei, affermandosi come uno dei protagonisti del fantastico tedesco degli anni Dieci e Venti del Novecento, la punta di diamante di una triade completata da Strobl e Meyrink, che, tuttavia, non raggiunsero mai la sua popolarità, nemmeno con opere fortunate come Il Golem (1913-14 in rivista, 1915 in volume) che in fondo, per i suoi contenuti esoterici e la rarefazione della sua scrittura, rimase sempre una lettura d’élite. Tra gli anni Venti e i Trenta la fama di Ewers, accresciuta da una vita avventurosa e da una vena eclettica che lo portò a primeggiare in molteplici ambiti, da quello della scrittura di viaggio a quello teatrale a quello cinematografico, lo proiettò all’attenzione dei movimenti della destra reazionaria e lo sospinse tra braccia del nazionalsocialismo, alla ricerca – soprattutto nella sua prima fase – di cantori e di vati che sottraessero la letteratura all’egemonia delle classi intellettuali borghesi e di sinistra.

Ewers era un complice ideale a causa di una certa vena “morbida” del suo carattere che lo rendeva sensibile alle lusinghe di ogni natura (“L’irresponsabile”, lo definisce un critico nel titolo della

biografia più ricca e documentata a lui dedicata1), del suo nazionalismo, del suo antiintellettualismo, della sua superficiale considerazione dei meccanismi sociali, della sua vena esoterica, del suo misoginismo e di una visione della realtà in cui dominano forze occulte legate al sangue, alla razza, alla terra (tutto ciò aleggia, anche se non prende una forma precisa, anche in Alraune). Impossibile e inutile tacere l’appartenenza di Ewers a un fronte elitaristico nelle scelte letterarie e reazionario sul piano del pensiero, la sua correità negli anni di amicizia con Hitler, di ascesa della sua stella all’interno del Reich a venire, quando questo era ancora un progetto nebuloso e informe, culminata nella sua elezione a biografo ufficiale di uno degli “eroi” di cui il nazionalsocialismo aveva bisogno e che fu individuato a tavolino nella figura di Horst Wessel, un

simpatizzante della prima ora del movimento, membro delle SA dal 1925, morto nel 1930 in circostanze mai del tutto chiarite2.

Il romanzo Horst Wessel. Ein deutsches Schicksal (1932), tuttavia, segnò anche l’inizio della fine delle fortune di Ewers. Troppo documentato, troppo poco agiografico (del protagonista Ewers ricostruì le frequentazioni equivoche, il profilo sordido di uomo dei bassifondi, convivente con una ex-prostituta), troppo poco antisemita (un “limite”, questo, che il nazismo non poteva perdonargli), il romanzo conobbe anche una versione cinematografica nel 1933, di cui Ewers firmò la sceneggiatura: Goebbels, tuttavia, ne vietò l’uscita e il film poté circolare soltanto in una versione rimaneggiata e tagliata, con il titolo trasformato in Hans Westmar.

E infine, e proprio a causa di Alraune e delle altre opere “decadenti”, fantastiche, morbose, difformi rispetto all’agghiacciante modello di “sanità tedesca” imposto dal regime, Ewers, colpito dal bando che gli vietava le pubblicazioni (la prima opera a cadere sotto il maglio della censura fu proprio Horst Wessel; la terza fu Alraune), andò incontro alla fine rovinosa di una parabola che, negli ultimi anni, lo vide trascinarsi verso la miseria e la morte.

1 Wilfried Kugel, Alles schob man ihm zu, er war … der Unverantwortliche: das Leben des Hanns Heinz Ewers, Grupello, Düsseldorf 1992.

2 Il “mito del martirio” costruito dalla propaganda nazista lo volle caduto in un agguato dei comunisti. In realtà Wessel fu ucciso dall’ex-amico della compagna, uno sfruttatore di prostitute, probabilmente per futili motivi (cfr. Guy Durandin, Il grande imbroglio. Le menzogne della propaganda e della pubblicità, trad. di Raffaella Cassano, Dedalo, Bari 1984, p. 171).