È raro che una riedizione faccia notizia. Ma non impossibile. Succede ad esempio che la nuova edizione di La Casa delle Catene, quarto volume del Libro Malazan dei Caduti, contenga oltre una decina di pagine in più rispetto alle precedenti edizioni. Font aumentato? Interlinea ampliato? Strategie di seconda mano per accalappiare vecchi e nuovi fan di Steven Erikson? Oppure un editore – la rinata Armenia – che decide di riprendere in mano la traduzione di una saga poderosa? I lettori di Malazan hanno spesso lamentato la presenza di refusi e incoerenze, dovuti all’aver affidato la traduzione dei dieci volumi a troppe mani. Dall’altro lato, occorre dire che Malazan tocca inediti vertici di complessità. Si incappa in nomi enigmatici o in passaggi criptici il cui senso viene svelato solo centinaia di pagine dopo, se non a distanza di interi libri. Impossibile azzeccare la sfumatura lessicale più corretta in italiano senza conoscere il prosieguo della vicenda.

Rivedere la traduzione a partire da La casa delle catene ha reso giustizia allo stile di Erikson, tradotto talora in maniera sincopata e per sottrazioni aggettivali, scagionando l’autore dall’accusa di essere avaro di dettagli nelle descrizioni. Si sono inoltre potuti sciogliere alcuni equivoci, come nella lunga sequenza di Karsa al Passo delle Ossa, dove gli steps non sono “impronte”, ma “gradini”. Anche alcuni titoli e nomi sono stati precisati (Burned Tears > “Lacrime Riarse”, piuttosto che “Bruciate”; Lord of Tears > “Signore delle Lacrime”, piuttosto che “della Tragedia”). Un lavoro simile si è condotto con le espressioni idiomatiche. In un universo regolato da un sistema religioso alieno al cristianesimo suonavano fuori luogo esclamazioni come “che peccato!”. Viceversa, espressioni neutrali come “che fortuna!” o “che sfortuna!” sono state ritradotte seguendo più fedelmente il testo inglese, là dove Erikson conia neologismi riferiti alle divinità del pantheon Malazan (“il Signore che spinge” = cattiva sorte; “la Signora che tira” = buona sorte).

Non solo. È noto che Steven Erikson, prima di dedicarsi a tempo pieno alla narrativa, abbia svolto attività accademica e di ricerca su campo quale antropologo e archeologo. Questo inconsueto background permea ogni sua pagina, disseminandole di riferimenti più o meno espliciti. Nel sesto volume, ad esempio, alcuni personaggi scoprono in un sotterraneo vasi di miele vecchi di migliaia d’anni e lo adoperano per rifocillarsi. Un episodio che sembra incrinare qualsivoglia verosimiglianza… se non si possiedono alcune nozioni di egittologia. Nel 1905 infatti, durante la storica campagna di scavi presso la Valle dei Re, Theodore M. Davis scoprì una giara sigillata, vecchia di 3.300 anni, apparentemente colma di miele ben conservato – sorprendenti le proprietà asettiche del “divino nettare”! Occorre quindi stare in guardia, perché l’archeologo Erikson può nascondere insospettabili riferimenti e chiavi di lettura dietro a dettagli apparentemente insignificanti. Chiavi di letture che si possono smarrire nella traduzione.

Giocatrici di astragali, terracotta greco-ellenistica proveniente da Capua, 340-330 a.C. ca (Londra, British Museum)
Giocatrici di astragali, terracotta greco-ellenistica proveniente da Capua, 340-330 a.C. ca (Londra, British Museum)

Un buon esempio è il termine knuckle. Lo scrittore canadese lo usa per riferirsi a un gioco popolarissimo tra i soldati Malazan. Esso si basa sul lancio dei knuckles – ossa di piccole dimensioni, quali tarsi o vertebre – e sul punteggio che si guadagna a seconda del lato su cui poi atterrano, e delle combinazioni che si configurano. Non si tratta però di un’invenzione di Erikson. Il gioco degli “astragali” (gr. astràgaloi), o “aliossi” (volg. “giocare a li ossi”) rappresenta la versione primitiva dei dadi – sì, perfino i giochi hanno degli antenati. Difficile dire dove nacque. Se ne parla già nei poemi omerici (Iliade XXIII) e Sofocle lo fa risalire alla figura mitica di Palamede. Le testimonianze dell’età classica ci raccontano che era praticato a ogni età e diffuso fra tutti gli strati sociali, e probabilmente fu esportato dai soldati oltre i confini del Mediterraneo. Tuttora, con il nome di Shagai, è così popolare nell’Asia centrale che la forma dell’astragalo – sinonimo di buona fortuna – ricorre in molti oggetti quotidiani, quando non monumenti, come in varie città della Mongolia, del Kazakistan e del Kyrgyzstan. Ma innumerevoli sono state nel tempo le variazioni e trasmutazioni del gioco: tali tra i latini, le cinque pietre nell’Italia moderna, gobs in Irlanda, Chamesh Avanim in Israele, beş taş in Turchia, gonggi in Corea, taba in Argentina, jacks negli Stati Uniti. Insomma, possiamo considerarlo a buon diritto il gioco più antico e più diffuso al mondo.

