«La vita di Mareq Tha, Prima Vigilante Militare del Matriarcato di Krune, è fatta di certezze. Su tutte, la superiorità delle donne sugli uomini, sancita dalla magia che le prime possiedono e di cui si servono per governare i secondi. Tutte queste certezze vengono meno quando si imbatte in Jaat, uno straniero capace di resistere agli incantesimi delle donne e dotato anch'egli di magia.»

«Costretta suo malgrado a seguirlo, braccata da quelle che un tempo definiva sorelle, Mareq Tha intraprende un lungo viaggio oltre i confini del proprio regno, sino alle terre in cui Jaat vive. Nel corso della loro epopea, i due affronteranno creature mostruose, s’imbatteranno in popoli in guerra, fino a scoprire un segreto a lungo nascosto che rischia di cambiare per sempre la vita di Mareq Tha e di tutti gli abitanti del Matriarcato.»

Il Segreto di Krune di Michele Giannone (Ragusa, 1971) è un romanzo fantasy d’ampio respiro. Un esordio complesso e sfaccettato, per molti versi maturo e profondo, che ben si inserisce nel panorama fantasy italiano sempre più ricco e diversificato. L’opera di per sé è un fantasy dalla struttura classica, epico e d’avventura, di magia, e di viaggio. Un volume, tuttavia, dove a farla da padrone sono i personaggi e i loro multiformi caratteri. Dunque, non solo un romanzo dalla trama e dagli intrecci mozzafiato, ma un romanzo introspettivo e per molti versi intimista.

Probabilmente il Segreto di Krune colpisce (e colpirà) il lettore per una certa linearità degli eventi: un ripetersi di cause ed effetti che tuttavia sfociano in un qualcosa di assolutamente originale. Come originale è lo stile dell’autore e la scelta di narrare tutta la vicenda per mezzo di una protagonista femminile, un’eroina a tutto tondo, la Prima Vigilante Militare di Sazzal, Mareq Tha.

Dicevamo dello stile. L’impatto col primo capitolo è certamente complesso per il lettore. Lo stile di Michele Giannone è asciutto, preciso, privo di eccessi e di voli pindarici. Quasi maneggiasse un bisturi, invece di una ben più poetica penna d’oca, disseziona con cura estrema ogni passaggio, ogni pensiero, ogni immagine. Ne emerge un impianto stilistico cristallino. Nulla è superfluo, tutto permette al lettore di farsi un’immagine propria del mondo di Krune, senza fastidiose mancanze o, peggio, trasbordanti eccessi. E a lungo andare, la scelta dell’autore viene premiata. E’ un immergersi lento nel mondo che Giannone ha creato, senza strafare, senza esagerazioni, siamo guidati ma non spinti, accompagnati ma non forzati nell’entrare a Krune.

Un mondo che, c’è da dirlo, lancia parecchie sfide all’ignaro lettore. Prima di tutto, come già accennato, la scelta di narrare con gli occhi di Mareq Tha, ma ancora di più, l’idea di un matriarcato dove non solo i ruoli canonici (uomo - donna) sono invertiti, ma addirittura portati all’estremo. Da qui nascono tutta una serie di confronti con la narrativa che di questi “capovolgimenti” ha fatto scuola. L’idea del matriarcato, per quanto nuova in un narratore italiano, in passato ha difatti trovato casa all’estero. I nomi degli autori e delle autrici che si sono dedicati a tali sviluppi si sprecano, ed evitiamo di citarli concentrandoci piuttosto sulle scelte particolari di Giannone.

La società ideata dall’autore è fortemente militarizzata. Questo è il senso ultimo che si estrapola della lettura di quasi 500 pagine. Una società rigidamente dominata dalle Matriarche, dove ogni donna ha un ruolo immutabile: un posto nella collettività che, pare, nessuna mai si sognerebbe di violare. Da un lato questa scelta dà l’idea di una certa rigidità di impianto. Più che una società con i suoi pro e contro, con i suoi scontri interni, e quindi con una sua vitalità che oltrepassa le indeformabili imposizioni di chicchessia, ci si muove quasi troppo speditamente fra cristalline e incrollabili certezze. Le Nutrici saranno Nutrici. Le Vigilanti saranno Vigilanti (uno dei capitoli più belli è senza dubbio dove ci viene mostrata questa scelta, il capitolo quarto: Dubbi). Gli uomini saranno schiavi e strumenti di mera riproduzione (altro punto che Giannone lascia sfumato. Dove, crediamo, si sarebbe anche potuto approfondire un discorso narrativo come l’indagine circa le scelte sessuali di una società fortemente al femminile. Impulso che l’autore stempera e lascia all’immaginazione del lettore).

Nonostante questa vera e propria cristallizzazione sociale, il Matriarcato svolge molto bene il ruolo per cui è stato fondato: è un ottimo scenario in cui far muovere Mareq Tha, la nostra protagonista. Una delle eroine meglio caratterizzante della fantasy italiana o, se vogliamo, una delle “meglio indagate”. Il merito di Giannone è di aver regalato al lettore un personaggio in continua mutazione, vivo, che parla con se stesso, in continua crescita. Crescita che avviene fin quasi dalle prime battute del libro, e che si accentua proprio con l’incontro del co-protagonista de Il Segreto di Krune, l’enigmatico Jaat. Di Jaat per molte pagine non sappiamo assolutamente nulla, tranne due cose davvero essenziali: possiede la magia (caratteristica che nel Matriarcato è esclusivamente femminile) e, nota fisica curiosa, ha due penetranti occhi rossi. Una sfida cui Mareq Tha tenta di rispondere, uno scossone alle proprie certezze che la porterà ad attraversare il suo sconfinato mondo, a rivedere le proprie convinzioni, e a scoprire sentimenti che nemmeno lei, forse, sapeva di avere.

Il libro di Giannone si presta però a molti altri spunti. La storia di Jaat, sebbene vissuta con la mente e con il cuore di Mareq Tha, è ben presente per tutto il libro. Un volume che si lascia leggere speditamente per oltre 300 pagine e che intrappola il lettore col curioso gioco di richiami e rimandi: Mareq Tha – Jaat – enigmi di Jaat. Enigmi che riguardano una creatura leggendaria, l’Unicorno, che in qualche modo ha legato la sua vita a quella del nostro sfuggente comprimario. Questo è uno dei punti più alti dell’opera di Michele Giannone, un guizzo piacevolissimo, elettrizzante, una trovata che tuttavia non viene sfruttata al massimo delle sue potenzialità. L’idea dell’Unicorno, della sua magia, la bellezza di un incontro tra i due, è rimandata. Resta un senso di piacevole incompiutezza. Tutto sfuma in qualcosa di percepibile, sì, ma sempre indefinito. Si hanno le risposte, perché l’autore si premura di darle, ma resta il desiderio di sapere di più e in modo molto più tangibile. L’Unicorno, insomma, aleggia per tutto il libro, ma non avrà mai la possibilità di trovare spazio in queste pagine (forse, e ce lo auguriamo, in previsione di un seguito).

Com’è, in conclusione, il libro di Michele Giannone? Un piacevole affresco di un mondo tipicamente fantasy, con tutti i pro e i contro del caso, ma tratteggiato con sapienza, finemente sfumato con colori tenui, privo di eccessi e sconvolgimenti, e che a fine lettura lascia un gradevole ricordo. Un’altra piccola ma importante pietra nella sempre più promettente costruzione italiana.