La guerra del futuro sarà una cosa da ragazzi. Questo sembra dirci Ender's Game, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo fantascientifico di Orson Scott Card, che in Italia è noto con il nome tradotto, ossia Il gioco di Ender. Per quale logica non sia stato tradotto il titolo del film non lo sappiamo. Certo meglio l'originale di fantasiose invenzioni.

Ender Wiggin (Asa Butterfield) è un predestinato. O meglio così pensa il Corpo Militare Internazionale, rappresentato dal Colonnello Hyrum Graff (Harrison Ford). Non sappiamo bene in quale anno prenda il via la vicenda, ma sappiamo che cinquant'anni prima una razza aliena, i Formics (nel romanzo gli Scorpioni), ha quasi distrutto la Terra e la razza umana e che solo il sacrificio dell'eroico Mazer Rackham ha salvato la situazione. Almeno così racconta la propaganda che dall'epoca seleziona ragazzini allo scopo di creare la futura classe di guerrieri da spedire contro gli alieni per render loro pan per focaccia. Questo perché il cervello dei ragazzi è considerato più reattivo di quello degli adulti. In questo mondo  all'apparenza pacifico (o pacificato), sembra che l'unico scopo di intere generazioni sia stato quello di rendersi degni di entrare nella Scuola di Guerra, il primo passo per la carriera militare. La selezione è durissima e nessun mezzo viene trascurato per ottenere il condottiero perfetto, il Leader che porterà alla vittoria la flotta terrestre, dalla coercizione psicologica, all'inganno, passando per l'eugenetica.

Ender è il terzo fratello in un mondo in cui, per mantenere l'equilibrio della popolazione, sono concessi solo due figli a coppia, e sembra avere una mescolanza delle caratteristiche dei suoi fratelli maggiori, il violento Peter (Jimmy Pinchak) e la più compassionevole Valentine (Abigail Breslin).

La vicenda che seguiremo è il viaggio eroico del predestinato Ender, che più riluttante ad accettare il suo destino di grandezza, è in realtà saggiamente dubbioso. La storia di un ragazzo che accetta e intuisce le regole del gioco, che non accetta l'autorità imposta dall'alto, ma ritiene che i superiori in grado debbano meritarsi il rispetto.

Ender non è l'unico personaggio a porsi dubbi. Anche la psicologa militare Anderson (Viola Davis) non è certa che esista un bene superiore così grande da giustificare le inumane prove a cui sono sottoposti i ragazzi, privati della loro infanzia. La sua contrapposizione a Graff è un altro dei conflitti principali del film.

Il gioco di Ender è anche la storia di come dal cameratismo si possa passare all'amicizia, di come un gruppo di ragazzi possa superare i suoi problemi di relazione, la forzata competizione imposta dagli adulti e instaurare profondi legami di amicizia. In tal senso sono da intendersi la graduale costruzione del rapporto con Petra Arkanian (Hailee Steinfeld), Bean (Aramis Knight), Alai (Suraj Parthasarathy) e Bernard (Conor Carroll), sia il conflitto con Bonzo Madrid (Moises Arias), leader dell’Orda delle Salamandre, gruppo al quale viene assegnato Ender dopo il primo periodo di addestramento. Rimane forse appena abbozzato il rapporto con il secondo mentore (nominato nella sinossi ufficiale per cui non è uno spoiler), il redivivo Comandante Mazer Rackham (Ben Kingsley), ma le linee essenziali della sua figura e della lezione che Ender apprende da lui ci sono.

Trasversale a tutti i piani narrativi c'è il gioco parallelo di Ender. Oltre a giocare alla guerra nel suo addestramento, il ragazzo, nel suo tempo libero, vive una esperienza immersiva in un videogioco che farà parte del suo percorso di crescita, permettendogli di avere l'intuizione del suo vero destino. Tra l'inizio e la fine del percorso già solo i rapporti tra i  personaggi creano molti temi di conflitto e di riflessione. I conflitti diventano a volte anche fisici. L'infanzia, anzi la preadolescenza, visto che il film parla di ragazzi tra gli 11 e 13 anni (a differenza del romanzo che iniziava con Ender all'età di 6 anni) è un'età fatta di violenza fisica oltre che psicologica, con bulli che oltre a minacciare passano alla vie di fatto, e dai quali è necessario difendersi in modo definitivo.

In più, il piano dell'invenzione fantascientifica e della narrazione avventurosa è fatto di spettacolari scontri a gravità zero, di pianeti lontani dai panorami inconsueti, modellati anche artificialmente dagli alieni, di scontri stellari imponenti.

Quantomai attuale è il conflitto tra libertà e la presunta necessità di una sua sospensione nel nome di un pericolo imminente, così come quello della guerra preventiva. Il romanzo è del 1984 e nella sua trasposizione cinematografica conferma la sua attualità.

Il merito è anche del regista Gavin Hood che si dimostra molto bravo nel distillare nella sceneggiatura tutti i concetti fondamentali, nel tradire la lettera quanto basta per non alterare la sostanza, coadiuvato in questo dallo stesso autore del romanzo, Orson Scott Card, che è tra i produttori del film, insieme alla vecchia volpe Robert Chartoff (Rocky) e ai controversi Alex Kurtzman e Roberto Orci tra gli altri. 

Come regista, Hood ha una visione più convenzionale, cita Stanley Kubrick, Ufficiale e Gentiluomo, Alien, Halo, persino StarCraft, più che Star Wars e si affida quasi per intero al direttore della fotografia Don McAlpine e al tecnico delle luci, Steve Matthis, che illuminano spesso il set delle sole luci visibili sullo schermo. 