L’astragalo simbolo di buona fortuna. Monumento ad Atyrau (Kazakistan)
L’astragalo simbolo di buona fortuna. Monumento ad Atyrau (Kazakistan)

Erikson integra il gioco degli astragali nei propri romanzi, arricchendolo di numerosi significati che però… scompaiono nel momento in cui, per facilitare il lettore, si preferisce tradurlo con il gioco dei dadi. A differenza dei loro più raffinati discendenti, ad esempio, gli astragali hanno facce difformi e irregolari, così che il baro professionista provvedeva a limarle affinché atterrassero nella combinazione più congeniale. Ecco cosa significa «essere un astragalo limato», espressione colloquiale che troveremo frequentemente in bocca ai militari Malazan. Aver recuperato il preciso riferimento agli astragali potrebbe apparire niente più che una curiosità. E tuttavia siamo ancora al livello più superficiale: giocare con le ossa, nel mondo dell’antropologia, ha un significato molto più profondo. Ma per capirne l’importanza occorre fare una digressione.

Il mondo di Malazan non conosce né il progresso né la provvidenza. La storia non è condotta dagli sforzi degli uomini, né dalla volontà dagli dei, ma da due forze quasi ossessivamente presenti: la Sorte e la Morte. L’universo Malazan è plasmato dai rovesci della Fortuna e dall’ineluttabilità del tempo. I suoi continenti sono composti da stratificazioni di culture scomparse, sopra cui vanno ad aggregarsi le più giovani, che – pur generando a loro volta nuove razze e culture – presto o tardi seguiranno fatalmente il destino delle civiltà che le hanno precedute. Non sorprende dunque che in Malazan si incontrino una quantità esorbitante di tumuli, di mausolei, di tell, quando non ciclopiche scalinate di ossa, o intere montagne, forse persino continenti fatti di cadaveri. Erikson sembra portare alle estreme conseguenze la cupa meditazione dell’Amleto di Shakespeare sulla tomba di Yorick (V, I). Se è possibile che il cadavere di Alessandro Magno – tornato a essere terra – sia oggi il tappo di creta che sigilla un barile di birra, questo non potrebbe valere per ogni singolo granello di polvere? Cos’altro è, il suolo apparentemente insignificante che calpestiamo ogni giorno, se non il distillato di infinite vite e civiltà tornate al nulla? In Malazan vedremo spesso creature millenarie tornare in vita, perché il passato, per quanto a fondo sepolto, si rifiuta di scomparire senza lasciare traccia. Non può sfuggire alla morte, ma si rifiuta di essere dimenticato.

Fin dal primo libro incontreremo perfino un intero popolo di guerrieri non-morti, ridotti ormai a mummie semoventi, i cui sciamani sono chiamati bonecaster – letteralmente “lanciatori d’ossa”. In italiano sono stati tradotti con “Divinatori”, compromesso che lascia intuire la capacità di leggere il futuro, ma che perde il riferimento agli strumenti adoperati per la divinazione: le ossa. Proprio come avviene, da sempre e ovunque, nelle culture sciamaniche sviluppatesi a ogni latitudine del nostro pianeta. Torniamo così ai nostri knuckles. Lanciare le ossa può essere un gioco per militari annoiati, ma anche un atto di chiaroveggenza, perché la Sorte governa tanto il gioco quanto il destino. E in un mondo governato da una concezione ciclica del tempo, il futuro può essere conosciuto solo con le lenti del passato – ossia attraverso i resti dei morti. Ora, se il gioco degli astragali e la divinazione con le ossa sono così affini, le loro funzioni non potrebbero sconfinare l’una nell’altro? Improvvisamente diventa plausibile che un soldato Malazan assai dotato nel gioco d’azzardo si scopra dotato di capacità oracolari. Se poi questo soldato è membro dell’armata denominata Bonehunters – i “Cacciatori di Ossa” – la sottile tramatura linguistica dello scrittore archeologo si svela sempre più precisamente. Ma non finisce qui. Perché proprio ne La Casa delle Catene, il volume appena rieditato, entra in scena un personaggio che si presenta proprio come Knuckles… “Astragali”, ancora una volta. E chi può avere l’ardire di chiamare se stesso come l’Ancestrale Gioco della Fortuna?

Questa fitta tessitura di rimandi testuali, evidente per il lettore inglese, rischiava di restare completamente opaca per il lettore italiano. Sfumature, d’accordo. Ma un’opera della levatura del Libro Malazan dei Caduti è fatta anche, se non soprattutto, di sfumature.

Nota: È possibile segnalare refusi negli altri volumi all'indirizzo kaminsod219@gmail.com