ma cosa raccontare e dove andare? - forse di mio nonno partito giovane a fare il vagabondo perché “se non conosci il mondo non te lo puoi fare amico” mio nonno che ogni tanto tornava e parlava di abeti saggi e giganteschi di elfi dalla pelle come la neve al crepuscolo di gnomi antipatici e sporchi come talpe (odiava gli gnomi) di laghi grandi cento volte il Lago dei Sassi di come ogni volta diventava sempre più saggio e di come rimaneva sempre di meno a casa “mi pare che ogni via ne apra un’altra e se non mi sbrigo non vedrò mai nulla” di come un giorno disse a mio padre che ancora dormiva “io vado a morire” e mio padre che credeva che fosse un sogno e poi si svegliò e non lo vide lo trovarono i contadini morto nella pianura delle querce azzurre là disteso per terra con le mani che stringevano l’erba come se la volesse portare nel suo nuovo viaggio e tutti tutti lo dissero che le radici degli alberi avevano crepato la terra perché avrebbero voluto abbracciarlo lui che aveva imparato a farsi amico il mondo e andarono al villaggio a prendere il necessario per seppellirlo lì dove lui era voluto morire ma quando tornarono non c’era più e la terra se l’era già preso - la sentiva lì, la parola, pronta a sgorgare col suo fascino e il suo orrore, con la sua forza generante e la sua sterile anima

e almeno una parola avrebbe dovuto dire.

Succede, a volte, e uno nemmeno se ne era accorto, che si seguano energie invisibili, che qualcosa attiri verso un centro, un piccolissimo e anonimo centro di gravità tra tanti e infiniti e multipli, senza che si sia deciso nulla prima, senza che il destino o un dio sia intervenuto, succede, a volte, e non è nemmeno un caso, ma succede, a volte, e uno nemmeno se ne era accorto, che ci si incontri; ci si incontri in quel piccolo punto del mondo. E numerose persone vanno verso quel punto a cercare l’incontro, a rispondere all’incontro, a creare l’incontro. Ma mai a dominarlo. E le vie diventano infinite. Come in un sogno. Succede, e uno nemmeno se ne era accorto.

Dalla corteccia corrugata di un grosso abete emerse una figura a capo chino, guardava dove metteva i piedi; alzò un attimo la testa, vide i due e rimase fermo, gli occhi fissi prima sulla ragazza e poi, a lungo, sull’elfo. Vide sua sorella a pochi passi dalla riva, dal nemico - disarmato, completamente nudo, era il momento, salvare la sorella e uccidere il nemico - ed ebbe un irrigidimento, piccolissime contrazioni dei bicipiti e degli avambracci. Era il momento.

E poi, non si sa come, ma fu così.

Fece per prendere il suo arco, lui che era il migliore arciere della sua squadra, “meglio di un elfo”, e nemmeno il tempo di preparare la freccia da scagliare, prendere la mira - era nudo in acqua, l’arco sulla riva, lontano, troppo lontano - e lasciare il dardo alla violenza della corda, ma tutto finì ancor prima di avere inizio, e lui lì, a boccheggiare nel sangue, con una freccia conficcata nel cuore, un cuore spaccato a metà o forse esploso, e nemmeno se era accorto, non aveva avuto il tempo, e quell’elfo - quanto era bello - che scivolava con un guizzo fuori dell’acqua, senza fare rumore, e si adagiava nell’erba - e l’erba lo accolse senza fargli prendere alcun colpo - impugnava l’arma, e già sapeva dove lanciare - gli elfi sono veramente i migliori con l’arco - e non aveva preso nemmeno la mira, tutto era avvenuto fluente, come un unico gesto silenzioso e lui lì, a boccheggiare nel sangue, con una freccia nel cuore, un cuore spaccato a metà o forse esploso, le gambe che si piegano, tentano un ultimo sostegno di vita, si piegano e tutto pare una danza, quasi che sia perfino bello morire così, con una freccia nel cuore e il sangue che ti soffoca - fu così - nemmeno una parola per la propria sorella, solo uno sguardo vitreo - quell’immagine per l’eternità - e lei, travolta, gli attimi che poco prima si dilungavano e si tendevano ora si accavallano si susseguono si colpiscono si sovrappongono si sorpassano si ripresentano scompaiono ritornano si rompono si ricompongono mescolati e amore e odio e dolore e nemmeno li può separare perché è tutto troppo vicino e non sa più dove guardare, se l’elfo che ama e odia, se il fratello che fu, che è corpo trafitto e sporco di terra sangue e saliva, e quell’essere dalla pelle olivastra, dai capelli grigio-blu, dallo sguardo che penetra la notte, che era fatto per l’amore - tutti lo amavano - e cercava l’amore e uno non se ne era nemmeno accorto quanti passi aveva fatto e avevano fatto gli altri e come e dove e quando e perché e ogni domanda senza risposta, avviene così che uno cerca l’incontro e poi qualcuno o qualcosa di viscido e unto - qualcosa impone fini e obiettivi ed è come una voragine, un’enorme vortice che porta all’abisso e risucchia tutto, ogni cosa è canalizzata, inglobata, ma chi?, la società, il dominio, l’orrore del potere, ma chi! - lo ha fatto nemico e gli ha fatto dei nemici, ed è così

che uno cerca l’amore e, nemmeno se ne era accorto, ha già scagliato la freccia.