Al film manca un po' di coraggio sul fronte visivo. Hood non sfrutta a pieno la narrazione per immagini, affidandosi molto alla sceneggiatura e al dialogo. Per raggiungere il capolavoro ci voleva forse un regista visionario, mentre Hood ha comunque il merito di essere stato un diligente esecutore dei parametri della produzione.

Professionali sono anche gli altri comparti tecnici, dalle scenografie ai costumi, così come la musica, un tappeto sonoro discreto ma non memorabile se staccato dal film. Gli effetti speciali visivi e sonori. Il budget è elevato, ma non sembra faraonico, pertanto il lavoro compiuto è stato più di valorizzare al massimo le tecnologie esistenti che crearne di nuove. Ne consegue che sul fronte dell'immaginazione della costruzione del mondo secondario il film si limitarsi a distillare tutta l'iconografia fantascientifica degli ultimi trent'anni, apparendo, in alcuni momenti, persino datato.

Per quanto riguarda gli attori, come spesso capita nei film interpretati da ragazzi, sono questi a emergere con forza, Asa Butterfield in testa, ma anche gli altri giovani interpreti, non sembrano solo essere ben diretti, ma capaci di aggiungere al personaggio qualcosa di loro; perfetta anche la prestazione di Moises Arias. Come marionette nelle mani della produzione sembrano invece proprio le guest star, Harrison Ford e Ben Kingsley. Il primo perché aderisce senza guizzi a quello che ormai la sua figura fisica evoca, ossia un ex duro che con l'età soffoca i dubbi con una maschera che non gli appartiene più. Kingsley come sempre aderisce con mestiere, sgranando gli occhi e sciorinando le battute con padronanza di dizione (il film l'ho visto in originale). Più intensa e partecipata la recitazione di Viola Davis, che ha dovuto costruire un personaggio in pratica inventato per il film, che riprende dall'omonimo del romanzo solo il cognome, visto che nella storia originale è un uomo. 

In conclusione Ender's Game è un ottimo film di fantascienza, ma non un capolavoro. 

Senza i piccoli difetti elencati prima il film avrebbe avuto il massimo del punteggio, perché riesce nell'intento di dare allo spettatore anche forti emozioni mostrandogli uno spettacolo che non è fine a se stesso, con tematiche che inducono alla riflessione ben sviluppate dai dialoghi della sceneggiatura. 

In ogni caso è un film da vedere. 

Emanuele Manco

Non sono appassionata e/o conoscitrice di fantascienza, per cui ho appreso che Ender’s Game era tratto da un romanzo pubblicato negli anni Ottanta da Orson Scott Card solamente dalla cartella stampa del film. La mia recensione non sarà dunque un raffronto libro/film, affatto, e neppure il giudizio di una persona esperta di fantascienza. E da spettatrice alle prime armi con un certo tipo di science fiction ho apprezzato Ender’s Game, sia per quanto riguarda la trama che la realizzazione tecnica del film. 

Ender è il protagonista, un ragazzino terrestre di nome Ender Wiggin cresciuto a pane e videogiochi. Da quando il pianeta è stato attaccato dalla razza aliena dei Formic, la Flotta Internazionale capeggiata dallo Stratega ha fatto sì che i giovani venissero cresciuti in modo da acuirne riflessi, propensione al ragionamento strategico e all’improvvisazione, e per sviluppare queste doti innate niente è meglio di un videogioco. Ender è un campione di strategia, e con la sua intelligenza e il suo carisma compensa le doti fisiche apparentemente scarse. Ender ha il volto di Asa Butterfield, che ha già recitato in Hugo Cabret e Il bambino con il pigiama a righe, e, come la sua controparte filmica, ha carisma da vendere, abbastanza da esprimere tutti gli aspetti della personalità di Ender, la sua sicurezza i suoi dubbi, tanto da mettere in ombra il resto del cast, pur di tutto rispetto, in cui spiccano i mostri sacri Harrison Ford (che certo non ha bisogno di presentazioni), Ben Kingsley (Iron Man 3) e Viola Davis (The Help). 

A colpire, oltre alle battaglie nella camera a gravità zero e al messaggio fondamentalmente pacifista del film – sì, sembra un controsenso visto che si parla soprattutto di guerra, ma è proprio così – è la capacità strategica di Ender che non si può non ammirare. La minaccia dei Formic è una minaccia “esterna”, incombente e angosciante, eppure non sono i Formic a mettere costantemente alla prova il protagonista e il suo processo di crescita/formazione. Sono soprattutto gli umani con cui Ender deve raffrontarsi quotidianamente, i bulli che lo temono e lo invidiano al tempo stesso, sia sulla Terra che alla scuola di guerra nello spazio. Forse è proprio questo aspetto apparentemente banale che ho apprezzato del film, la scelta di mostrare un eroe che è in crescita costante, che non ha tutte le risposte e che, con tutta la sua intelligenze e le sue doti innate mantiene dubbi e umanità intatti. Un eroe che affronta nemici sempre più forti e in loro è rispecchiata la sua forza. Un eroe che è il primo a capire che la guerra non è l'unica risposta, e scusate se è poco. 

Ender's Game non è un capolavoro di cinematografia, ma ne consigliamo la visione, sia a un pubblico di esperti che a uno di neofiti, che sicuramente apprezzeranno il lato umano e avventuroso del film.

Pia Ferrara